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Le attività di prevenzione e cura delle dipendenze si attivano formalmente fin dall’ingresso in carcere, nell’ambito del più generale percorso clinico-assistenziale per le persone detenute previsto dalla Circolare n.15/2012 della Regione Emilia Romagna.

Per i nuovi giunti, il detenuto che non è già in carico al SERT del territorio di residenza può segnalare fin da subito, al momento dell’ingresso in carcere, nel corso della prima visita che viene effettuata dal medico di medicina generale, lo stato di tossicodipendenza/alcol dipendenza. È dunque richiesto al detenuto se intende effettuare, nell’ambito delle attività di screening, il prelievo ematico e la

raccolta delle urine (o esame del capello) per la ricerca degli stupefacenti. In caso di dipendenza lo stato viene inserito in cartella e il caso viene segnalato agli operatori del SERT del carcere per un primo colloquio. Per i nuovi giunti trasferiti da un altro istituto penitenziario oppure proveniente dalla libertà in carico ai SERT del territorio di residenza, invece, viene garantito il proseguimento del trattamento già definito.

Gli incontri con il medico di medicina generale e con lo psicologo nei giorni successivi alla prima visita rappresentano un ulteriore momento in cui può essere segnalato e/o individuato uno stato di dipendenza. I detenuti che non hanno dichiarato la propria dipendenza nel corso della prima visita possono, comunque, richiedere sempre, in ogni momento, un colloquio con gli operatori del SERT.

Si attiva così, dunque, un intervento di secondo livello, di valutazione della condizione di tossicodipendenza e del rilascio della certificazione da parte del SERT. I criteri utilizzati per la certificazione delle persone detenute sono gli stessi utilizzati dai servizi sul territorio.

Le problematiche di dipendenza all’interno del carcere, dalle interviste realizzate, in particolare con i referenti AUSL/SERT, risultano abbastanza complesse, in molti casi caratterizzate da poliassunzioni (anche per potenziare o inibire alcuni effetti delle sostanze utilizzate) non sempre facilmente riconoscibili.

Articolata è anche la popolazione detenuta con problemi di dipendenze che è possibile suddividere in due principali macro-gruppi:

- Un primo gruppo, composto prevalentemente da persone con tossico/alcol-dipendenze, prevalentemente con cittadinanza italiana, di norma già conosciute dai servizi del territorio;

- Un secondo gruppo, maggioritario, composto prevalentemente da persone straniere, spesso senza documenti o con permesso di soggiorno scaduto, che provengono da situazioni di forte disagio e marginalità, spesso legati al mondo dello spaccio, che non sono mai entrati in contatto con i servizi sul territorio, con pene brevi o in attesa di giudizio.

Si evidenzia, inoltre, un aumento dei casi di doppia diagnosi tra i detenuti, spesso con reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendenza e di disagio psichiatrico. In questi casi la presa in carico è del SERT e dei servizi di Salute Mentale.

A fronte di alcune interviste che evidenziano una maggiore complessità nella gestione delle doppie diagnosi per l’intervento di due servizi specialistici (sebbene entrambi afferenti allo stesso Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche), sembra interessante segnalare la recente riorganizzazione che ha visto l’attivazione di nuovo servizio (équipe cure primarie) nell’istituto penitenziario di Reggio Emilia che ha la gestione congiunta e diretta delle doppie diagnosi e che, complessivamente, svolge compiti di certificazione, diagnosi, valutazione, trattamento e costruzione di progetti alternativi alla detenzione, in accordo con l’équipe osservazione e trattamento dell’istituto.

L’équipe di osservazione e trattamento, coordinata dal direttore dell’istituto e composta dal personale dipendente dell’amministrazione penitenziaria quali i funzionari pedagogici, funzionari di servizio sociale, personale di polizia penitenziaria, ha il compito di favorire il reinserimento sociale dei condannati con un trattamento rieducativo. L’attività di osservazione parte dal momento dell’ingresso in carcere, attraverso l’acquisizione di tutta la documentazione dei dati e colloqui con il detenuto e prosegue al fine di verificare se ci sono cambiamenti nella personalità e quali trattamenti è possibile attivare. Alle attività di osservazione e alle riunioni dell’équipe partecipano periodicamente anche gli assistenti sociali dell’ UEPE per riferire sulla situazione esterna (familiare, lavorativa ecc.) del detenuto al fine di redigere un programma individualizzato per il detenuto.

L’UEPE apre (o riapre) un fascicolo su richiesta dell’amministrazione penitenziaria e assegna un

assistente sociale che prende contatti formali con il Sert e successivamente con la famiglia del detenuto ed eventualmente (se presente, con il datore di lavoro) per valutare l’opportunità di attivare un percorso esterno. A seguito di questa attività l’UEPE redige una relazione che viene inviata all’équipe di osservazione e trattamento. Rispetto al passato la presenza dell’ UEPE in carcere pare essersi ridimensionata, anche a seguito dell’ingresso del Sert e a fronte di non sufficiente personale.

