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I B OII CISALPINI NELL ’ ETNOGRAFIA CLASSICA TRA ANNOTAZIONI SPECIFICHE E GENERICHE

Se il modo in cui le etichette “Celti”, “Galati” e “Galli” erano concepite da quanti, nella letteratura greca e latina, appaiono come i Boii cisalpini è largamente, se non del tutto, oscuro, il punto di vista classico, lo abbiamo detto e ripetuto, è a tal proposito inequivoco. Ora, questo è un fenomeno non privo d’impatto sulle annotazioni etnografiche classiche relative ai Boii cisalpini. Torniamo alla narrazione liviana di quanto, nel 216, seguì la morte di L. Postumio Albino. Tale racconto, da un lato, contiene il dettaglio, esclusivamente legato ai Boii, dell’esistenza in Cispadana di un templum sanctissimum, dall’altro, include la menzione di un mos (il trattamento rituale del cranio di Postumio) detto proprio dei Boii che, però, non deve trarre in inganno1096. Qui sembra esserci un rinvio a una peculiare attenzione alla testa umana intesa come tipica dei Boii non in quanto Boii ma in quanto, più genericamente, Galli. La pratica di taglio, trattamento e conservazione delle teste dei nemici uccisi, infatti, è tra i motivi ricorrenti nell’ambito di ciò che gli autori classici considerano tipico della barbarie dei Celti/Galati/Galli in quanto tali, se non, ancora più in generale, in quanto genti settentrionali1097. Rispetto ai Galli passati in Italia, lo stesso Livio non limita certo l’uso di decapitare i nemici e conservarne le teste ai soli Boii1098. In indubbia connessione col fatto che, nella letteratura classica, si siano dati sviluppi etnografici consistenti sui Celti/Galati/Galli

1094 GAMBARI 2004, pp. 14-15 e relativa nota 23; id. 2007, p. 257. 1095 MARINETTI,SOLINAS 2016, p. 62.

1096 Liv., XXIII, 24, 11-12.

1097 V., in particolare, Strab., Geogr., IV, 4, 5 (= Posid., fr. 55 Jacoby); Diod. Sic., V, 29; XIV, 115. 1098 V. Liv., X, 26, 7-11, in cui a essere in questione sono i Galli Senoni.

