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Processi di riforma degli enti locali e gestione del personale: il caso del Comune di Pisa

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo, indirizzo Strategia e Governo dell’Azienda

Processi di riforma degli enti locali e gestione del personale:

il caso del Comune di Pisa.

Candidato Relatore

Urtiana Hadri Marco Giannini

(2)

1

INDICE

Premessa 2

Capitolo 1 L’evoluzione della Pubblica Amministrazione

1.1 Definizione di settore pubblico 3

1.2 L’ambiente legislativo, organizzativo e culturale 12

1.3 Il pubblico impiego 17

Capitolo 2 Fattore umano: una risorsa da valorizzare

2.1 La rilevanza delle competenze, conoscenze e della motivazione 23

2.2 Il processo di reclutamento, selezione, inserimento e valutazione del personale

32

2.3 L’importanza della formazione: sviluppare il capitale umano 42

Capitolo 3 Il caso del Comune di Pisa

3.1 Composizione organica del Comune 53

3.2 Struttura organizzativa del Comune 57

3.3 Funzione dirigenziale nell’Ente Locale 73

3.4 Gestione delle risorse umane nel Comune di Pisa 79

Capitolo 4 Conclusioni 112

(3)

2

Premessa

In una fase in cui si fa un bilancio di un decennio di riforme nella pubblica amministrazione può essere utile soffermare l’attenzione sull’organizzazione degli apparati pubblici.

Il presente lavoro ha l’obiettivo di analizzare la gestione delle risorse umane che è fortemente legata ai temi dell’organizzazione pubblica sia per gli aspetti connessi alla micro-organizzazione, sia per aspetti connessi alla macro-organizzazione.

I problemi di finanza pubblica, i continui tagli alle risorse destinate alle amministrazioni pubbliche, le politiche contrattuali che hanno reso più flessibile il sistema classificatorio del personale, l’esigenza di fornire servizi sempre più adeguati ai bisogni dei cittadini e delle imprese, sollecitano uno sforzo e il superamento di alcuni modelli culturali per attivare dei meccanismi volti a valorizzare il capitale umano presente nel settore pubblico.

Lo scopo di questa tesi è quello di esaminare come avviene la gestione del personale. Il processo di acquisizione del personale si sviluppa attraverso alcune fasi che riguardano il reclutamento, la selezione, l’accoglimento e infine l’inserimento della persona all’interno dell’organizzazione. Fasi queste fortemente vincolate nel settore pubblico. L’obiettivo sarà quello di identificare quali sono le leve motivazionali a disposizione dell’azienda pubblica per poter incentivare il proprio capitale umano guardando quindi alla possibilità di sviluppare le competenze tramite piani di riqualificazione e politiche di formazione del personale che permettano anche di creare una cultura alla responsabilizzazione dei propri risultati (aspetti questi che impattano sulla cultura interna dell’organizzazione pubblica). Mi soffermerò infine su un ulteriore aspetto della gestione delle risorse umane relativo al sistema di valutazione utilizzato per tutte le categorie di dipendenti (dirigenti, dipendenti, posizioni organizzative/alta professionalità).

(4)

3

Capitolo 1. L’evoluzione della Pubblica Amministrazione

1.1 Definizione di settore pubblico

Definire il settore pubblico risulta essere particolarmente complesso; possiamo però far riferimento a tre definizioni tradizionalmente utilizzate.

La prima definizione è quella adottata nella Contabilità nazionale la quale circoscrive i confini del settore sulla base dell’attività della produzione di servizi non destinati alla vendita e peraltro identifica nel settore le amministrazioni pubbliche e gli enti che, sostanzialmente, non producono per il mercato.

Una seconda definizione emerge dalla legge di “Riforma di alcune norme di contabilità generale dello stato in materia di bilancio” (n. 468 del 5 agosto 1978) che aggiunge, rispetto alla prima definizione, le aziende autonome non comprese in tale aggregato, le aziende municipalizzate e l’Enel (questa è la definizione del cosiddetto Settore pubblico allargato).

Infine, una terza definizione è quella di Area pubblica, definizione che aggiunge al settore pubblico allargato le imprese a partecipazione statale.

Possiamo tuttavia dare una definizione più ampia di settore pubblico: “Per Amministrazioni Pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Provincie, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale” (1).

1

ARTURO BIANCO, SALVATORE CACACE, Testo unico sul pubblico impiego: guida ragionata del Dlgs 165/2001 per regioni ed enti locali, Il sole 24 ore, Milano, 2001, parte prima, principi generali, art. 1 comma 2.

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4 Le Amministrazioni Pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive (2). I criteri da seguire per l’organizzazione delle Amministrazioni Pubbliche sono diversi e riguardano la funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività (nel perseguimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità); un’ampia flessibilità; collegamento delle attività degli uffici (adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna); garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa; armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza.

All’interno della pubblica amministrazione vi è la presenza di una triplice natura (3):

1. il <<sistema istituzionale>> rappresentato dall’insieme dei principi, criteri, metodi e strumenti con i quali si vuole garantire l’equilibrio tra i poteri formali dei vari organi dello Stato;

2. il <<sistema politico>> rappresentato dall’insieme dei principi, criteri, forme e modi con i quali si bilanciano i diversi interessi sociali;

3. il <<sistema aziendale>> rappresentato dal complesso di principi, criteri, metodi e strumenti con i quali si organizzano e si svolgono le attività orientate a realizzare un equilibrio tra i bisogni e le risorse e l’incontro tra la domanda e l’offerta di servizi.

Nel corso degli anni si è tanto parlato di cambiamento del settore pubblico ma innanzitutto è necessario definire e delimitare il significato che si intende attribuire a tale termine: <<la riforma del management pubblico consiste in cambiamenti deliberati delle strutture e dei processi delle organizzazioni del

2

ARTURO BIANCO, SALVATORE CACACE, Testo unico sul pubblico impiego: guida ragionata del Dlgs 165/2001 per regioni ed enti locali, Il sole 24 ore, Milano, 2001, parte prima, principi generali, articolo 2 comma 1.

3 ALESSANDRO CAPOCCHI, Il processo di e-government nel sistema delle amministrazioni pubbliche,

(6)

5 settore pubblico con l’obiettivo di fare in modo che funzionino meglio>> (4

). Con il termine cambiamento si è fatto riferimento a fenomeni diversi, sebbene tra loro correlati: in alcune circostanze ha avuto ad oggetto la dimensione organizzativa delle singole amministrazioni pubbliche e dell’intero sistema delle amministrazioni pubbliche; altre volte ha richiamato l’introduzione ed il ricorso a nuove logiche ed a nuovi strumenti a servizio della gestione del settore pubblico; altre volte ha descritto processi di cambiamento dell’ordinamento giuridico dello Stato; altre volte ha coinvolto la comunicazione e, più in generale, il sistema informativo/co delle amministrazioni pubbliche; altre volte ha coinvolto processi di innovazione aventi ad oggetto singole amministrazioni; altre volte ha inteso descrivere mutamenti di natura culturale all’interno ed all’esterno del settore pubblico; altre volte, infine, ha individuato l’affermazione di nuove teorie economiche e/o di nuove ideologie politiche.

È possibile illustrare il fenomeno del cambiamento del settore pubblico (tabella 1) scindendo tale fenomeno sia a livello macro, con riferimento all’interno sistema delle amministrazioni pubbliche, che a livello micro, con riguardo ai diversi attori appartenenti al suddetto sistema.

Tabella 1- Le prospettive di analisi del settore pubblico

Fonte: Capocchi, pag. 9.