I Sert non partecipano alle équipe di osservazione, ma redigono relazioni con il programma definito per il detenuto tossicodipendente e si relazionano solo con i funzionari giuridico pedagogici dell’area educativa degli istituti penitenziari.

Questa prima fase che va dal primo contatto alla certificazione (o all’eventuale mancata certificazione) dello stato di tossicodipendenza appare sostanzialmente omogenea in tutti i territori analizzati, così come previsto dal quadro normativo. Il primo contatto tra il detenuto e gli operatori del SERT avviene in tempi abbastanza stretti e non presenta particolari elementi di complessità né, tantomeno, sono state evidenziate dalle interviste eventuali variazioni della procedura sulla base delle differenti tipologie di dipendenza, tipologie di pena o di altre caratteristiche del detenuto.

L’approccio dei Sert alla certificazione che sembra prevalere abbastanza chiaramente dalle interviste effettuate è quello di una valutazione multi-professionale (oltre che sanitaria, anche di natura psicologica, pedagogico-educativa e sociale) particolarmente approfondita, sebbene non tutti gli intervistati ritengano ci sia lo stesso approccio nelle diverse realtà penitenziarie (in alcuni contesti pare vengano concesse maggiori certificazioni rispetto alla media).

Un altro aspetto che è stato approfondito in questa prima fase di avvio dei percorsi è la relazione tra i servizi. I Sert interni agli istituti penitenziari di fatto intervengono nel processo, come evidenziato, con un intervento di secondo livello, a seguito della segnalazione del medico di medicina generale del carcere o su richiesta dello stesso detenuto. Il Sert interno ha un ruolo di ponte verso i servizi territoriali: se il detenuto era già in carico al Sert dello stesso territorio dell’istituto penale, di fatto, è già conosciuto e si prosegue con il trattamento già definito; se, invece, il detenuto era già in carico ai Sert di altri territori della regione o di altre regioni, gli operatori del servizio interno contattano i colleghi dei Sert del territorio di residenza per un confronto sul singolo caso ed un raccordo sul proseguimento del trattamento farmacologico. Dalle interviste non sono emerse particolari difficoltà nella relazione tra i diversi servizi, ma sono stati evidenziati, piuttosto, elementi di qualità del servizio che pare rispondere anche con tempistiche particolarmente adeguate (in particolare nella relazione tra i servizi della regione).

La presa in carico da parte del Sert comporta la redazione da parte dell’équipe dipendenze (composta da medico, psicologo e assistente sociale) e l’avvio di un progetto terapeutico riabilitativo individualizzato, a cui il detenuto deve aderire attraverso la stipula di un “contratto terapeutico”, che prevede oltre alla terapia sostitutiva (metadone a scalare) o farmacologica, colloqui periodici con lo psicologo e la realizzazione di un percorso esterno. In alcuni istituti penitenziari, come ad esempio Forlì, il Sert (che certifica circa un 40% delle richieste) offre consulenza anche ai detenuti che non hanno avuto la certificazione di tossicodipendenza per sostenerli nella messa in discussione di stili di vita errati.

Come premesso, il trattamento della dipendenza che viene attivato per coloro che erano già in carico ai servizi territoriali, di fatto, prevede la conferma/aggiustamento di una terapia già in essere, mentre per coloro che hanno dichiarato la propria dipendenza al momento dell’ingresso viene definita una terapia sostitutiva (metadone) oppure una terapia farmacologica, volta al contenimento del disagio non solo causato dall’interruzione di uso/abuso di sostanze, ma anche dallo stato di reclusione.

Molte delle interviste hanno evidenziato un approccio abbastanza noto e generalizzato nelle carceri che è quello di un “consumo smisurato” di farmaci, in particolare di psicofarmaci, divenuti diffusamente merce di scambio tra i detenuti. Psicofarmaci utilizzati non solo per il trattamento di disturbi mentali, ma anche per il contenimento dei sintomi di astinenza per detenuti tossicodipendenti. Anche a seguito dell’aumento delle doppie diagnosi, sono sempre più numerosi i casi in cui vengono prescritti psicofarmaci sotto controllo del servizio di psichiatria che ne regola il dosaggio e l’utilizzo.

Sebbene sia emerso, nel corso delle interviste, che sono presenti delle linee guida a livello regionale rivolte alle AUSL per omogenizzare la gestione complessiva dei farmaci (e riduzione degli psicofarmaci) all’interno degli istituti penitenziari, l’ancora ampio utilizzo di questo tipo di farmaci con tutte le problematiche che ne derivano pare rappresentare una sorta di mediazione per garantire minore conflittualità all’interno degli istituti a fronte di non sempre adeguati percorsi alternativi.

