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L’approfondimento qualitativo realizzato attraverso interviste ai diversi attori coinvolti nel processo si è concentrato con particolare attenzione sulle procedure e prassi di definizione e attivazione dei programmi riabilitativi al fine di comprendere quali sono le effettive opportunità di prevenzione e di cura delle dipendenze sia all’interno degli Istituti (interventi intra-murari), sia all’esterno (interventi extra-murari).

Rispetto all’attivazione dei percorsi di riabilitazione interni, l’approfondimento non ha consentito di evidenziare specifici progetti rivolti ai detenuti con dipendenze. Di certo saranno in essere interventi che dalle interviste non è stato possibile individuare e indagare, anche per la difficoltà ad intervistare, per indisponibilità e ragioni organizzative, alcuni referenti dell’amministrazione penitenziaria – area giuridico pedagogica.

Il quadro che emerge è che, oltre all’attivazione di una terapia sostitutiva e farmacologica e la realizzazione di colloqui periodici con gli psicologi dei Sert, i programmi trattamentali di recupero del detenuto, più generali, attivati dall’équipe osservazione e trattamento (opportunità formative, lavorative e culturali interne all’istituto), non prevedono interventi specifici per i detenuti tossicodipendenti. Di fatto, per coloro che sono in attesa dell’attivazione di un percorso esterno o per i quali è stata negata una misura alternativa, non si evidenziano particolari opportunità socio-riabilitative, anche alla luce di scarse risorse interne agli istituti penitenziari.

Rispetto, invece, alla definizione e attivazione di percorsi di riabilitazione esterni, i detenuti con dipendenze, come previsto dalla normativa, con pena non superiore ai 6 anni (o 4 anni in caso di

sentenza o provvedimento di cumulo contenente condanna per reato previsto dall’art. 4 bis l.p.) possono fare domanda di affidamento in prova. I percorsi possono essere realizzati sul territorio oppure in Comunità. Le istanze vengono presentate dai detenuti al Direttore dell’istituto penale che le trasmettono alla Magistratura di Sorveglianza territorialmente competente. La domanda deve essere correlata dalla certificazione di tossicodipendenza rilasciata dal Sert del territorio di residenza e un programma terapeutico concordato con il detenuto che può anche già essere in corso (in caso di inserimento in Comunità il Sert sceglie la struttura, insieme al detenuto che ritiene più adeguata alla realizzazione del percorso).

Al fine di verificare la non strumentalità delle richieste, il Tribunale attraverso le relazioni del Sert, le relazioni sulle indagini sociale del UEPE e le relazioni di osservazione dell’istituto penitenziario, procede ad una valutazione di tutti gli elementi possibili, anche acquisendo altre fonti informative (ad esempio, dalle forze dell’ordine o relativamente a comunicazioni di reato).

Le istanze possono essere presentate in via di urgenza ed il Magistrato di Sorveglianza può concedere la misura in via provvisoria fino alla pronuncia definitiva del Tribunale di Sorveglianza che avviene in sede collegiale. I Magistrati, a riguardo, sembrano avere stili di lavoro diversi, alcuni procedono con gli affidamenti provvisori, altri, invece, preferiscono controllare la documentazione per poi inviare al Tribunale di Sorveglianza per una discussione in sede collegiale. Tutto ciò non sembra avere particolari ripercussioni sui tempi (che si attestano da 3 a 6 mesi) ma evidenzia una disomogeneità di approcci sul tema che potrebbe essere superata da una maggiore condivisione degli orientamenti. Complessivamente, il Tribunale di Sorveglianza pare neghi un numero limitato di istanze, e che mostri una buona flessibilità ad accettare le istanze anche in assenza della certificazione nei casi in cui il detenuto stia già seguendo un percorso terapeutico ritenuto valido.

Con l’accettazione dell’istanza da parte del Tribunale di Sorveglianza si avviano le procedure per l’attivazione dei percorsi. Il detenuto viene inserito in Comunità o, se si ritiene che non riesca a sostenere l’inserimento in struttura, viene attivato un percorso territoriale - verificata in fase di progettazione la disponibilità della famiglia ad accoglierlo - che prevede, oltre al proseguimento/ridefinizione della terapia farmacologica, esami periodici (anche a sorpresa) e colloqui presso il Sert, ed eventualmente inserimento in un centro diurno, attivazione di tirocini formativi o altre misure che possano contribuire al reinserimento sociale.