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ma non sul sottoinsieme boico, nel corpus dei testi greco-latini in cui appaiono i Boii della Cisalpina, si ritrova tutta una serie di rilievi attribuiti a questi ultimi non in quanto tali, ma in quanto membri della più vasta famiglia celtica/galatica/gallica. Di simili rilievi ne abbiamo già incontrati diversi. Le note liviane sui corpi dei guerrieri boici, incapaci di sopportare il calore del sole e la sete, o sul fatto che i Boii siano stoltamente baldanzosi, impazienti e inesperti nelle tecniche d’assedio si lasciano facilmente ricondurre alla rappresentazione di un livello d’identità più alto di quello incarnato dall’etichetta “Boii”. Alle spalle di simili rilievi e di altri che vedremo sta lo stereotipo consueto del Celta/Galata/Gallo pallido, alto, biondo, barbuto, impulsivo, sempliciotto, bellicoso, spaventosamente rumoroso in battaglia, amante dell’oro e ubriacone, un tipo d’individuo che proviene da una terra fredda e che, soprattutto, è l’Altro settentrionale, il barbaro sfrenato e primitivo, rimasto fuori dalla civiltà, eminentemente urbana e mediterranea, sviluppatasi presso i Greci e poi presso i Romani1099. Se stiamo ad Appiano, i Boii sono semplicemente l’e[qno" celtico più selvaggio1100. Anche vari passaggi di Silio Italico costituiscono altrettante applicazioni ai Boii di quanto era più generalmente ritenuto caratteristico del gruppo inglobante1101. I Boii sconfitti da C. Flaminio Nepote nel 223 erano membri di una gens instabile nei sentimenti e priva d’astuzia1102 e possedevano corpi giganteschi, addirittura nati dalla terra1103, col che Silio pare voler assimilare i Boii ai Giganti, figli appunto della Terra1104. Corpi giganteschi hanno pure i Boii guidati da Crixus alla battaglia del Ticino1105. Crixus stesso si distingue per la taglia spropositata e, di nuovo, torna il parallelo coi Giganti, che qui prende la forma di un paragone con Mimante. Altri caratteri fisici di Crixus sono il collo candido, la barba ispida e il petto ferino. Il ritratto siliano, che rende questo Boio l’incarnazione del generico Celta/Galata/Gallo portatore di un certo tipo d’identità negativa, include anche attesi stereotipi caratteriali e comportamentali: Crixus è un barbaro, che in battaglia mostra impeto eccessivo e disprezzo della morte e che strepita intorno ai nemici, arrivando a emettere veri e propri ululati. Crixus non manca, poi, di palesare amore per l’oro, o più genericamente per lo sfarzo. Se quanto a preziosità i suoi giavellotti, la sua spada e la sua corazza in strati di lino non si segnalano particolarmente, d’oro sono il suo torquis e il morso del suo cavallo e d’oro sono decorati il suo elmo e le sue vesti; sul suo scudo, poi, come già sappiamo, sono raffigurati proprio i Celti che pesano l’oro sulla rocca Tarpea. Completa il quadro la gualdrappa della montatura, decorata da porpora sidonia1106. In linea con la rappresentazione di Crixus è anche quella di Ducarius, il quale, lo abbiamo detto, nella versione siliana degli eventi è un Boio che alla battaglia del Trasimeno (217), armato di telum, affronta Flaminio, per vendicare la sconfitta subita dai Boii a opera di quest’ultimo nel 223. Ducarius è presentato come un barbaro violento e selvaggio sia nell’aspetto, sia nella mente1107. Quanto all’idea che il nome portato da Ducarius sia tipico della gens di quest’ultimo1108, bisogna senz’altro pensare che Silio vi sentisse una “consonance celtique”1109, piuttosto che un tratto precisamente boico. Sappiamo che, stando ai Punica, alla battaglia del Trasimeno, Flaminio indossava l’elmo sottratto nel 223 al re dei Boii Gargenus. Silio offre una colorita descrizione di quest’elmo: in bronzo e pelle di foca, sulla sommità esso avrebbe esibito una triplice cresta ornata da capelli svevi, nonché un mostro marino, la famosa Scilla1110. Non è questo il luogo per esplorare gli spunti letterari e materiali che potrebbero aver ispirato tale descrizione1111. Però, possiamo almeno notare che la menzione di capelli svevi pare testimoniare la disinvoltura con cui Silio “maneggia” gli etnonimi, qui comunque operando una scelta che mantiene la proiezione settentrionale posseduta, per un autore latino, anche dalle etichette Celtae e Galli coi loro vari sottoinsiemi. Un ultimo, possibile esempio d’applicazione ai Boii di note etnografiche tratte da più generali rappresentazioni dei Celti/Galati/Galli è fornito dalla menzione di Scilla, inserita da Silio forse anche pensando al brano di Diodoro in cui si parla degli elmi galatici in bronzo sormontati da teste di uccelli o quadrupedi1112.

1099 GOUDINEAU 1990, pp. 86-93; id. 2007, pp. 83-108; THOLLARD 2006, p. 21; WILLIAMS 2001, pp. 43-45. 1100 App., Celt., 1.

1101 Cfr. SPALTENSTEIN 1986, pp. 277, 288, 323, 345. 1102 Sil. Ital., Pun., IV, 704-706.

1103 Sil. Ital., Pun., V, 107-113.

1104 SPALTENSTEIN 1986, p. 345. L’assimilazione dei Keltoiv/Galavtai a forze mitologiche del caos come i Giganti o i Titani si trova sia

in ambito letterario, sia nelle arti figurative. Celeberrimo è il fregio del Grande Altare di Pergamo in cui la definitiva vittoria degli Attalidi sui Galati è accostata alla vittoria degli dei sui Giganti (ANDREAE 1991, p. 67). Nella letteratura greca, ricordiamo almeno Callimaco, che facendone gli ultimi Titani (Callim., Hymn., 4, 174) presenta i Celti/Galati come i nemici dell’ordine olimpico (DOBESCH 1991, p. 36), e Dionisio di Alicarnasso, che riporta quattro diverse spiegazioni dell’origine del coronimo Keltikhv, a

partire da quella secondo cui il termine sarebbe derivato dal nome di un gigante, Keltov", che su questa terra regnava (Dion. Hal., Ant. Rom., XIV, 1, 3).

