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S INTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI DELLA RICERCA

Per finire, riassumiamo schematicamente i principali risultati ottenuti con la ricerca condotta sin qui. Sul piano teorico, abbiamo mostrato quanto complesso e delicato sia studiare antroponimi tratti da etichette etniche, se si spera di estrarre dalla loro analisi frammenti d’antichi fenomeni etnici. Sempre in campo teorico, ricordiamo le argomentazioni grazie alle quali possiamo ormai affermare che una pluralità di cause può essere all’origine del fenomeno per cui testi letterari e/o epigrafici classici situano popolazioni con nomi simili o uguali in territori non contigui del mondo antico: quello della migrazione che porta con sé un appellativo da un luogo all’altro è solo uno fra diversi scenari possibili.

Passiamo a quanto, con maggiore o minore certezza secondo i casi, siamo giunti ad affermare sull’etnonimo “Boii”, in generale, e sulla boicità cisalpina, in particolare. “Boii” sembra giudicabile come un appellativo coniato (una o anche più volte) da celtofoni, probabilmente come endoetnonimo. Però questo non significa che, in ciascuno dei vari luoghi e tempi in cui gli autori classici collocano dei Boii, siano per forza vissuti individui che, situazionalmente, come Boii potevano riconoscersi. Per parte sua, la tesi secondo cui tutti i Boii documentati come tali in giro per il continente europeo dalle diverse fonti scritte andrebbero ricondotti, in ultima analisi, a una sola Urheimat non risulta essere ben fondata, a prescindere dal fatto che si voglia identificare l’Urheimat con la Boemia o con un altro territorio centro-europeo. In particolare, non è per niente sicuro che la boicità cisalpina “discenda” dal fatto che transalpini siano giunti in Italia già portando con sé l’etnico “Boii”, quale endo- e/o eso-etnonimo. Nella letteratura classica sulla Cisalpina, l’etnico “Boii” dovette entrare grazie alla registrazione di un’etichetta effettivamente circolante nell’Italia settentrionale preromana, anche come endoetnonimo. Ora, non è escluso che si sia trattato della ripresa di un’endodefinizione sviluppatasi all’interno della Cisalpina, forse nel III secolo, o magari già verso il tardo IV.

Dal loro punto di vista esoetnico, essenzialista e per lo più retrospettivo, gli autori classici dipingono come un mosaico di gruppi (celtici e non) il popolamento cisalpino al tempo in cui l’Italia settentrionale era complessivamente sentita come una Celtica/Galazia/Gallia. Non inaspettatamente, dal complesso delle fonti risulta però un’immagine imprecisa, se non contraddittoria, delle aree che sarebbero dovute spettare a ogni gruppo. Vi sono inoltre grandi diversità nella frequenza con cui i nomi di sottoinsiemi dei Celti/Galati/Galli sono evocati, andando da quelli citati spesso a quelli poco menzionati, per arrivare a quelli di cui s’intravede la totale caduta nell’oblio. Gli etnonimi di gruppi celtici cisalpini erano sentiti dagli autori classici come etichette che avevano coperto entità più o meno importanti nella storia politico-militare che aveva coinvolto o almeno interessato Roma. Nel decidere se menzionare o no un’etichetta, gli autori spesso dovettero essere guidati dal protagonismo e/o rilievo politico-militare che, in base ai dati loro disponibili, riconoscevano al gruppo designato da quell’etichetta. I sottoinsiemi dei Celti/Galati/Galli cisalpini più citati (Insubri, Cenomani, Boii e Senoni) non sono solo gruppi cui era riconosciuta una diversità etnica all’interno della più vasta famiglia celtica/galatica/gallica. Sono anche gruppi cui si tendeva a riconoscere uno stabile ruolo di unità politiche autonome, di distinti attori politico-militari in rapporto con lo stato romano. Rarissima è la segnalazione di una presenza insediativa boica a nord del Po, mentre “Boii” è rappresentato dagli autori classici come il nome della principale, anche se non unica, entità insieme etnica e politica di una parte della Cispadana.