4 Sul significato da attribuire al concetto di cambiamento del settore pubblico: C. POLLIT e G.

BOUCKAERT, La riforma del management pubblico, Milano, Università Bocconi editore, 2002, pag. 5. PROSPETTIVA MACRO

PROSPETTIVA MICRO ORGANIZZAZION

E

GESTIONE SISTEMA INFORMATIVO/CO REKAZIONI

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6 La dimensione interna coinvolge l’organizzazione delle amministrazioni pubbliche singolarmente, la gestione dei processi di produzione e di distribuzione dei servizi pubblici e la gestione delle informazioni qualunque ne sia la natura attraverso i sistemi informativi. La dimensione esterna coinvolge le relazioni che legano le singole amministrazioni pubbliche e più in generale l’intero sistema delle amministrazioni pubbliche medesime al sistema ambiente. Entrambe le dimensioni sono presenti all’interno del <<sistema istituzionale>>, del <<sistema politico>> e del <<sistema aziendale>>.

L’esigenza di avvicinare lo Stato ( le azioni e gli interventi pubblici da quest’ultimo realizzati) al territorio ed ai bisogni espressi e taciti del cittadino/impresa è alla base di un altro cambiamento che vede il coinvolgimento delle autonomie locali all’interno del percorso di ammodernamento del settore pubblico. Questo mutamento è avvenuto principalmente lungo alcune dimensioni (5):

la dimensione organizzativo-gestionale per effetto della quale si è inteso migliorare il funzionamento interno alle amministrazioni pubbliche, per la produzione/distribuzione di servizi efficienti ed efficaci;

la dimensione contabile-informativa per effetto della quale si è inteso implementare all’interno del settore pubblico nuovi sistemi e metodi di rilevazione dei fatti di gestione su cui fondare i sistemi informativi delle amministrazioni pubbliche;

la dimensione relazionale per effetto della quale si è realizzato un nuovo modello su cui costruire i rapporti tra i diversi attori pubblici e privati presenti all’interno del sistema socio-economico.

All’interno della dimensione relazionale si pongono i rapporti tra le diverse amministrazioni pubbliche ed i rapporti tra le stesse ed il cittadino: <<Com’è evidente le aziende pubbliche costituiscono un sistema complesso, difficile da

5

F. PEZZANI, Introduzione: I nuovi scenari della pubblica amministrazione locale, in I sistemi di programmazione e controllo negli enti locali, di A. Garlatti e F. Pezzani (a cura di), Milano, Etas, 2000, pagg. 3-27.

(8)

7 “governare” perché si tratta di uno dei sistemi più aperti nei confronti dell’ambiente. Esso, infatti, è aperto sia dal punto di vista istituzionale, poiché tutti gli amministratori sono eletti dai cittadini (o scelti dagli eletti in loro rappresentanza), che dal punto di vista funzionale perché i suoi risultati influiscono in modo importante sul sistema sociale ed economico>> (6).

Il ruolo assunto dalle autorità locali sul territorio e verso le amministrazioni centrali ha inteso, tra l’altro, semplificare le procedure amministrativo-burocratiche e favorire il processo relazionale con il cittadino nell’accesso alle informazioni ed ai documenti, nei rapporti con le diverse amministrazioni pubbliche e nell’ottenimento di servizi pubblici: <<Nell’ente locale oltre alle relazioni con l’ambiente generale - sociale, economico, politico, legislativo – assume rilevanza la singolare “apertura” verso l’”ambiente specifico” di riferimento. L’importanza di tale requisito discende in modo dominante dal fatto che se da un lato la comunità territoriale di competenza è il “soggetto istituzionale” che detiene il “potere politico” e che “legittima” il “decisore pubblico locale” attraverso il meccanismo della “elezione”, al contempo la stessa è il “nucleo” dei potenziali utenti dei servizi pubblici prodotti (…)>> (7

).

Si può osservare, sotto il profilo delle trasformazioni sociali, come lo sviluppo culturale e il miglioramento delle condizioni di vita abbia portato ad impostare su basi profondamente diverse il rapporto tra pubblica amministrazione e collettività (8). Da un lato, infatti, si sono elevati in termini quantitativi e modificati sul piano qualitativo i bisogni di beni e servizi, sia personali che di gruppo, manifestati dalla comunità. A fronte di tali maggiori e nuovi bisogni, emerge la necessità tanto di aumentare, a volte diversificandola, l’erogazione dei servizi, quanto di ricercare una personalizzazione nella loro produzione, garantendo la preparazione e professionalità del personale chiamato a fornirli. Tale circostanza però, va inevitabilmente ponderata con l’impatto nella produzione di tali servizi,

6 LUCA ANSELMI, Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Giappichelli, Torino, 2003,

pag. 61.

7

L. GIOVANELLI, La comunicazione economica nell’ente locale, Giuffrè, Milano, 1995, pag. 37.

8 GIORGIO FIORENTINI, Amministrazione pubblica e cittadino. Le relazioni di scambio, Egea, Milano,

(9)

8 anzitutto per quanto riguarda la comprensione dei bisogni dei fruitori dei servizi pubblici, successivamente nell’individuazione degli approcci gestionali in grado di soddisfarli. È sempre più difficile pensare che nella produzione di servizi pubblici si possa prendere come riferimento la figura dell’utente medio, inteso quale soggetto in grado di rappresentare una collettività che si manifesta indifferenziata e alla quale è possibile garantire un benessere standardizzato. Tali cambiamenti impattano necessariamente su cambiamenti nelle logiche e negli strumenti di marketing anche all’interno delle unità pubbliche (9

). Dall’altro lato la maggiore consapevolezza del fatto di essere al contempo <<portatrice di diritti>>, <<soggetto istituzionale>>, <<potenziale mercato>> in relazione ai servizi pubblici, <<finanziatore fisiologico>> delle attività pubbliche ha portato la collettività a rivolgere crescente attenzione alle modalità di impiego delle risorse e della qualità del servizio (10). Tutto ciò ha determinato il progressivo abbandono di quel ruolo passivo tipico degli anni passati, cui ha corrisposto la formulazione di vere e proprie pretese in relazione alle caratteristiche qualitative, quantitative e di tempestività d’erogazione dei servizi pubblici. Tale cambiamento è espressione del mutare della cultura intorno alle unità pubbliche, mutamento che tende a superare un equivoco di fondo in merito all’esistenza di una dicotomia tra finalità sociale ed economicità, alla luce della quale è stato a lungo giustificata, in maniera del tutto automatica, la presenza di <<oneri impropri>> (11) non quantificabili, intesi come <<costi del perseguimento di fini politici>> ovvero <<oneri che gravano sui conti economici delle imprese pubbliche a seguito di condizionamenti dell’autorità pubblica (…) che si presentano quindi come fattore esogeno (alla gestione) che ha una negativa influenza sui risultati economi>> (12).

Sul piano economico, si può considerare il progressivo affermarsi di aspettative di liberalizzazione che hanno favorito la tendenza ad una riduzione della

9

PHILIP KOTLER, Al servizio del pubblico, EtasLibri, Milano, 1978, pagg. 14-48.

10 MARIACRISTINA BONTI, Dal sistema burocratico alla cultura della qualità nelle Amministrazioni

Pubbliche, modelli di analisi e strumenti operativi, Giuffrè editore, 2001, cap. I.

11

LUCA DEL BENE, La dinamica correlata di tariffe e costi di gestione, in ANSELMI (a cura di), L’azienda <<comune>> dopo la legge 142/’90, cap. V.

(10)

9 presenza pubblica nell’economia. Nel periodo compreso tra la metà degli anni sessanta e i primi anni ottanta c’è stata una fase di espansione dei servizi pubblici. Molteplici sono le definizioni di servizio pubblico, in generale, un servizio viene a qualificarsi come pubblico quando <<questo è ritenuto di interesse essenziale, o almeno rilevante, per la collettività (…). L’essenzialità, o almeno la rilevanza, possono derivare oggettivamente dal tipo di servizio, dalle condizioni nelle quali esso è gestito (imperfezioni del mercato) o anche dall’intenzione di realizzare obiettivi di politica economica, anche in contrasto con la migliore funzionalità del servizio stesso>> (13).