Per i percorsi residenziali si prediligono le Comunità del territorio di residenza. Non pare ci siano particolari difficoltà nel reperire strutture disponibili ad accogliere i detenuti in termini di offerta territoriale (anzi, in alcuni territori come Modena e Reggio Emilia, pare che l’offerta sia così ampia da accogliere anche diversi detenuti da fuori regione). I percorsi hanno tempi variabili in base all’andamento, a livello regionale la durata stabilita (per cui viene pagata la struttura) è di massimo 24 mesi, mentre la durata media dei percorsi pare attestarsi intorno ai 12-18 mesi.

Ricostruendo le procedure e le prassi del percorso di definizione e attivazione delle misure alternative, abbiamo posto attenzione ad alcune specifiche dimensioni oggetto di analisi: quali sono le modalità di collaborazione tra gli attori coinvolti, anche al fine di capire se alcuni attori ricoprono un ruolo di maggiore indirizzo rispetto ad altri, quali gli eventuali elementi di complessità nella fase di definizione e di avvio dei percorsi.

Nella fase di definizione del programma terapeutico il ruolo di maggior rilievo sembra essere assunto dal Sert del territorio di residenza che redige e valida, in collaborazione con l’equipe dipendenze, il documento. Tuttavia nel processo di valutazione dei percorsi di riabilitazione esterna concorrono, ciascuno con il proprio ruolo ed in base alle proprie competenze, anche l’équipe

osservazione e trattamento degli istituti penitenziari e gli assistenti sociali del UEPE (a cui il Tribunale di Sorveglianza chiede inoltre l’invio delle relazioni), in un’ottica di bilanciamento delle responsabilità.

Per la costruzione di un programma riabilitativo che possa risultare valido, sia in fase di valutazione, sia poi in fase di realizzazione, appare chiaro che diventa centrale la capacità di collaborazione e di confronto di tutti gli attori coinvolti.

In caso di non convergenza, se le valutazioni che ciascun attore (Sert, UEPE e Istituto penitenziario) fa sul detenuto e sul programma da attivare divergono, il percorso più opportuno lo decide il Tribunale di Sorveglianza, anche modificando il programma presentato. Tuttavia sembra si tratti di casi sporadici che non si verificano con particolare frequenza. Quello che però emerge abbastanza chiaramente è che, seppure a fronte di una procedura ben definita dalla normativa, da protocolli e convenzioni sottoscritte tra alcuni attori coinvolti nel processo23, ci sono visioni e approcci non sempre convergenti, non solo tra i diversi attori, ma anche tra gli stessi attori di territori diversi. Orientamenti diversi sono emersi, ad esempio, nell’attivazione delle misure alternative verso il fine pena. In alcuni territori l’approccio dei Sert (Reggio Emilia e Ferrara), seppure non formalizzato, pare essere quello di attivare misure alternative per coloro che non hanno ancora molti anni da scontare, così da iniziare un trattamento fuori dal carcere che consenta un migliore reinserimento (anche in un’ottica di ottimizzazione delle risorse) e riduca il rischio di allontanamenti/evasioni. Altri Sert, ad esempio sul territorio di Forlì, invece, appaiono più restrittivi sulla concessione della certificazione, ma orientati a costruire percorsi esterni senza alcuna limitazione rispetto alla pena residua.

La collaborazione tra i diversi attori non sembra essere uguale in tutti i territori, almeno limitatamente alle interviste realizzate, che come abbiamo anticipato, non hanno raccolto le osservazioni e valutazioni di tutti i diversi attori individuati (l’attore meno rappresentato è l’area educativa) e complessivamente il lavoro di ciascuno sembra essere abbastanza settorializzato.

In alcune realtà sembrano esserci maggiori frizioni tra l’area educativa ed i Sert, proprio in ragione di approcci e orientamenti diversi. L’impressione è che manchino reali occasioni di confronto (al di là delle riunioni di equipe previste per la discussione dei casi), forse causata anche da una carenza di risorse in alcuni servizi più volte segnalata nel corso delle interviste e da una percezione non sempre condivisa dei ruoli dei diversi attori (alcuni si sentono “ospiti” in carcere, altri non ritengono di essere attori decisivi nel processo).