Box 5.1 – L’avvio del processo per i minori sottoposti a misure restrittive o limitative della libertà personale

Le misure rivolte ai minori disposte dal giudice, come definito dal DPR 448/1988 (Codice processo penale minorile), tengono conto “dell’esigenza di non interrompere i processi educativi in atto”. Le misure previste sono:

- le prescrizioni (il giudice impartisce specifiche prescrizioni inerenti le attività di studio o di lavoro o altre attività utili alla sua educazione);

- la permanenza in casa (obbligo di permanenza presso l’abitazione familiare);

- il collocamento in Comunità;

- il carcere (Istituti Penali minorili).

L’indirizzo è, dunque, quello di prediligere, lì dove possibile, provvedimenti che attivino tutti i soggetti istituzionali che ruotano intorno al minore, tenendo conto dei processi educativi in atto, favorendo, per coloro che provengono dalla libertà, il collocamento in comunità piuttosto che il carcere.

La presa in carico del minore (14-18 anni, ma la presa in carico arriva fino ai 25 anni) avviene fin dal principio, con l’attivazione dei servizi minori dell’amministrazione giudiziaria e degli enti locali (servizi sociali dei Comuni), ancora prima dell’emanazione del provvedimento ufficiale.

IL Servizio Sociale minori contatta i diversi servizi (AUSL, servizi sociali degli enti locali) e coordina complessivamente il processo. Per i ragazzi già seguiti dai servizi con provvedimenti civili in corso, viene verificato, in tempi molto brevi, se sono già in carico ai SERT o se, per disturbi del comportamento, sono conosciuti dai servizi di Salute Mentale.

I minori nuovi giunti in Istituto Penale per i Minorenni di Bologna al momento del loro ingresso effettuano un colloquio con un sanitario e con un educatore. Durante i colloqui vengono indagate se ci sono problematiche di assunzione di sostanze e utilizzo di farmaci. Se il minore non è già conosciuto né dal Servizio Sociale minori, né dai servizi del territorio si cerca di ricostruire la sua storia. Attraverso le analisi del sangue o osservando sintomatologie che evidenziano una eventuale astinenza si verifica lo stato di dipendenza.

Il Centro giustizia minorile dell’Emilia Romagna ha sottoscritto con la Regione Emilia-Romagna un

“Protocollo relativo alla definizione della collaborazione tra l’ordinamento sanitario ed il sistema della giustizia minorile per l’erogazione dell’assistenza sanitaria a favore delle persone minori e giovani adulti in carico ai servizi della Giustizia Minorile ed indicazioni per la definizione di protocolli - accordi

locali” al fine di garantire la tutela della salute e il recupero sociale dei minori sottoposti a procedimenti penali ed in carico all'Istituto Penale per i Minorenni (I.P.M.), al Centro di Prima Accoglienza (C.P.A.), alla Comunità Ministeriale (C.M.) e all'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (U.S.S.M.).

La presa in carico del minore è sempre integrata (Servizi Minorili della Giustizia, Servizi delle Aziende Sanitarie Locali e Servizi degli Enti Locali) poiché necessità di un “progetto educativo”

personalizzato che può essere definito solo da una equipe multi-professionale (medici, psicologi, educatori, assistenti sociali). L’ASL competente della presa in carico e degli oneri economici è quella del territorio di residenza. Nel caso di MSNA - minori stranieri non accompagnati, privi di documenti, invece, l’ASL di riferimento è quella del territorio in cui si trovava il minore al momento del fermo o dell’arresto. Se il minore presenta dipendenze viene contattato l’operatore del Sert che, dopo aver incontrato il minore, entra a far parte dell’equipe.

Nei casi in cui il minore di trovi in una delle strutture del Centro di Giustizia Minore o in una Comunità educativa e si evidenzi la necessità di una osservazione di più ampia durata, l’ASL, a suo carico, inserisce il minore (per un massimo di 30 giorni) in una struttura ritenuta idoneo all’attività (eventualmente anche nella stessa struttura in cui è già inserito) per proseguire l’attività di valutazione diagnostica psicopatologica e/o tossicologica.

I minori con problemi di dipendenze assumono prevalentemente cannabinoidi e cocaina. In aumento tra i minori che entrano nel circuito penale disturbi del comportamento e problematiche psichiatriche che si associano a problematiche di dipendenza. Come per gli adulti, l’aumento delle doppie diagnosi è un fenomeno particolarmente significativo, con disturbi del comportamento che in molti casi derivano da violenze subite nei contesti familiari e dai conseguenti allontanamenti dalla famiglia.

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