Questa fase di evoluzione del sistema pubblico si caratterizza per il prevalere di innovazioni legate al servizio prodotto (innovazioni di prodotto), questo chiaramente comporta la necessità di adeguamento dimensionale delle strutture organizzative, organici e risorse finanziarie. Non appare avvertita l’esigenza di un più ampio adeguamento dimensionale anche di tipo qualitativo (14), che chiama in causa, accanto a quelle gestionali, variabili di natura organizzativa: dagli orientamenti culturali e valoriali espressi mediante atteggiamenti e comportamenti di ruolo e incorporati in routines organizzative, al peso da assegnare a componenti diverse della professionalità, al modificarsi della stessa struttura delle motivazioni di quanti producono i servizi, alla ridefinizione degli assetti organizzativi, alle nuove conoscenze da sviluppare

L’attenzione però si pone non più solo su innovazioni di prodotto bensì su innovazioni di processo intendendo quest’ultimo come cambiamenti che modificano il modo in cui i prodotti o servizi sono realizzati o erogati (15) . In questo panorama, emerge una forte contraddizione; da un lato, prende corpo una domanda di ridimensionamento dell’iniziativa dello Stato con l’obiettivo di ridurre le inefficienze, gli sprechi e le disfunzioni (un opzione possibile diventa la strada della privatizzazione ); dall’altro, anche a causa dell’accentuarsi di

13 LUCA ANSELMI, I servizi pubblici di interesse nazionale in un contesto competitivo, in <<Azienda

pubblica>>, nº 3-4, 1997, pagg. 287-299.

14

PAOLA MIOLO VITALI, LUCA ANSELMI, La programmazione nelle pubbliche amministrazioni. Linee evolutive, Giuffrè, Milano, 1989, passim.

(11)

10 fenomeni economico-sociali aventi dimensione sovranazionale, sembrerebbe prospettarsi una nuova fase di crescita dell’esigenza di interventi pubblici (nuovi interventi, iniziative, servizi) e di riordinamento di quelli tradizionali. Possiamo quindi dire che la dinamicità e la complessità sono condizioni ambientali nelle quali anche le unità pubbliche, oltre alle imprese private, si trovano a dover affrontare considerando che i cambiamenti che si manifestano nell’ambiente si evolvono nella stessa direzione, pur con diversa velocità. Tale analogia costituisce per le amministrazioni pubbliche sia un limite che un’opportunità. Può rappresentare un’opportunità nella misura in cui diviene possibile fare tesoro di esperienze e teorizzazioni formulate nell’ambito delle aziende private; un potenziale limite riguarda la convinzione che si possano utilizzare nelle imprese pubbliche gli stessi strumenti utilizzati nelle imprese private e che le unità pubbliche possano peraltro ripercorrere le medesime tappe evolutive che le aziende provate hanno conosciuto. In realtà, sistema privato e sistema pubblico presentano dinamiche evolutive interne del tutto proprie e peculiari, che comportano percorsi di crescita diversi e che quindi presuppongono l’individuazione di modelli differenti. Una prima considerazione che si può fare riguarda da un lato la possibilità di intervento sull’ambiente da parte delle amministrazioni pubbliche (potere di influenza, talora di determinazione, di molteplici fenomeni, non solo economici), dall’altro l’incapacità delle unità pubbliche di movimento e flessibilità nell’interazione con l’ambiente esterno, di elaborazione e adattamento delle strategie, di loro realizzazione (16). Considerando però che le amministrazioni pubbliche sono i sistemi più aperti (17) nei confronti dell’ambiente, questa apertura però sembra essersi manifestata

16 <<E’ importante, tuttavia, sottolineare che lo Stato realizza la propria razionalità di policy maker non

solo quando produce o programma e regola l’andamento dell’economia, ma anche quando sceglie appropriatamente gli strumenti di implementazione e attuazione delle decisioni prese. I fallimenti della politica economica, di Stato o di mercato, non sempre sono imputabili alle leggi o alle procedure di ideazione delle strategie; essi stanno spesso nelle forme di implementazione, nella scelta delle forme organizzative, nelle modalità di gestione degli strumenti selezionati>>. ROBERTO CAFFERATA, Pluralismo organizzativo e condizioni di sviluppo delle aziende del <<terzo settore>>, in AA.VV., Le aziende non profit, op. cit., pagg. 252-253

17 <<L’azienda è un sistema aperto: essa intrattiene una fitta rete di relazioni con gli altri attori del mondo

economico e sociale, è oggetto e soggetto di aspettative e richieste, snodo centrale di un complesso di flussi materiali, informativi e finanziari verso l’esterno e dall’esterno, centro di convergenza di esigenze e aspettative in molti casi tra loro divergenti>>. SILVIO BIANCHI MARTINI, Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, Giappichelli Editore, 2009, pagg. 19.

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11 prevalentemente come possibilità di determinare le condizioni del sistema sociale ed economico piuttosto che di esserne influenzate. Se ne può derivare come conseguenza che mentre l’evoluzione delle organizzazioni private ha la possibilità di essere interpretata lungo la dinamica del rapporto ambiente/mercato-decisioni-struttura, indicativo di una ricerca di condizioni di coerenza e influenza reciproca tra i fattori considerati, la stessa analisi non può essere condotta per le amministrazioni pubbliche, infatti, sembrerebbe che ognuno degli elementi considerati si siano evoluti in maniera autonoma e separata rispetto agli altri. Una delle ragioni che ha portato a questo è ad esempio il fatto che la quasi totalità dei servizi pubblici è stata ceduta in condizioni di sostanziale monopolio (impedendo in questo modo la concorrenza sul mercato quindi il giudizio sanzionatorio del mercato stesso), di conseguenza il cittadino non ha la possibilità di scegliere in merito alle strutture presso le quali rivolgersi in funzione di caratteristiche quali l’efficienza, la qualità, l’affidabilità, la tempestività del servizio o la professionalità degli operatori. In secondo luogo, non può essere ignorata la sopravvivenza <<garantita>> delle amministrazioni pubbliche da condizioni non certo economiche, quanto piuttosto istituzionali (18).

18

ELIO BORGONOVI, La pubblica amministrazione come sistema di aziende composte pubbliche, in ELIO BORGONOVI (a cura di), Introduzione all’economia delle amministrazioni pubbliche, Giuffrè, Milano, 1984, cap. I.

(13)

12

1.2 L’ambiente legislativo, organizzativo e culturale

La caratteristica principale delle unità pubbliche è relativa proprio alla loro natura, chiaramente pubblica, che però non deve indurre a ritenere che i mutamenti normativi debbano o possano essere considerati quale sinonimo di cambiamento organizzativo o innovazione (19). L’impostazione teorica che porta ad attribuire alla norma valore <<deterministico>> e che ricerca la modificazione dei comportamenti in ogni campo (politico, sociale, economico) tramite la modifica degli assetti istituzionali, viene definita istituzionalismo normativo (20). Rimane ancora la logica a cui si sono ispirati i processi di cambiamento delle amministrazioni pubbliche, basati sullo strumento della riforma che pone maggiore attenzione al momento decisionale dell’approvazione e non al momento dell’attuazione (21

).

Soltanto negli ultimi tempi sembra essere stata acquisita consapevolezza in merito alla non sequenzialità tra innovazione normativa e cambiamento gestionale e organizzativo che coinvolge e nel quale interagiscono soggetti portatori di interesse, culture, bisogni, attese, aspettative, motivazioni, obiettivi fortemente diversificati .