Anche tra le Comunità ed i Sert e l’area educativa emergono alcuni elementi di complessità, in particolare nella trasmissione della documentazione. Le Comunità non sempre ricevono tutte le informazioni necessarie per valutare la proposta di inserimento ed hanno tempi abbastanza stretti (30 giorni) per esprimere la propria disponibilità. Gli operatori incontrano i detenuti in carcere per conoscerli, verificare la motivazione e per colmare i buchi informativi.

23 Si veda l’ Accordo tra la Regione Emilia-Romagna e la Magistratura del Tribunale di Sorveglianza di Bologna in merito alla procedura di collaborazione nell'esecuzione penale esterna nei confronti di tossicodipendenti ed alcoldipendenti, ma a questo proposito si veda anche il Protocollo d’intesa su accesso alle misure alternative alla detenzione tra Tribunale di sorveglianza di Bologna e l'Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna per l'EMILIA ROMAGNA

Un’altra dimensione a cui è stata posta attenzione è quella di eventuali differenziazioni nella possibilità di attivare o meno percorsi extramurari, anche in base a diverse tipologie di dipendenze, tipologie e durate della pena, ecc.

Uno dei criteri di maggiore rilevanza segnalato un po' da tutti gli attori è quello della verifica della motivazione del detenuto nel voler intraprendere il percorso di riabilitazione che si accompagna alla valutazione della storia personale (ad esempio, se è un tossicodipendente di lungo corso, se ha fallito altri inserimenti, se presenta recidive). Qui l’orientamento, che appare più condiviso, è quello di sostenere maggiormente percorsi per i detenuti più giovani che possono avere più ampie opportunità di completare positivamente il progetto di riabilitazione.

Maggiore facilità nell’attivazione di una misura alternativa sembra esserci anche per i detenuti tossicodipendenti già conosciuti dai servizi territoriali, per i quali, essendo già in carico al Sert del territorio, il percorso si sviluppa in tempi più rapide e con maggiore facilità.

Difficoltà maggiori, invece, paiono esserci per i detenuti stranieri con pene non particolarmente lunghe. Per loro, anche in assenza di documenti, finché sono in esecuzione penale, si può procedere ad una presa in carico (può essergli somministrata una terapia sostitutiva, con metadone) e si potrebbe anche attivare un inserimento in Comunità. Tuttavia una pena breve non gli consentirebbe di completare il percorso riabilitativo perché al suo termine, dovrebbe lasciare la struttura senza avere ulteriori possibilità di proseguire il programma riabilitativo.

I senza fissa dimora possono prendere la residenza fittizia nel Comune nell’istituto penale in cui sono detenuti, tuttavia, è stato evidenziato quanto questo possa impattare sul Sert del territorio che si ritrova con un sovrappiù di utenza, con conseguenti problemi sul badget annuale.

I detenuti con diagnosi di psicopatia, invece, sono coloro che sono completamente esclusi dalle misure alternative. L’impossibilità di un inserimento in Comunità e nelle REMS richiederebbe la creazione di nuove strutture adatte a realizzare percorsi differenziati.

Box 5.2 – La definizione e l’attivazione dei programmi per i minori

La definizione del programma avviene sempre in équipe, coordinata dall’assistente sociale, poiché come premesso, la presa in carico del minore è sempre integrata.

Se il minore è in carcere il Servizio Tecnico del Centro di giustizia minorile contatta una comunità (dall’elenco delle comunità contenuto nell’Allegato al Protocollo tra Regione Emilia-Romagna e C.G.M.) per verificare la disponibilità all’inserimento.

Nei casi in cui, invece, il minore è stato inserito in una comunità per proseguire l’attività di osservazione, al termine del periodo previsto (30 giorni) l’ASL di competenza consegna al Servizio Tecnico del CGM e all’ Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (U.S.S.M.), la diagnosi con l’indicazione del programma terapeutico e la struttura in cui svolgerlo. Se il minore è solo tossicodipendente gli onori finanziari sono a carico del C.G.M, mentre nei casi di doppia diagnosi, il costo della comunità è a carico dell’ASL del territorio di competenza.

Le strutture che possono accogliere minori con problematiche di dipendenze risultano essere meno numerose rispetto alle comunità educative. Complessivamente sono presenti strutture dedicate in tutti i territori provinciali.

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