1105 Sil. Ital., Pun., IV, 148-149.

1106 Sil. Ital., Pun., IV, 148-156, 175-185, 248-294. 1107 Sil. Ital., Pun., V, 644-651.

1108 Sil. Ital., Pun., V, 645-646. 1109 SPALTENSTEIN 1986, p. 385. 1110 Sil. Ital., Pun., V, 130-139.

1111 Per alcune, possibili indicazioni in questo senso, v. GAWROŃSKI 2018, p. 192; SPALTENSTEIN 1986, p. 347. 1112 Diod. Sic., V, 30; SPALTENSTEIN 1986, p. 347.

Qua e là nei testi classici, abbiamo incontrato vari riferimenti a manufatti associati ai Boii cisalpini, inclusi gli elenchi più o meno ricchi di quanto le truppe romane si sarebbero portate via dall’ager Boicus, fra il 225 e il 191. Al di là delle elaborazioni letterarie dedicate da Silio allo scudo di Crixus e all’elmo di Gargenus, tuttavia, non abbiamo potuto ricordare descrizioni dettagliate di oggetti attribuiti ai Boii, né potremo farlo in seguito. Disponiamo, però, di quella vivace descrizione dell’esercito schierato dai Celti a Talamone (225) che si pensa essere giunta a Polibio dalla testimonianza oculare di Fabio Pittore: tale descrizione include riferimenti alla cultura materiale e su di essa conviene spendere qualche parola. Alcuni elementi sono attribuiti da Polibio al complesso dell’esercito messo in campo da Boii, Taurisci, Insubri e Gesati: è questo il caso dei carri (a quattro ruote), dei tiri a due1113, degli innumerevoli corni e trombe, nonché della pratica dei canti di guerra1114. Spiccatamente messo in rilievo è il “paesaggio sonoro” della battaglia: incontriamo nuovamente il motivo dello strepito spaventoso, che qui è però quello generato da un intero esercito1115. Torniamo a incontrare anche la pratica del taglio e della conservazione della testa del nemico ucciso, qui recata ai basilei'" dei Celti: questa volta, la sorte della decapitazione tocca a C. Atilio Regolo1116. Nel testo polibiano, non si riscontra l’assegnazione ai Boii di elementi loro esclusivi. Nondimeno, è esibita un’appariscente differenza nel costume bellico fra, da un lato, i cisalpini Insubri e Boii e, dall’altro, i transalpini Gesati. I guerrieri dei due gruppi cisalpini scesero in campo con indosso le brache (ajnaxurivde") e dei mantelli (savgoi) leggeri1117. Al contrario, i Gesati gettarono via questi abiti, per combattere con le sole armi (fra cui lo scudo Galatikov"), restando nudi, salvo che per i collari (maniavkai) e i bracciali d’oro1118. Per quanto concerne il vestiario, a distinguere i Boii e gli Insubri dai Gesati non è la presenza o l’assenza di brache e mantelli, ma la scelta se tenerli addosso o no in combattimento. È possibile che, non molto tempo dopo la battaglia di Talamone, la compresenza di guerrieri nudi o quasi e di altri invece abbigliati fosse parte del modo in cui, da un punto di vista romano, era visivamente rappresentato lo stereotipo del generico Gallo. Potrebbero mostrarlo le figure dei guerrieri “popolanti” il celebre fregio fittile scoperto a Civitalba (Ancona), che doveva ornare un tempietto eretto verso l’inizio del II secolo, forse per celebrare la conquista della Gallia cisalpina da parte dell’Urbe con un edificio posto non lungi dal sito in cui aveva avuto luogo un episodio importante nella storia dei conflitti romano-gallici, la battaglia di Sentino del 295. Per la presenza di figure sia nude sia vestite, così come per vari altri dettagli, il fregio di Civitalba è assai vicino alla descrizione polibiana dei guerrieri che combatterono a Talamone1119. Domandarsi quanto, in tale descrizione, possa dipendere da eso-stereotipi già radicati all’epoca di Polibio, se non a quella di Fabio Pittore, è lecito1120. D’altro canto, rimane ben possibile che il vivido e dettagliato resoconto polibiano derivi, almeno in parte, dalla genuina esperienza di un testimone oculare (e auricolare!) come Fabio Pittore: senza costituire una prova incontrovertibile, potrebbe supportare quest’idea l’attenzione prestata all’impatto emotivo avuto sui soldati romani sia dall’ascolto del frastuono prodotto dall’armata celtica, sia dalla visione di guerrieri nemici denudatisi per combattere1121. Per quanto in seguito, se non già nel 225, la presenza simultanea di guerrieri nudi e vestiti possa essere rientrata in uno stereotipo circolante in ambito romano a proposito di ogni Gallo (cisalpino o transalpino), durante la battaglia di Talamone, potrebbe essersi concretizzata l’eventualità che, dal punto di vista di soldati al servizio dell’Urbe, la dicotomia fra uso e non uso degli abiti contribuisse a segnare il confine fra l’appartenenza di nemici a una gallicità cisalpina (boica e insubre) e una transalpina (gesatica). Benché l’identità boica non sia specificamente implicata, apparendo qui “fusa” con quella insubre, potremmo comunque avere a che fare con l’interessante riflesso dell’uso, da parte di soldati al servizio della res publica romana del tardo III secolo, anche o solo di un criterio visivo per discriminare fra diverse declinazioni dell’alterità gallica. Di per sé, l’impiego da parte degli attori sociali d’indizi visivi per giudicare l’appartenenza etnica di singoli (e certo anche di gruppi localizzati d’individui come la frazione di un esercito) rappresenta un fenomeno assolutamente comune1122.