Solo nel momento in cui si riconosce che il fattore umano interviene tra la definizione di una strategia di cambiamento e la sua realizzazione si può derivare l’importanza della presenza di una volontà prettamente interna a dare attuazione ad un qualsivoglia cambiamento. Si può quindi dire che non è la struttura burocratica ad essere risultata <<resistente>> o <<inerte>> al cambiamento, bensì, è al contrario il cambiamento (in relazione all’impostazione giuridica) a non essere rispondente ad una realtà organizzativa che , per quanto burocratica, è

19

MUSSARI, Il management, op. cit., pag. 100; GIANFRANCO REBORA, La trasformazione del sistema pubblico italiano, in ROBERT LEONARDI, FRANCESCO BOCCIA (a cura di), L’evoluzione della pubblica amministrazione italiana, Il sole 24-ore Libri, Milano, 1997, pagg. 22-23.

20

BORGONOVI, Principi e sistemi, op. cit., pag. 95 e segg.

21 Borgonovi afferma che una delle caratteristiche dei processi di riforma delle amministrazioni pubbliche

è:<< la debolezza della fase finale, ossia quella della attuazione, debolezza (…) che sta a significare come di fronte a cambiamenti formali si abbia poi il perpetuarsi di modalità di funzionamento del passato>>. ELIO BORGONOVI, La logica aziendale per realizzare l’autonomia istituzionale, in <<Azienda Pubblica>>, nº 2, 1991, pag. 180.

(14)

13 lontana da certi presupposti di funzionamento e reazione implicitamente assunti (22). Le innovazioni legislative (23) che si sono susseguite nel corso degli ultimi due decenni hanno contribuito a ridefinire l’assetto, il modello istituzionale, organizzativo e funzionale del sistema pubblico, a livello centrale e locale. L’insieme di queste norme ha contribuito al processo di trasformazione aziendale del sistema delle amministrazioni pubbliche. Il processo di aziendalizzazione della gestione dei servizi pubblici, vale a dire il fenomeno azienda pubblica, si afferma per <<il riconoscimento della possibilità di gestire un sistema di servizi pubblici rispettando le leggi dell’economia aziendale>> e comporta che <<vengano differenziati i momenti delle grandi scelte di indirizzo, che spettano ovviamente ai cittadini e, per loro delega, ai rappresentanti <<politici>> e sulle quali essi devono rispondere, da quelli della gestione <<normale>> che deve essere improntata ai criteri di efficacia ed efficienza>> (24).

Altro aspetto importante nello studio delle amministrazioni pubbliche riguarda gli aspetti di natura organizzativa. La burocrazia, tipica delle unità pubbliche, è spesso considerata il principale problema all’origine delle crescenti disarmonie che si palesano tra le organizzazioni pubbliche e l’ambiente esterno. Una struttura piramidale sostanzialmente rigida, molto sviluppata lungo la dimensione verticale, un’ipotesi teorica di sequenzialità della successione mezzi-fini, tale da vanificare il momento della verifica dei risultati delle azioni intraprese, e al contempo una sottovalutazione di aspetti quali quelli emotivi del comportamento

22 MARIACRISTINA BONTI, Dal sistema burocratico alla cultura della qualità nelle Amministrazioni

Pubbliche, modelli di analisi e strumenti operativi, Giuffrè editore, 2001, pagg. 22 e segg.

23 Tra i molteplici interventi legislativi si possono ricordare: la legge nº 142/1990 sul riordinamento delle

autonomie locali; la legge nº 241/1990 sul procedimento amministrativo e diritto di recesso; il D.Lgs. nº 502/1992, in seguito modificato dal D.Lgs. nº 517/1993 sul riordino della disciplina in materia di sanità; il D.Lgs. nº 29/1993 e successive integrazioni sulla razionalizzazione dell’organizzazione delle

amministrazioni pubbliche; il D.Lgs. nº 77/95 e successive integrazioni sull’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali; la legge nº 59/1997 contenente delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti agli enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa; la legge nº 127/1997 sullo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo; il D.Lgs. nº 80/1998 contenente nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa.

(15)

14 organizzativo, legati alla sfera soggettiva dell’azione umana sono alla base del fallimento del modello burocratico.

Tale modello non è di per sé sbagliato e neanche riferibile soltanto alle amministrazioni pubbliche, in realtà qualsiasi organizzazione complessa e di grandi dimensioni è necessariamente una burocrazia (25). La questione che si pone nello studio delle unità pubbliche è quello di colmare il gap emerso con riferimento agli strumenti e agli schemi d’analisi organizzativa, appare chiaro infatti, come l’originaria impostazione burocratica non sia più in grado di conseguire condizioni di elevata efficienza interna. Molti degli ostacoli che le unità pubbliche hanno incontrato nel trasferire sul piano empirico le indicazioni elaborate dalla teoria possono essere ricondotti al fatto che la tematica organizzativa è stata disciplinata ricorrendo al mezzo legislativo, in particolare filtrata dalla cultura giuridica. Il modello burocratico è venuto configurandosi come garanzia di una neutrale e imparziale applicazioni delle leggi e realizzazione degli scopi e obiettivi da queste definite. Non esiste un modello organizzativo che si possa considerare come <<ottimo>>, quello che sarebbe auspicabile fare riguarda piuttosto un profondo processo di cambiamento nel quale valutare attentamente sia le possibilità, sia i limiti congiuntamente ai costi correlati (costi tecnico-economici e costi organizzativi).

Un’ulteriore dimensione dell’ambiente di riferimento delle amministrazioni pubbliche è quella culturale. Una prima concezione considera la cultura come variabile indipendente ed esterna al contesto aziendale, in quanto propria del contesto nazionale in cui l’azienda opera (26

). La seconda invece le fa assumere la natura di variabile interna, dipendente, elemento peculiare di un ruolo professionale, di una funzione organizzativa oppure di una combinazione aziendale complessivamente considerata. L’influenza esercitata dagli elementi culturali di contesto nella formazione del complesso di attese e aspettative formulate nei confronti delle unità organizzative, nello sviluppo di presupposti

25

ROBERT NEWTON ANTHONY, DAVID W. YOUNG, Controllo di gestione per gli enti pubblici e le organizzazioni non profit, Milano, McGraw-Hill, 1992, cap. VII, pag. 240.

(16)

15 comportamentali dei membri all’interno della combinazione aziendale portano ad individuare nella cultura, intesa come variabile macro, una sorta di strumento di controllo esterno.

L’operare della cultura come strumento di controllo esterno è fenomeno tipico del sistema delle amministrazioni pubbliche. Il sistema pubblico-ambiente può essere concepito come l’insieme delle amministrazioni pubbliche operanti a diversi livelli di governo, per cui oggetto di analisi tenderebbe a divenire la dinamica delle relazioni interistituzionali che si sviluppano tra diversi enti pubblici. Tale dinamica può connotarsi in modi diverso lungo le dimensioni della formalizzazione, standardizzazione, direzione e intensità delle relazioni (27). La cultura, quindi, tenderebbe ad operare, nei confronti di ogni singola unità, molteplici condizionamenti in relazione alla possibilità non solo di realizzare ma anche di definire possibili innovazioni sotto il profilo congiuntamente organizzativo e gestionale.

Se passiamo dalla cultura macro alla cultura micro, altrimenti detta cultura organizzativa, si incontrano forti difficoltà nell’affrontare tale tema con riferimento al settore pubblico. È difficile individuare una cultura organizzativa con tratti propri e specifici (facilmente riscontrabile nelle aziende private), accade così di parlare di una cultura tecnica oppure amministrativa con riguardo al personale tecnico-amministrativo, oppure di una cultura medica nel caso di personale sanitario, ma si fa riferimento a culture di funzione o professionali. Si parla in questi casi di sub-culture o sotto-culture (28), espressione tipica di un sistema di valori condivisi all’interno di un gruppo o di un sottosistema organizzativo piuttosto che essere indicative della cultura organizzativa del complesso aziendale. Quando si vuole parlare di cultura organizzativa si fa riferimento alla cultura burocratica, la conseguenza sta nel fatto che organizzazione e cultura burocratica vengono ad auto-riprodursi l’una nell’altra

27 ALFONSO MARINO, Dinamiche organizzative e interorganizzative nella pubblica amministrazione,

in AA.VV., L’ente locale come azienda. Razionalità economica, qualità, organizzazione nel settore pubblico, FrancoAngeli, Milano, 1991, pag. 144 e segg.

