ETA' ANAGRAFICA 2007-2013 TUTTO IL PERSONALE
(B) CAPACITA’ DI INIZIATIVA E RISOLUZIONE DEI PROBLEM
Capacità di risolvere i problemi di ordine tecnico–professionale attraverso soluzioni adeguate. Capacità di decidere e agire tempestivamente anche in circostanze non ordinarie e di anticipare le conseguenze delle azioni (comune a tutte le famiglie).
A. Prevede conseguenze non evidenti agli altri relativamente alle problematiche di ordine tecnico-professionale e pone in essere azioni che contrastano l’insorgere di complicazioni future.
108 B. Agisce quasi sempre rapidamente e con determinazione quando si trova a dover fronteggiare situazioni problematiche di ordine tecnico-professionale in situazioni non ordinarie. Non attende che i problemi si
presentino ma cerca di prevedere le possibili implicazioni e di non farsi cogliere impreparato.
C. Anche in situazione non ordinarie riesce a fornire soluzioni ai problemi di ordine tecnico-professionale, utilizzando le proprie conoscenze ed esperienza.
(C) DISPONIBILITA’
Impegno a garantire il proprio contributo all’interesse dell’organizzazione, anche al di fuori degli schemi ricorrenti e delle situazioni routinarie. Questo può tradursi anche nella disponibilità a dare il proprio contributo quando viene richiesto, anche in materie che non sono di specifica competenza ed in situazioni nuove (comune a tutte le famiglie).
A. Opera in situazioni e contesti vari e diversificati, anche complessi, mettendo a disposizione molteplici competenze adeguate al contesto.
B. Lavora efficacemente in situazioni e contesti differenti. E’ pronto a cambiare il suo approccio originario e ad attuare modalità di lavoro innovative anche in situazioni che richiedono un incremento delle competenze
possedute.
C. Si adatta ai cambiamenti ed alle situazioni che richiedono il superamento di schemi di azione consolidati, nell’ambito delle competenze possedute.
(D) ACCURATEZZA
Attenzione alla riduzione degli errori, alla ricerca di buoni risultati e al rispetto degli orari e scadenze. Riflesso sulle modalità di organizzazione e controllo del proprio lavoro (comune a tutte le famiglie).
A. In ogni circostanza assicura alti livelli di qualità del lavoro, organizza in modo efficiente e con metodi innovativi le proprie attività lavorative, adegua gli orari di lavoro alle necessità ed alle scadenze.
109 B. Nell’attività ordinaria ed in situazioni complesse assicura una elevata qualità di lavoro, organizza in modo apprezzabile e con metodo le proprie attività lavorative e rispetta orari e scadenze.
C. Riesce ad assicurare un’adeguata qualità del lavoro e organizza le proprie attività lavorative, , facendo fronte anche ad imprevisti e rispettando orari e scadenze.
Esistono poi comportamenti che si possono definire specifici delle diverse famiglie professionali (tabella ).
Tabella 14 : Comportamenti organizzativi specifici delle diverse famiglie professionali
Famiglia professionale Comportamenti organizzativi
Front office
• (E) Capacità di risposta
• (F) Rispetto di modalità comportamentali • (G) Gestione dello stress – Autocontrollo
Back office
• (E) Capacità di risposta
• (H) Capacità di lavorare interagendo con gli altri • (I) Orientamento all’efficienza e alla qualità • (L) Capacità di trasmettere conoscenze
Tecnica- operativa manutentiva (comprende anche operatori e cuochi)
• (M) Cura dei mezzi/ambienti/impianti • (F) Rispetto di modalità comportamentali • (H) Capacità di lavorare interagendo con gli altri • (N) Rispetto delle norme tecniche e professionali
Polizia municipale
• (O) Consapevolezza delle finalità organizzative • (I) Orientamento all’efficienza e alla qualità • (G) Gestione dello stress - Autocontrollo • (E) Capacità di risposta
• (M) Cura dei mezzi/ambienti/impianti • (F) Rispetto di modalità comportamentali • (P) Gestione dei conflitti
• (L) Capacità di trasmettere conoscenze
Educativa
(comprende anche l’area Sociale)
• (H) Capacità di integrazione con gli altri • (Q) Correttezza e semplificazione nell’utilizzo del proprio patrimonio tecnico-professionale • (O) Consapevolezza delle finalità organizzative
Ma andiamo ora a vedere come vengono valutati i dipendenti, i dirigenti e le posizioni organizzative con riferimento al biennio 2011-2012.