Nel resoconto della battaglia di Talamone, s’individua anche un dettaglio almeno in parte rivelatore dell’etnocentrismo di Polibio o delle sue fonti. Si tratta di quanto il Megalopolitano afferma sulla pretesa inferiorità delle armi galatiche (scudi e spade) rispetto ai corrispettivi romani1123. Il passaggio in esame è lacunoso, ma sappiamo da un altro brano concernente un episodio dell’ultimo quarto del III secolo che Polibio giudicava di scarsa qualità le spade celtiche/galatiche dell’epoca, le quali, in particolare, avrebbero avuto lame deboli al punto di

1113 Polyb., II, 28, 5. 1114 Polyb., II, 29, 6. 1115 Polyb., II, 29, 5-6. 1116 Polyb., II, 28, 10. 1117 Polyb., II, 28, 7; 30, 1. 1118 Polyb., II, 28, 8; 29, 7-8; 30, 2-3.

1119 Cfr. ANDREAE 1991, pp. 61-62; TORI 2006b; VERZAR,PAIRAULT-MASSA 1978; WILLIAMS 2001, pp. 45-46. 1120 V., per esempio, LUCAS 2009, p. 13.

1121 Polyb., II, 29, 5-7. Cfr. FOULON 1997, p. 105; MUSTI 2001, nota 2, p. 656 (J. Thornton); PÉDECH 1964, p. 481.

1122 HOROWITZ 1975, pp. 119-121; id. 1985, pp. 45-47; POUTIGNAT,STREIFF-FENART 20082, pp. 164-166. Per un approfondimento

specificamente dedicato al tema degli indizi visivi d’identità etnica individuale, v. FRANC cds e, per ora, id. 2017, pp. 153-156.

1123 Polyb., II, 30, 7-8.

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piegarsi al primo colpo1124. La realtà così com’è nota dalla documentazione archeologica è più complessa. Se ci riferiamo alle spade in uso nella Cisalpina celtica per le fonti classiche al tempo di cui parla Polibio, si ha a che fare con lame lateniane della fine del La Tène C 1, che almeno in parte non potevano comportarsi come pretende lo storico1125. Probabilmente azzeccata è l’idea che, per Polibio, le spade celtiche rappresentassero l’equivalente materiale del carattere celtico: il Celta, così come la sua spada, sarebbe stato “fearsome but poorly constituted, and liable to fall apart after the initial onslaught if resolutely resisted”1126.