(17)

16 esercitando un’ulteriore elemento di freno rispetto ad una spinta innovativa. I tratti della cultura burocratica (29) possono trovare espressione e sintesi in elementi quali: rigidità e incapacità ad adattarsi al cambiamento da parte delle strutture pubbliche; enfasi eccessiva su controlli formali, regolamenti e regolarità procedurali, ai quali è subordinata ogni valutazione critica dei risultati conseguiti; assenza di una visione unitaria del sistema organizzativo; peso rilevante accordato alla logica giuridica; scarsa importanza riconosciuta alla comunicazione e alla trasparenza delle azioni sia all’interno che all’esterno; elevata specializzazione; ridotta integrazione e coordinamento delle azioni tra unità appartenenti al medesimo sistema; mancanza di una logica di programmazione sviluppata a fronte di priorità da raggiungere (orientamento al breve termine); diffidenza e resistenza nei confronti di strumenti e tecniche quantitativo-economiche finalizzate alla misurazione delle prestazioni; assenza pressoché totale di doti di leadership; forte tendenza al conservatorismo. Tali valori possono considerarsi obsoleti, questo dovrebbe indurre a prendere in considerazione strumenti atti a favorire una cultura manageriale che ha come tratti distintivi la cultura del servizio, della qualità, del valore prodotto e trasferito all’utenza, capacità di gestire sistemi, capacità di integrare tra loro diverse logiche (politica, sociale, economica, tecnologica, organizzativa, amministrativa contabile) (30).

29 Cfr., MUSSARI, Il management, op. cit., cap. IV, pagg. 101-103. 30

ORESTE VOLPATTO, La cultura del management pubblico nell’ente locale, in LUCA ANSELMI, ORESTE VOLPATTO (a cura di), Il management nell’area pubblica, Giuffrè, Milano, 1990, parte prima, pagg. 21-22.

(18)

17

1.3 Il pubblico impiego

Il pubblico impiego è un istituto giuridico che ha avuto origine nel secolo passato. Esso è il risultato di un processo evolutivo che ha determinato la progressiva attrazione del rapporto di lavoro con l’ente pubblico nel campo del diritto pubblico. Il processo ha riguardato prima il rapporto di lavoro statale (o meglio, governativo) e poi ha investito il complesso delle relazioni lavorative con l’ente pubblico in genere, a cominciare dall’impiego locale la cui riconduzione all’impiego pubblico è andata di pari passo con la “statalizzazione” delle istituzioni locali, Comuni e Provincie.

La Legge Quadro sul pubblico impiego (29 marzo 1983, n. 93) ha l’obiettivo di assicurare ai pubblici dipendenti eguaglianza di trattamento economico e normativo. L’idea di utilizzare lo strumento della Legge Quadro nasce dal bisogno di trovare un punto di equilibrio tra vari rapporti assai problematici: “ tra autorità e consenso nella formazione delle fonti; tra centro e periferia nella distribuzione della potestà organizzativa; tra omogeneità e diversificazione nella disciplina del pubblico impiego; tra unilateralità della determinazione dell’interesse pubblico e libertà pluralistica del conflitto sociale; in definitiva tra pubblico e privato nell’ambiguo attuale conformarsi del nostro sistema amministrativo” (31

). Tale legge prevede principalmente gli strumenti, le forme, gli ambiti istituzionali della disciplina omogenea del pubblico impiego, quindi il suo carattere fondamentale è quello di porre norme sulla produzione giuridica. La Legge Quadro quindi, determina, in primo luogo, la predisposizione delle fonti del pubblico impiego; in secondo luogo, con la previsione di principi di omogeneizzazione (delle posizioni giuridiche, della perequazione e trasparenza dei trattamenti economici e dell’efficacia amministrativa) e dei principi normativi di omogeneità (qualifiche funzionali, profili professionali, mobilità, procedure di reclutamento, formazione e aggiornamento del personale, responsabilità e sanzioni disciplinari).

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18 Il dato innovativo di maggiore portata nell’evoluzione del pubblico impiego è sicuramente la contrattazione collettiva. In precedenza si era instaurata la prassi di una contrattazione informale tra Governo e sindacati riguardo alla disciplina del pubblico impiego (la cui fonte restava però la legge e il regolamento). Sotto il profilo del “sistema delle fonti” del pubblico impiego, l’introduzione della contrattazione collettiva determina una “privatizzazione” del rapporto di lavoro con l’ente pubblico. Infatti, la disciplina negoziata deve essere recepita da un atto pubblico, quindi produce gli effetti propri di questo ed è soggetta al regime giuridico dello stesso, specie rispetto al sindacato giurisdizionale. In altri termini, la contrattazione collettiva nel pubblico impiego possiede caratteri specifici che la rendono inassimilabile a quella del diritto comune.

I rapporti di lavoro dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. È importante evidenziare il passaggio avutosi nella disciplina del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti da provvedimenti amministrativi (a fronte dei quali erano ravvisabili solo posizioni di interesse legittimo degli interessati al corretto esercizio del potere pubblicistico), a contratto di diritto privato (equiparabile quindi a lavoratori subordinati delle imprese private).

Nell’ambito del pubblico impiego sono possibili varie classificazioni. In riferimento all’ente con cui si istituisce il rapporto di lavoro, si è soliti distinguere gli impiegati in statali, regionali, provinciali, comunali, dipendenti delle Unità Sanitarie Locali ecc… All’interno di ciascuna categoria è poi possibile effettuare ulteriori distinzioni in riferimento alla diversa amministrazione di appartenenza; così ad esempio i dipendenti statali possono essere ulteriormente distinti in magistrati, insegnanti, diplomatici, ecc. Altro possibile criterio di classificazione è quello effettuato in riferimento al grado di stabilità del rapporto di lavoro. A tal fine si distinguono gli impiegati “di ruolo” da quello “non di ruolo”. I primi sono titolari di un posto previsto in un “ruolo organico” dell’ente di appartenenza, per legge o per regolamento (secondo

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19 l’ordinamento dei singoli enti) è predeterminato per ogni ufficio il numero massimo dei posti che possono essere occupati dalle persone ad esso proposte; tali dipendenti godono della cosiddetta “semistabilità”, in quanto sono assunti a tempo indeterminato ed il loro rapporto con l’ente è potenzialmente destinato a durare fino al raggiungimento dei limiti di età. I dipendenti “non di ruolo”, invece, sono assunti indipendentemente dai posti in organico e con lo scopo di provvedere ad esigenze straordinarie e transitorie, tali dipendenti non acquistano alcun diritto alla conservazione del posto di lavoro.

La classificazione del personale in qualifiche è un dato comune a tutte le legislazioni sul pubblico impiego. Con il concetto di “qualifica” ci si riferisce alla determinazione legale della posizione dell’impiegato all’interno dell’amministrazione di appartenenza.

L’introduzione della “qualifica funzionale” ha profondamente innovato i criteri per operare tale determinazione, sostituendo la vecchia qualifica individuata in base al titolo di studio ed al grado gerarchico, indipendentemente dalle mansioni espletate (cosiddetta “qualifica formale”), con la nuova, fondata sulla base della diversità della mansioni effettivamente svolte dal dipendente, in relazione alla gravosità del lavoro, al livello culturale e di esperienza richiesti, ed all’ambito di autonomia e responsabilità connesse alla natura del lavoro svolto. All’obiettivo di partenza, cioè la semplice creazione di un nuovo criterio di classificazione del personale, alla qualifica funzionale si sono man mano aggiunti altri e svariati obiettivi, quali l’adattamento flessibile del personale alle mutevoli esigenze degli apparati (la cosiddetta “mobilità”), la riqualificazione e la responsabilizzazione del personale, il superamento del rapporto gerarchico degli impiegati, fino ad arrivare ad un vero e proprio disegno per la ristrutturazione dell’intero apparato amministrativo.