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Tabella 15: Valutazione posizioni organizzative, dipendenti e dirigenti
% TOTALI 90 - 100 75 - 89 61 - 74 0 - 60 ANNI 2011 2012 2011 2012 2011 2012 2011 2012 Posizioni Organizzative 92% 100% 8% 0,% 0% 0% 0% 0% Dipendenti 68% 84% 29% 13% 2% 2% 1% 1% Dirigenti 22% 0% 50% 11% 28% 72% 0% 17% 90 - 100 75 - 89 61 - 74 0 - 60 PO 2011 92% 8% 0% 0% PO 2012 100% 0% 0% 0% 90 - 100 75 - 89 61 - 74 0 - 60 Dipendenti 2011 68% 29% 2% 1% Dipendenti 2012 84% 13% 2% 1% 90 - 100 75 - 89 61 - 74 0 - 60 Dirigenti 2011 22% 50% 28% 0% Dirigenti 2012 0% 11% 72% 17%
Come è possibile notare nel 2011 il 92% dei dipendenti di categoria D incaricati di posizioni organizzative/alta professionalità ha ottenuto una valutazione molto positiva sul proprio operato ottenendo una valutazione tra il 90 e il 100% del totale (infatti solo l’8% ha ricevuto una valutazione compresa tra il 75 e l’89% del totale) percentuale che diventa massima considerando come anno di
riferimento il 2012. Stessa considerazione positiva è possibile fare per la valutazione dei dipendenti, infatti è possibile notare che sia nel 2011 che nel 2012 solo l’1% dei dipendenti ha ottenuto una valutazione ricompresa tra 0 e 60% del totale e il 2% nel range tra 61 e 74%.
Se prendiamo in considerazione i dirigenti, invece, è possibile notare alcune differenze, difatti nel 2011 solo il 22% ha ottenuto una valutazione ricompresa tra il 90 e il 100% del totale, ben il 50% è relativo al fascia 75 e 89% e infine il 28% tra il 61 e 74%. La situazione risulta peggiorata nel 2012 considerando che
111 ben il 72% dei dirigenti ha ottenuto una valutazione ricompresa tra il 61 e 74% e il 17% risulta essere nella fascia più bassa che va da 0 a 60%.
È evidente quindi un divario rilevante tra la valutazione di questi diversi soggetti. Bisogna però tenere in considerazione la differenza di responsabilità di ognuno di essi sul raggiungimento degli obiettivi. I dirigenti sono responsabili per i risultati raggiunti dalla loro funzione, quindi dai dipendenti di quella specifica funzione, nonché delle posizioni organizzative ai quali hanno scelto di delegare alcune competenze. È infatti presumibile che considerando tale potere di influenza anche la valutazione sul mancato raggiungimento degli obiettivi possa essere più rigorosa rispetto alla valutazione effettuata con riferimento alle altre categorie di soggetti.
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4 Conclusioni
L’obiettivo principale che mi ha spinto a scegliere di analizzare la gestione delle risorse umane dell’ente locale pisano, è principalmente dato dalla curiosità di capire, come e se, vengono applicate alla pratica, tutte le teorie, i metodi e gli strumenti studiati nei vari corsi di studio universitari.
Gli ultimi anni hanno visto nascere e crescere in maniera più consapevole la necessità per la pubblica amministrazione di un cambiamento radicale. Dato il particolare momento storico di crisi economico-finanziaria che ha colpito l’Italia (come il resto del mondo), anche l’opinione pubblica è più sensibile a tematiche come il funzionamento delle unità pubbliche, del livello quali - quantitativo dei servizi offerti, delle modalità con cui si decide di spendere il denaro pubblico e ancora del comportamento tenuto dai dipendenti pubblici.