Un luogo in cui l’etnocentrismo polibiano è evidente è quel passaggio prettamente etnografico dell’excursus sui Keltoiv/Galavtai d’Italia che, come detto, è quanto più si approssima a uno sviluppo etnografico classico sui Boii, dato che in esso si legge uno schizzo dei caratteri della società celtica cisalpina nel suo complesso. Secondo Polibio, gli e[qnh che formavano i Celti/Galati d’Italia abitavano per villaggi (kw'mai) sprovvisti di mura, restando estranei ad altre forme di costruzione1127 (è possibile che, parlando dell’assenza di mura, Polibio intendesse riferirsi alla mancanza di strutture in materiali durevoli del tipo di quelle presenti nelle città greche e romane e non necessariamente all’assenza d’ogni genere di difesa1128). La vita dei Celti/Galati era semplice: dormivano su pagliericci, si nutrivano di carne e praticavano solo la guerra e l’agricoltura, ignorando ogni altra scienza e arte. I loro beni personali consistevano nel bestiame e nell’oro, poiché solo questi averi potevano, all’occorrenza, essere trasportati ovunque con facilità. La massima importanza era attribuita alle eJtaireivai: questo perché, tra i Celti/Galati, il più temuto e potente era colui che, per fama, possedeva il maggior numero di qerapeuvonte" e sumperiferovmenoi1129. Come interpretare tale breve ma denso e discusso brano? A nostro parere, il modo più maturo di leggerlo consiste nel guardarsi da due opposti estremismi. Ovviamente erroneo sarebbe affidarsi ingenuamente al passaggio polibiano come a una registrazione disinteressata e neutrale di un corpus di dati coerenti, obiettivi e indipendenti dal punto di vista del narratore. Tuttavia, riteniamo pure che quello in esame ricada fra i testi etnografici premoderni che sarebbe ipercritico leggere quali meri costrutti letterari. A nostro parere, la rappresentazione di Polibio non va cioè presa come frutto di un discorso tutto interno al mondo classico, elaborato riproducendo stereotipi già esistenti sui barbari celtici oppure sottoponendo al lettore nuove invenzioni (create invertendo norme ritenute proprie della civiltà o in altro modo), ma comunque affermando cose che poco o nulla dovevano ai soggetti descritti1130. Senza dubbio, qui abbiamo a che fare con un esempio, in forma scritta e retrospettiva, delle complessità inerenti a quella che può definirsi “dimensione conoscitiva dell’etnicità”. Con ciò facciamo riferimento alle situazioni in cui processi di ricezione di dati su collettività più o meno vicine nello spazio e nel tempo s’intrecciano a processi di categorizzazione e rappresentazione etnica, dando luogo a quel gioco complesso fra realtà e immaginario donde sempre scaturiscono i giudizi interculturali, condizionati anche dalla tendenziale resistenza degli stereotipi all’afflusso d’informazioni che, in teoria, potrebbero smentirli1131. In questa sede, sarebbe ovviamente impossibile addentrarsi nel dettaglio di ogni pista aperta dal brano polibiano, giacché per far questo bisognerebbe avviare un’analisi di tutta la Cisalpina della seconda età del Ferro. Ci accontenteremo, dunque, di un ridotto numero d’osservazioni.

La prima cosa, ovvia, da ricordare è che Polibio, il quale non a caso si esprime all’imperfetto, intende dipingere un quadro etnografico della Cisalpina di un tempo, quella dell’età celtica, post-etrusca e pre-romana. Come sappiamo, il passaggio in esame si pone dopo la descrizione del mosaico etnico prodottosi con l’invasione dei Celti e la cacciata dei Tirreni dalla pianura padana e, più generalmente, in un excursus destinato a mostrare su quali uomini e luoghi Annibale avesse confidato nel suo intento d’abbattere il dominio romano. Tra l’altro, nei termini della storia così com’è narrata da Polibio, un’etnografia dei Celti cisalpini non può che essere dedicata a outsiders del passato: si ricorderà come, con un chiaro riferimento al suo soggiorno in Cisalpina1132, Polibio affermi di poter testimoniare personalmente il fatto che, poco dopo la fine delle guerre contro di loro, Roma avesse scacciato i Celti dalla pianura padana, salvo che da pochi luoghi ubicati appena sotto le Alpi1133.