Per raggiungere tali risultati è però necessaria la soddisfazione di almeno due corollari.

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20 In primo luogo che l’organizzazione del personale in qualifiche e profili sia adattata in modelli differenti a seconda del tipo di attività che l’ente o amministrazione è chiamato ad erogare.

In secondo luogo che il nuovo modello di organizzazione del personale sia consolidato come criterio ispiratore dell’intera organizzazione del lavoro abbandonando il vecchio ordinamento incentrato sul “funzionario” e sul provvedimento, per accogliere quello basato sulla partecipazione diffusa dei dipendenti alla fase decisionale ed alla relativa loro responsabilizzazione.

Nella realtà si può affermare che il modello della qualifica funzionale si presta più come semplice strumento di classificazione del personale e con il significato di mera sintesi di più profili professionali allineati in un unico livello retributivo. Il profilo professionale è la determinazione legale della concreta prestazione lavorativa del dipendente (32), ed è certamente la base della riforma delle qualifiche funzionali in quanto è solo attraverso la loro definizione che è possibile evidenziare le mansioni effettivamente svolte dai dipendenti. La Legge Quadro all’articolo 18 enuncia i criteri per l’identificazione dei profili professionali. In generale possiamo dire che per ogni profilo professionale sono dichiarati il contenuto tipico della prestazione professionale, i requisiti culturali, le modalità di accesso, le sfere di autonomia e di responsabilità e le cosiddette “mobilità orizzontali e verticali”.

Il sistema di progressione è improntato su alcuni principi generali, il primo dei quali consiste nell’affermazione di un completo sganciamento della progressione giuridica da quella economica.

La progressione economica avviene all’interno della stessa qualifica e dello stesso profilo, in base alla sola maturazione di una predeterminata anzianità senza demerito.

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21 La progressione giuridica avviene solo attraverso il passaggio ad una qualifica funzionale più elevata. Per effettuare tale passaggio lo strumento preferito è quello del pubblico concorso. Esistono però forme privilegiate di passaggio di qualifica che sono previste mediante una riserva percentuale dei posti messi a concorso (generalmente variabile dal 50% al 30% con l’aumentare della qualifica) per i dipendenti dell’amministrazione appartenenti alla qualifica immediatamente inferiore e che si trovino in possesso di particolari requisiti di anzianità o titolo di studio.

L’introduzione, oltre delle qualifiche funzionali, anche dei profili professionali, ha molto semplificato ed uniformato il sistema del passaggio di qualifica.

I profili professionali attualmente in vigore sono stati identificati anche prevedendo le rispettive “mobilità” verticali in riferimento al settore di attività svolta nel singolo profilo. In tal senso sembra si possa affermare che, in linea generale, per l’utilizzazione da parte del dipendente della riserva dei posti messi a concorso, vadano distinti i casi in cui il passaggio tra profili professionali appartenenti a qualifiche diverse rientri o meno nell’ambito della “mobilità verticale” prevista dal profilo di appartenenza del dipendente.

Nel primo caso è richiesta una certa anzianità di qualifica (in genere 5 anni) ma il titolo di studio può anche essere inferiore a quello richiesto per accedervi dall’esterno, essendo sufficiente che sia il titolo previsto per il profilo professionale di appartenenza.

Nell’altro caso l’anzianità o non è richiesta o è notevolmente ridotta (ad esempio 2 anni per i dipendenti degli Enti Locali) ma sono comunque richiesti il titolo di studio, le eventuali specializzazioni o abilitazioni necessari per l’accesso dall’esterno al pari di qualsiasi altro candidato.

Con tale meccanismo di partecipazione dei dipendenti alle riserve percentuali dei posti messi a concorso si raggiungono due risultati.

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22 In primo luogo il titolo di studio è giustamente riferito non alla qualifica funzionale ma direttamente al profilo professionale, in riferimento cioè al concreto contenuto delle future attribuzioni.

In secondo luogo si afferma che la professionalità maturata attraverso l’espletamento di mansioni della stessa area funzionale non è, in linea di principio, minore di quella presunta in base al possesso del mero titolo di studio. Si pone cioè il principio dell’equivalenza tra professionalità presunta (titolo di studio) e professionalità maturata (anzianità).

(24)

23

Capitolo 2. Fattore umano: una risorsa da valorizzare

2.1 La rilevanza delle competenze, conoscenze e della motivazione

Le persone hanno caratteristiche individuali,fisiche, psicologiche e sociali che ne differenziano il comportamento e, quindi, il valore che potenzialmente sono in grado di apportare in una relazione organizzativa (33). Le persone sono portatrici del capitale umano che insieme al capitale organizzativo (o capabilities) e al capitale relazionale (o social capital) costituiscono il capitale intangibile di un’organizzazione. Con il termine capitale umano facciamo riferimento all’insieme delle competenze che le persone operanti all’interno dell’organizzazione detengono; questo capitale si costruisce attraverso processi di acculturazione, socializzazione, scolarizzazione e professionalizzazione, tali processi avvengono a livello familiare, in istituzioni pubbliche o private, ma anche in aziende e attraverso percorsi di formazione. Il capitale organizzativo invece è dato dall’insieme delle modalità organizzative adottate per far funzionare in modo efficace ed efficiente la stessa organizzazione. Infine abbiamo il capitale relazionale che rappresenta l’insieme delle relazioni instaurate e sviluppate all’interno e con l’esterno dell’organizzazione. Il motivo per cui parliamo di risorse umane è per l’importanza che questa risorsa detiene nel perseguimento del vantaggio competitivo (34). Ogni persona apporta all’organizzazione competenze, conoscenze e capacità che lo rendono diverso rispetto agli altri. Per competenze si intende sia il diritto o il dovere di conoscere una certa situazione ma anche la capacità di occuparsene in una maniera professionalmente adeguata. Si può distinguere tra competenze professionali (che sono abilità tecniche contestualizzate) e competenze comportamentali (sono molto diverse rispetto alle prime data la loro possibilità di essere facilmente

33 GIOVANNI COSTA, MARTINA GIANECCHINI, Risorse umane: persone, relazioni e valore,

seconda edizione, MCGraw-Hill, Milano, 2009, pagg.40 e segg.

34

INVERNIZZI: << Il vantaggio competitivo è definito da: -una redditività del capitale investito superiore alla media del settore; -una condizione di vantaggio rispetto ai concorrenti basata sul prezzo di vendita (vantaggio competitivo di differenziazione) o sui costi di produzione (vantaggio competitivo di costo), intendendo per questi ultimi non soltanto i costi industriali, ma tutti quelli sostenuti per l’esercizio delle attività aziendali.>> GIORGIO INVERNIZZI (a cura di), Strategia aziendale e vantaggio

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24 trasportate da una situazione aziendale ad un’altra). Secondo Boyatzis (1982) si possono avere due tipi di competenze: competenze di soglia, che sono le caratteristiche minime essenziali per coprire un ruolo, e competenze distintive, che sono quelle caratteristiche che differenziano la prestazione e la portano ad un livello superiore.

Le conoscenze sono un insieme di informazioni, teorie, concetti su un determinato campo disciplinare. Possiamo parlare di conoscenza tacita quando si fa riferimento all’esperienza, alla capacità, all’intuizione della singola persona che lavora nell’organizzazione; parliamo di conoscenza esplicita o organizzativa quando si tratta di conoscenze diffuse a livello organizzativo, è quindi una conoscenza codificata, formalizzata in documenti, procedure, facilmente trasmissibili e conservabili. La vera fonte dell’innovazione e delle capacità decisionali è la conoscenza tacita che ha quindi maggior valore strategico per l’organizzazione. L’obiettivo dell’azienda sarà quello di attivare un processo di conversione della conoscenza da tacita in esplicita.