Per rispondere a questa esigenza si introduce il decreto Brunetta (decreto legislativo n. 150 del 2009) con l’obiettivo di disegnare un contesto organizzativo pubblico più trasparente rispetto al passato, caratterizzato da una maggiore responsabilizzazione della figura dirigenziale. Il decreto prevede che ogni amministrazione adotti un Programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da aggiornare annualmente, che indichi le iniziative previste per garantire un adeguato livello di trasparenza, la legalità e lo sviluppo della cultura dell'integrità. Al dirigente si chiede di promuovere e sostenere il principio di fondo che muove l’intero processo di riforma, ossia il passaggio da una cultura dei mezzi ad una cultura di risultato, che sia in grado di produrre un miglioramento tangibile delle performance pubbliche.
È chiaro che l’obiettivo del decreto è, almeno da un punto di vista puramente formale, corretto, nel senso che si vogliono ricercare anche nella pubblica amministrazione principi di efficacia, di efficienza e soprattutto di economicità. Altro nodo fondamentale nella riforma della pubblica amministrazione riguarda la trasformazione della funzione del personale da amministrazione del personale (funzione spesso neanche ben individuata nella cornice organizzativa degli enti e il più delle volte confinata alla gestione giuridica del rapporto di lavoro) a gestione e sviluppo delle risorse umane.
113 Vorrei però iniziare da quello che è il punto di partenza nella gestione delle risorse umane, ossia il processo di reclutamento.
È stato possibile evidenziare una differenza rilevante di questa fase tra il settore privato e il settore pubblico.
Infatti nel primo caso, le imprese sono molto più libere di scegliere, di individuare e anche di attrarre le persone che meglio corrispondono alle esigenze dell’organizzazione stessa avendo ampia libertà di scelta del bacino di reclutamento, nonché delle modalità da utilizzare .
Scelte che invece nel settore pubblico sono fortemente vincolate da norme che prevedono con precisione la modalità di reclutamento, imponendo requisiti generali (quali: la cittadinanza italiana; l’età; la buona condotta; l’idoneità fisica; il titolo di studio; il godimento dei diritti politici;) e requisiti speciali (speciali perché sono requisiti che un soggetto deve possedere per ricoprire un determinato posto); e ancora norme che prevedono le modalità di svolgimento del processo di selezione e inserimento (facendo espresso riferimento al periodo di prova) del capitale umano, riducendo in qualche modo la possibilità anche per le unità pubbliche di cercare le persone più adatte da poter inserire all’interno dell’organizzazione, indipendentemente, ad esempio, dalla cittadinanza posseduta ma basandosi soltanto sulle capacità, sulle competenze, sull’innovazione che un soggetto, almeno potenzialmente, potrebbe apportare. Nel mondo di oggi, dove la parola d’ordine è globalizzazione, dove l’obiettivo è quello di ridurre le barriere culturali e razziali, dove quindi è importante andare oltre al Paese d’Origine dell’individuo per potersi anche servire della diversità che è dentro ad ognuno di noi, sarebbe giusto eliminare quale requisito generale la cittadinanza italiana che quindi fa rimanere ancorati ad un’idea ormai superata. Inoltre è possibile fare un’ulteriore osservazione, il rapporto di pubblico impiego è ormai passato nella disciplina del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti da provvedimenti amministrativi (a fronte dei quali erano ravvisabili solo posizioni di interesse legittimo degli interessati al corretto esercizio del potere
114 pubblicistico), a contratto di diritto privato (equiparabile quindi a lavoratori subordinati delle imprese private); in caso di controversie di lavoro il dipendente pubblico può far ricorso presso il Tribunale ordinario in quanto la competenza risiede in capo al giudice del lavoro; la confusione che però rischia di nascere è relativa proprio al momento del bando messo a disposizione da parte dell’organizzazione pubblica, infatti se un candidato decidesse di far ricorso (ad esempio per l’esito di una delle prove sostenute) il giudice di riferimento è quello amministrativo e non più il giudice ordinario.
Sempre con riferimento alla gestione del personale un punto centrale è sicuramente lo sviluppo delle competenze.
Una volta che un soggetto è stato assunto all’interno dell’azienda (sia questa pubblica che privata) un ruolo centrale per sviluppare le competenze della risorsa umana viene svolto dalla formazione.