Se si guarda con “occhi storiografici moderni” alla pianura padana dei tempi compresi fra l’inizio del IV e l’inizio del II secolo (quelli che vanno dall’arrivo di numeri consistenti di transalpini archeologicamente lateniani1134 alla

1124 Polyb., II, 33, 3-5. L’episodio in questione è la citata battaglia sostenuta nel 223 da C. Flaminio Nepote e P. Furio Filo con dei

Celti che Polibio considera di sottogruppo insubre e Silio Italico, invece, boico.

1125 VITALI 2002b, pp. 105-106, 117-118. V. anche LEJARS 2014, p. 407. 1126 WILLIAMS 2001, p. 220.

1127 Polyb., II, 17, 9. Seguiamo qui la convincente interpretazione del passaggio polibiano suggerita in PEYRE 1992, pp. 36-37; id.

2008. V. anche VITALI 1996, p. 338; id. 2004b, pp. 281-282.

1128 VITALI 2004b, pp. 281-282. 1129 Polyb., II, 17, 10-12.

1130 Per il retroterra teorico di quest’impostazione, v.TESTART 2006, p. 388; id. 2010, p. 203; WOOLF 2009. Per alcune riflessioni sulla

rappresentazione dei Celti in Polibio, v. BERGER 1992, pp. 122-123.

1131 Su questi temi, v. FRANC cds e, per ora, id. 2017, pp. 44, 90. 1132 BERGER 1992, nota 5, p. 106.

1133 Polyb., II, 35, 4.

1134 V., per esempio, COLLIS 2003, p. 193.

sottomissione definitiva a Roma1135), il brano etnografico polibiano appare come un miscuglio tra, da un lato, dichiarazioni più o meno in sintonia con dati contenuti in altri brani classici e/o nel record archeologico e, dall’altro, affermazioni in contrasto con ciò che è altrimenti noto delle popolazioni descritte. Un dettaglio che non deve sfuggire consiste nel fatto che il brano polibiano già al suo interno e, poi, nel confronto con altri passaggi delle Storie soffra d’incoerenze. È senz’altro necessario ricordare che le opinioni degli archeologi moderni sono ben lontane da quanto Polibio lascia intendere circa le abilità artigianali dei cisalpini di “età celtica”1136. Occorre però anche rilevare il contrasto fra, da un lato, la pretesa, totale indifferenza dei Celti cisalpini per le tecniche esulanti dalla sfera bellica o agricola e, dall’altro, un interesse celtico per la lavorazione dei metalli preziosi implicitamente attribuito da Polibio anche ai cisalpini1137. Poi, tutto all’interno del brano etnografico polibiano, come conciliare l’evidente riferimento a una forma di nomadismo1138 con la menzione dell’agricoltura? C’è chi ha sostenuto che l’affermazione polibiana sul bestiame e l’oro quali unici beni dei Celti d’Italia in quanto soli averi facilmente trasportabili si riferisce a una situazione antica e temporanea: si tratterebbe del modo di vita di transalpini recentemente arrivati in Italia e non ancora sedentarizzati1139. La menzione della pratica agricola, invece, farebbe riferimento a tempi più recenti, con la possibilità che il dettaglio derivi dall’autopsia polibiana della Cisalpina di metà II secolo1140, cosa non impossibile, anche se è più probabile che Polibio traesse quest’elemento dalle sue fonti sulla Cisalpina di III-II secolo. Ora, la rappresentazione polibiana è priva d’ogni esplicita scansione temporale e non c’è da dubitare che l’autore la ritenesse valida per tutta l’età celtica della Cisalpina: la durata nel tempo passato conferita da Polibio alle pratiche celtiche cisalpine attraverso l’uso dell’imperfetto1141 va senz’altro fatta arrivare sino alle soglie dell’età romana. Questo, certo, non toglie che Polibio possa aver tracciato un quadro incongruente mescolando dettagli cronologicamente sfasati. Il fenomeno per cui un autore associa al medesimo gruppo tratti fra loro contraddittori, rendendo compresenti stereotipi formatisi in tempi e contesti diversi, è possibilmente riconoscibile in vari luoghi dell’etnografia classica1142. Nel caso in oggetto qui, però, non siamo obbligati a