Rendersi conto dell’importanza della risorsa umana nel perseguimento di performance aziendali positive significa passare da una semplice concezione di amministrazione del personale a una concezione di gestione delle risorse umane.

La prima configurazione, definita di “Amministrazione del personale”, è caratterizzata da una concezione di tipo contabile-amministrativo, con l’obiettivo di amministrare il rapporto di lavoro. In questa configurazione la funzione del personale ha scarse relazioni con il vertice strategico e la linea operativa, ai quali evidenzia vincoli amministrativi e dai quali si limita a ricevere gli input informativi necessari per tradurre le loro scelte gestionali in ordine al personale in atti e rilevazioni coerenti con le norme legislative e contrattuali e con le procedure amministrative. La gestione del personale in termini sostanziali è invece strettamente legata alla gestione tout court ed è quindi effettuata dal vertice strategico e dalla line, senza supporti specialistici, con strumenti tecnici non professionali e politiche non formalizzate. Gli addetti al personale non

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25 interferiscono con le politiche di gestione. Queste, in quanto restano implicite, possono anche essere molto efficaci e apportare un grande contributo alla strategia aziendale. È frequente nelle piccole imprese di successo, nelle quali l strategia aziendale è intrinsecamente legata a una filosofia di rapporto con la risorsa umana ed è gestita da un’unica persona o da un ristretto nucleo di vertice. Questo modello funziona fintanto che per effetto della crescita dimensionale, dell’aumento della complessità della tecnologia, dei processi e dei mercati, o semplicemente per esigenze di ricambio generazionale, è necessario sviluppare processi di delega e attivare meccanismi organizzativi per rinnovare la strategia e controllarne l’implementazione. Il modello inoltre si presta anche in altri casi, come nelle grandi aziende burocratizzate o nelle amministrazioni pubbliche, dove la strategia non presenta particolari connotazioni in termini di gestione delle risorse umane, l’amministrazione del personale finisce con l’essere l’unica dimensione del rapporto con i lavoratori.

Dal punto di vista organizzativo, la funzione è confusa con la direzione amministrativa. La tecnologia è quella tipica dell’amministrazione. Il servizio fornito è di tipo indifferenziato, senza segmentazioni del personale, se non nel limitato grado richiesto dalla classificazione dei lavoratori in alcune grandi classi definite per via legislativa e contrattuale (per esempio dirigenti, quadri, impiegati, operai e lavoratori a progetto). La professionalità degli addetti è generica sugli aspetti gestionali, mentre è normalmente molto sviluppata sugli aspetti giuridico-amministrativi. Possono riscontrarsi anche in materia amministrativa, soprattutto nelle dimensioni minori, supporti di consulenze da parte di professionali (consulenti del lavoro) e di associazioni imprenditoriali. Il limitato impatto di una funzione così concepita sull’assetto organizzativo e sul sistema decisionale dell’azienda ne hanno fatto l’oggetto principale di processi di outsourcing, anche in organizzazioni di rilevanti dimensioni. Il criterio dominante per valutarne la performance è definito dalla correttezza amministrativa e dalla “legittimità” (rispondenza alla normativa legislativa e contrattuale). La cultura, i valori di riferimento e gli orientamenti espressi dagli

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26 addetti al personale possono essere diversi da quelli espressi dall’impresa nel suo complesso.

Una seconda configurazione che può essere definita “Gestione del personale” è caratterizzata in termini gestionali e non solo amministrativi. La direzione del personale definisce politiche specifiche e offre al vertice strategico e alla line operativa i supporti tecnici per implementare le loro scelte strategiche e gestionali in termini di personale. Questa seconda configurazione và ad inglobare la prima configurazione, infatti, anche in questo caso la correttezza giuridico - amministrativa è assicurata, quello che cambia è che l’autonomia a disposizione agli addetti al personale nella implementazione delle proprie politiche può essere distinta:

Autonomia specialistica: che deriva da una collocazione organizzativa autonoma e differenziata rispetto alla funzione amministrativa e alla line.  Autonomia politica: che conferisce ai responsabili del personale un

potere diretto sulle politiche delle risorse umane.

A parte le contingenze che possono aver dato origine alle due concezioni, spesso si riscontra una combinazione dei due approcci, che in termini organizzativi si traduce in collocazione di tipo staff-line. La professionalità degli addetti è normalmente generica per quanto riguarda gli aspetti di gestione aziendale, mentre è elevata sugli aspetti tecnici di direzione del personale con uso di strumentazioni che possono essere anche molto sofisticate e formalizzate.

La valutazione della performance della funzione si basa su criteri di efficienza e di efficacia nell’impiego del personale, con una prevalenza di un’ottica di breve periodo e di soluzione di problemi specifici. La cultura degli addetti è di tipo tecnocratico, con una forte identificazione professionale. Tende ad esserci un rapporto concorrenziale tra la direzione del personale e le altre direzioni funzionali. L’orientamento strategico è rivolto al costo e all’ottimizzazione del rapporto costi/benefici delle diverse politiche del personale. Questa configurazione si presenta come prevalente nelle imprese medie e grandi che

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27 hanno accumulato una certa esperienza nella gestione del personale e hanno risorse da dedicare ad attività specialistiche.

Esiste poi una terza configurazione che può essere definita “ Direzione e sviluppo delle risorse umane” ed è basata sull’adozione di un’ottica strategico - sistemica volta a ricercare organicamente compatibilità e coerenze reciproche tra scelte strategiche e politiche del personale. Le politiche del personale sono in questo caso concepite ed evolvono con la strategia dell’impresa. La business idea (la peculiarità del bene o servizio proposto al mercato) ha in sé la human resource idea (la peculiarità dell’approccio alle risorse umane che producono quel bene o servizio). Entrambe si alimentano inoltre di una visione sistemica dei rapporti tra impresa, ambiente e attori sociali.

La funzione del personale è focalizzata su problematiche strategiche, direzionali e operative ed è integrata nei massimi livelli decisionali dell’impresa. Partecipa al processo di programmazione aziendale non solo ricevendo input, ma anche fornendone. Attraverso le politiche del personale vengono costruiti elementi importanti del vantaggio competitivo. In questa configurazione più globale e integrata, le politiche del personale si collocano rispetto alla strategia aziendale in una posizione proattiva e di anticipazione finalizzata a rimuovere vincoli e a sviluppare opportunità sia per l’azienda sia per i lavoratori. La segmentazione del personale è molto sviluppata ed è alla base di un vero e proprio marketing interno. La segmentazione è pluridimensionale e procede in senso orizzontale (funzionale), professionale e culturale, fono ad arrivare a politiche personalizzate per certi gruppo o per certe figure chiave. L’attenzione agli stakeholder esterni è sviluppata se e in quanto possono influenzare l’immagine sociale dell’azienda. In ordine alla collocazione organizzativa, in questa configurazione risulta chiarita la problematica del rapporto staff-line. Da una parte, c’è l’esigenza, per ragioni di economie di scala e di unità di direzione, di concentrare certe funzioni, di renderle omogenee e coerenti con la cultura aziendale, di affidarle a dirigenti dotati di un’elevata professionalità specifica. Da un’altra parte, c’è l’esigenza, apparentemente contraddittoria rispetto alla prima, di responsabilizzare la line, di

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28 dotarla di una capacità di iniziativa e di risposta autonoma e rapida, di avvicinare il momento in cui sorgono i problemi e il momento della loro soluzione, di utilizzare e valorizzare le competenze di chi è a contatto immediato con il personale e con le problematiche funzionali.