Nella pubblica amministrazione si è preferito parlare di aggiornamento e di riqualificazione più che di formazione. Negli ultimi anni però anche il settore pubblico ha cominciato ad attribuire al capitale umano il ruolo di fattore essenziale di crescita e di leva centrale per la politica di coesione sociale. La dotazione di capitale umano è considerata come un elemento cruciale nello sviluppo delle nuove tecnologie e come un fattore necessario per il loro efficace utilizzo.
La dotazione di capitale umano di ogni sistema dipende dalla consistenza delle risorse umane e dalla loro qualità, in termini di conoscenza e capacità di sostenere il funzionamento del sistema economico e sociale. Dipende altresì, oltre che dalla quantità, dalla qualità delle risorse allocate per la formazione, sia iniziale che continua, da parte della Pubblica Amministrazione.
La formazione è, peraltro, una dimensione costante e fondamentale del lavoro e uno strumento essenziale nella gestione delle risorse umane. Tutte le organizzazioni, per gestire il cambiamento e garantire un’elevata qualità di prodotti e servizi, devono oggi fondarsi sulla conoscenza e sullo sviluppo delle competenze (direttiva n. 10/2010).
115 Si capisce quindi, anche da questa direttiva, il ruolo centrale che la Pubblica Amministrazione riconosce al proprio personale, chiamato infatti risorsa umana. È qui che però nascono alcune contraddizioni.
La direttiva n. 10 del 2010 se da un lato enfatizza l’importanza della formazione per lo sviluppo delle competenze, dall’altro lato prevede un contenimento della spesa in formazione che l’ente può sostenere; infatti a partire dal 2011, le amministrazioni devono ridurre del 50% rispetto al 2009 le risorse finanziarie destinate agli interventi formativi.
È quindi immediato porsi la seguente domanda: il fabbisogno formativo della singola realtà pubblica non deve quindi essere considerato?.
La risposta dovrebbe essere semplice; ogni amministrazione dovrebbe mettere in atto un percorso formativo rivolto ai propri dipendenti in base al fabbisogno formativo dell’ente stesso. L’obiettivo della formazione è quello di ridurre il gap tra conoscenze possedute e quelle che si dovrebbero possedere per svolgere una determinata attività lavorativa. Se però l’obiettivo cambia, e passa dalla riduzione di questo gap, al contenimento delle spese, l’autonomia dell’ente di scegliere come sviluppare al meglio le competenze dei propri dipendenti viene meno con evidenti conseguenze negative riferibili non solo alla mancanza di sviluppo di nuove conoscenze, ma anche al risvolto negativo che si potrebbe avere per quanto attiene alla motivazione del personale. Infatti una delle leve motivazionali a disposizione dell’ente può sicuramente riguardare la possibilità di crescita professionale, di sviluppo di carriera che l’ente mette a disposizione dei propri dipendenti.
La formazione quindi deve essere vista come investimento che ha natura immateriale. Bisogna perciò tenere in considerazione i possibili benefici che un corso di formazione può apportare all’interno dell’organizzazione ma anche i possibili limiti, infatti l’investimento in formazione per raggiungere i suoi risultati richiede un comportamento attivo da parte dei soggetti interessati, e non solo, difatti i risultati di tale investimento non sono appropriabili solo dall’organizzazione e l’ottenimento stesso di tali risultati è condizionato da vari
116 fattori come la volontà, la capacità, i tempi di apprendimento che sono diversi da soggetto a soggetto.
Ho poi analizzato la dotazione organica del Comune di Pisa, prendendo in considerazione l’età media dei dipendenti, l’anzianità di servizio, le assunzioni, le cessazioni e il turnover guardando sempre in riferimento anche alla categoria di appartenenza dei dipendenti.
Uno dei problemi nasce dalla riforma del sistema pensionistico che, per rispondere ai cambiamenti demografici del mercato del lavoro, ha definito norme finalizzate ad aumentare gradualmente l’età pensionabile.