Ci sono diversi elementi che incidono sulla prestazione delle singole persone, uno di questi elementi è appunto la motivazione. Il motivo per cui studiamo la motivazione è per essere in grado di rispondere a domande quali: perché le persone agiscono in un certo modo?e ancora quali sono le spinte che guidano i loro comportamenti?

Prima di rispondere a queste domande, prima quindi di andare ad analizzare la motivazione delle persone dobbiamo dire che ci sono diverse prospettive in grado di considerare l’organico di un’organizzazione.

La prima prospettiva è la più immediata e riguarda alcune caratteristiche quali: 1. Caratteristiche demografiche: genere, età, condizione familiare, residenza,

titolo di studio;

2. Condizioni professionali: come qualifica, posizione o ruolo ricoperti, retribuzione, anzianità nell’azienda, nella qualifica, nella posizione ricoperta. 3. Comportamenti lavorativi: quali mobilità orizzontale e verticale, tasso di

assenteismo e turnover, turni, trasferte, ore straordinarie e così via.

La seconda prospettiva classifica queste informazioni rispetto alla posizione o al ruolo ricoperti e introduce elementi di valutazione soggettiva quali l’adeguatezza, l’impegni, la coerenza con i fabbisogni dell’organizzazione.

Infine, la terza prospettiva,considera le persone in sé, senza porre particolare attenzione alla loro rispondenza a specifiche esigenze di ruolo; in questo contesto l’unico elemento di stabilità è rappresentato dalle caratteristiche delle persone e dalla loro capacità di dare nuovi contenuti a ruoli e posizioni.

Definiamo ora cosa si intende per motivazione: con tale termine si identifica il complesso processo delle forze che attivano, dirigono e sostengono il

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29 comportamento dell’uomo nel corso del tempo. La motivazione è funzione di un sistema di variabili costituite non solo dai bisogni e dai desideri dell’individuo, dai suoi valori o dalle sue aspettative, ma anche dalla natura dei compiti svolti, dal tipo di relazioni che contraddistinguono l’ambiente di lavoro, dalla struttura e dalla cultura dell’organizzazione in cui l’individuo lavora. La motivazione può essere analizzata secondo due criteri: in base ai contenuti, cioè le ragioni che spingono ad adottare un certo comportamento, e in base al processo, cioè la dinamica attraverso la quale si passa da un insieme di bisogni a una linea di condotta.

Partendo dall’analizzare la motivazione secondo il contenuto, lo studioso al quale facciamo riferimento è Maslow (1954) secondo il quale il contenuto delle motivazioni all’azione si origina dal bisogno, inteso come carenza di un “oggetto” desiderato, in modo tale che la persona orienta il suo comportamento per raggiungerlo e per soddisfare il relativo bisogno. I bisogni di base non sono tutti uguali e si distinguono, in funzione dell’oggetto cui sono rivolti:

Bisogni fisiologici: riguardano le necessità fondamentali dell’individuo (mangiare, vestirsi, ripararsi), e costituiscono la premessa necessaria di ogni altro desiderio;

Bisogni di sicurezza: cioè la possibilità di garantirsi una sicurezza fisica e psicologica duratura;

Bisogni di appartenenza: relativi al desiderio di crearsi una rete relazionale in cui si è riconosciuti e si riceve approvazione;

Bisogni di stima: distinti in bisogni di autostima e etero stima (desiderio di essere riconosciuti dagli altri per il proprio lavoro);

(31)

30  Bisogni di autorealizzazione: il desiderio di realizzare tutte le proprie potenzialità e la cui soddisfazione si manifesta nell’accettazione di sé (35).

I primi due ordini di bisogni si definiscono primari mentre gli ultimi tre ordini di bisogni si definiscono superiori ;se i bisogni primari non soddisfati, almeno ad un livello accettabile, i bisogni di livello superiore non vengono presi in considerazione dall’individuo.

Sempre per quanto riguarda l’analisi della motivazione secondo il contenuto un altro studioso che ci aiuta in questo è McClelland (1961) il quale considera tre ordini di bisogni che sono parzialmente riconducibili ai bisogni superiori di Maslow; questi bisogni sono il successo (è il bisogno di affermarsi tramite lo sforzo individuale), il potere (è il bisogno di possedere uno status riconosciuto ed essere in grado di influenzare gli altri) e l’affiliazione (è il bisogno di stabilire, mantenere o ripristinare un rapporto personale con gli altri). A differenza di Maslow, McClelland afferma che i bisogni non sono statici nel tempo e possono variare a seconda della storia personale degli individui.

Un altro importante contributo è stato fornito da Herzberg che con il suo modello sposta l’attenzione dai bisogni dell’individuo ai fattori dell’organizzazione che generano soddisfazione e, quindi, un atteggiamento positivo nei riguardi del lavoro. Herzberg ha individuato due categorie di fattori:

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31  Fattori igienici: sono relativi al contesto di lavoro (es. retribuzione, condizioni di lavoro ecc.) la cui assenza genera insoddisfazione ma la cui presenza non genera soddisfazione;

Fattori motivanti: sono relativi al contenuto del lavoro (es. riconoscimenti del lavoro svolto, possibilità di carriera ecc..) la cui presenza origina un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro svolto.

Passando invece ad analizzare la motivazione in base al processo, il contributo maggiore è stato offerto da Vroom (1964); l’assunto di base è che le persone indirizzano i loro sforzi verso i comportamenti e azioni che portano a ricompense desiderabili. L’individuo esamina la valenza della ricompensa, fa cioè una valutazione di quanto la ricompensa prospettata sia per lui desiderabile; al termine di questa valutazione, la persona decide il livello di sforzo da impiegare nella sua attività, questa viene definita aspettativa ed è condizionata da fattori esogeni e organizzativi. Effettuata questa seconda valutazione, rimane solo un ultimo elemento da considerare relativo al legame tra il risultato ottenuto e la ricompensa, questo elemento viene definito strumentalità.

(33)

32

2.2 Il processo di reclutamento, selezione, inserimento e valutazione del personale

Il processo di acquisizione del personale in ambito privato si sviluppa in una serie di fasi di seguito riportate (reclutamento, selezione, accoglimento, inserimento).

Per avere all’interno dell’organizzazione “ le persone giuste al posto giusto” è fondamentale utilizzare in maniera adeguata e corretta tutte le fasi del processo che portano ad attirare in azienda il capitale umano.

La prima fase di tale processo è il reclutamento che ha l’obiettivo di trovare le persone con le caratteristiche adeguate alle richieste della strategia; il reclutamento è quindi l’insieme delle attività attraverso le quali l’impresa esprime la propria domanda di lavoro e attiva nei propri riguardi l’offerta potenziale di lavoro, monitorando allo stesso tempo le dinamiche evolutive del mercato (36). L’azienda può decidere di reclutare all’interno, ossia utilizzare la mobilità interna che ha il vantaggio principale di favorire la stabilità dei rapporti di lavoro, di incentivare e motivare i lavoratori, di permettere un aumento del ritorno degli investimenti in formazione e di ridurre i costi di selezione e inserimento; per contro, esiste però il pericolo di privilegiare una conservazione della cultura aziendale esistente, che può essere fonte di rigidità e di resistenze al cambiamento non lasciando la possibilità all’azienda di far entrare persone che apportano nuove idee e professionalità quindi rischio di obsolescenza professionale del capitale umano organizzativo. Il presupposto principale per questo tipo di reclutamento è che l’impresa sia dotata di un sistema di monitoraggio delle professionalità sempre aggiornato, di regole per l’assegnazione dei posti di lavoro e di strumenti per stimare le conseguenze degli spostamenti.

Un'altra opportunità che l’azienda ha a disposizione è invece il reclutamento all’esterno che permette di superare i rischi tipici del reclutamento interno ma

36 GIOVANNI COSTA, MARTINA GIANECCHINI, Risorse umane, persone, relazioni e valore,

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