Questa riforma (la cosiddetta riforma “Fornero”) ha comportato alcune conseguenze fondamentali: da un lato i dipendenti che erano prossimi al pensionamento sono stati costretti a rimandare l’uscita dal mondo del lavoro fino al raggiungimento del nuovo livello di età con evidenti conseguenze su quelli che sono i costi del turnover indiretti. Per costi del non turnover (indiretti) si intende proprio la mancanza di uscita di lavoratori che si presume possano essere insoddisfatti, la cui permanenza potrebbe avere un’influenza negativa sul clima aziendale, condizionare gli altri lavoratori e ridurre la produttività collettiva. Dall’altro lato, il mancato pensionamento ha chiaramente ridotto il numero di assunzioni, non essendo presenti nella dotazione organica posizioni disponibili da poter ricoprire, contribuendo così a rendere più popolata la fascia di età che va dai 50 ai 59 anni a discapito di una fascia di età più bassa (soprattutto se il riferimento è alla fascia di età sotto i 30 anni). È stato possibile inoltre rilevare un’ulteriore problematica. Per alcune categorie (in particolare la categoria D) l’accesso è vincolato al possesso di un titolo di studio idoneo, limite non previsto invece per le categorie B e C. Il blocco delle assunzioni (soprattutto delle categorie più elevate) però ha comportato una situazione particolare, infatti il Comune di Pisa ha messo a disposizione bandi per posizioni relative soprattutto alla categoria C e la maggior parte dei candidati che si sono presentati e che hanno superato le prove, sono in possesso di un titolo di studio più elevato di quello richiesto. Si è creata così una situazione paradossale: i nuovi entrati hanno un titolo di studio superiore rispetto ai dipendenti che già operano all’interno
117 dell’organizzazione e che risiedono in una categoria maggiore. È possibile che questa situazione possa generare malcontento soprattutto se consideriamo anche il vincolo previsto per legge, dell’impossibilità per un dipendente pubblico appartenente ad una certa categoria di passare ad una categoria superiore grazie al merito del proprio lavoro (quindi tramite la mobilità interna). Infatti tale passaggio può avvenire solo attraverso un concorso pubblico togliendo quindi la possibilità all’ente di poter utilizzare questa leva motivazionale per andare ad accrescere una cultura interna all’organizzazione che riconosca la centralità e l’importanza del lavoro svolto da ciascun dipendente e che aiuti ad incoraggiare una responsabilizzazione del proprio lavoro a fronte anche di ricompense ritenute idonee.
Infine, ho considerato il sistema di valutazione adottato dal Comune di Pisa. Tale sistema ha l’obiettivo di valutare i dipendenti, i dirigenti e le posizioni organizzative/alta professionalità. Quello che è stato interessante notare è l’esistenza di una differenza rilevante nella distribuzione delle diverse categorie sui range di riferimento ai termini della valutazione. Ho però ipotizzato che tale differenza potesse essere una conseguenza del diverso livello di influenza di ognuna delle categorie sul raggiungimento degli obiettivi. Nonostante questo però mi risulta inverosimile pensare che una percentuale rilevante dei dipendenti ottenga una valutazione così positiva e al contrario una percentuale, che si potrebbe definire irrisoria, ottenga una valutazione negativa. Questo potrebbe sicuramente voler dire che i dipendenti del Comune di Pisa svolgono in maniera ottimale il proprio lavoro ma, potrebbe anche voler significare una poca attenzione, una poca importanza data al sistema di valutazione che quindi potrebbe essere svolto in maniera più formale che sostanziale.
Vorrei concludere sostenendo che è sicuramente vero che bisogna modificare la cultura interna dell’ente, la cultura organizzativa, ma è altrettanto vero che bisognerebbe correggere la percezione che il dipendente pubblico ha del proprio ruolo nonché la percezione che il cittadino comune ha del dipendente pubblico. L’idea è quella di guardare al concetto di civil servant tipico della cultura anglosassone e che ha come principio il fatto che chi decide di lavorare nel
118 settore pubblico, lo fa per convinzione e non per opportunità, sacrificando parte dei propri proventi economici che potrebbero essere maggiori se lavorasse nel settore privato, e lo fa perché possiede uno spirito di servizio forte nei confronti del proprio paese, dei propri concittadini, e della propria comunità, e ciò lo nobilita agli occhi dell’opinione pubblica e lo appaga sul piano professionale e personale.
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