Nel III-II secolo, quest’entità dovette realmente corrispondere a un’organizzazione sociale classificabile come un’unità politica, che poté giocare il ruolo d’interlocutrice politico-militare di Roma: essa doveva disporre di una sua autonomia decisionale ed esercitare una forma di sovranità su una porzione della Cispadana. I dati estraibili da una minuziosa analisi del “dossier Boiorix”, poi, plausibilmente dimostrano la sussistenza, presso celtofoni cispadani d’inizio II secolo esodefiniti come boici dagli autori classici, di un’endodefinizione etnica collettiva all’insegna dell’etnonimo “Boii”, la quale è senz’altro proiettabile un po’ indietro nel tempo, come minimo alla fine del III secolo. Nel complesso, si può affermare che all’entità politica classificata come boica dagli autori classici corrispose, almeno tra la fine del III e l’inizio del II secolo, anche un vero e proprio gruppo etnico con tanto d’autocoscienza dei diretti interessati, sicché quella boica cispadana può essere definita come un’entità effettivamente etno-politica. Non è

1245 In uno studio simile, si dovrebbe anche integrare la valutazione del caso della possibile menzione epigrafica di una [Bon]onia

Boio[rum] nella Roma dell’età imperiale (FERRUA 1962, p. 123 [no. 28]).

tuttavia impossibile che, in età preromana, siano esistite pure comunità cisalpine che si riconoscevano etnicamente come boiche, ma non erano parte dell’entità etno-politica boica: tale situazione potrebbe corrispondere all’interezza o a una parte degli abitanti del centro transpadano “antenato” della romana Laus Pompeia.

Gli autori classici, dal loro punto di vista, classificano senza esitazioni i Boii cisalpini come sottoinsieme di Celti/Galati/Galli giunti da oltralpe. Essi restano però laconici circa la precisa zona d’origine dei migranti: in nessun caso, comunque, i futuri Boii d’Italia sono fatti partire da un territorio corrispondente all’attuale Boemia (in particolare, Livio sembra far iniziare la migrazione dalla Gallia intesa in senso cesariano). Ad ogni modo, c’è ragione di sospettare che l’idea di una migrazione celtica già articolata nei sottoinsiemi, fra cui i Boii, che s’incontreranno poi come occupanti dei vari settori della Cisalpina di III-II secolo sia, almeno in parte, una trasposizione verso il passato di una rappresentazione classica di questa Cisalpina più tarda. Estremamente speculativa è la nostra tesi secondo cui i riferimenti a dei Lingoni cispadani (per Polibio, “vicini” orientali dei Boii) potrebbero invece dipendere dalla sopravvivenza di un “relitto” di un’immagine della Cispadana risalente a tempi prossimi a quelli dell’insediamento stabile di numeri cospicui di transalpini a sud del Po.

Per quanto concerne la rappresentazione classica dell’estensione del territorio boico, abbiamo sostenuto che la maggior parte dei brani sembra tramandare un’immagine costituitasi tra la fine del III e l’inizio del II secolo, la quale potrebbe essere stata un po’ differente da una o più immagini circolanti in Italia in tempi anteriori, immagini di cui è ben difficile precisare i dettagli. La rappresentazione “standard” dei Boii è quella che ne fa un’entità politica provvista, sul fronte nord, di un confine corrispondente al Po. Quanto alle ubicazioni di centri boici in Transpadana, oltre al problema posto dalla fondazione boica di Laus Pompeia riferita da Plinio, abbiamo dovuto affrontare il nodo dell’assegnazione ai Boii di Adria da parte di Stefano di Bisanzio. Abbiamo ipotizzato che quest’assegnazione possa essere interpretata in due modi. Come resto di un’immagine dello spazio boico più antica di quella di norma registrata dalle fonti, un’immagine nella quale anche l’emporio transpadano poteva ricadere nell’ambito sentito come appartenente all’entità etno-politica boica. Oppure come registrazione episodica di un’etichettatura dell’emporio di “età standard” però solo etnica e non politica, un’etichettatura rispetto alla quale, tuttavia, rimane imprecisabile la posizione degli autori (endo- e/o eso-etnica?). Tornando alla rappresentazione “standard” dell’ager Boicus, riguardo al limite ovest, si può solo dire che, tra fine III e inizio II secolo, la regione riconosciuta da Roma come sottoposta alla sovranità boica arrivava a includere l’area in cui sarebbe poi sorta Parma. Più in là, nel territorio a oriente del Trebbia in cui sarebbe stata dedotta Placentia non paiono estendersi né i Boii di Polibio né quelli di Livio. Tuttavia, non è chiaro se le fonti attribuissero tale territorio al medesimo gruppo cui Polibio assegna, a ovest del Trebbia, Clastidium, nonché il nome di “Anari”, nome che pare ricordato (seppur con una forma incerta) solo per l’importanza storica e strategica del territorio cui era legato. Complesso è poi definire la concezione classica del limite est dell’ager Boicus. Più testi potrebbero essere compatibili con un’immagine in base alla quale, a sud del Po, il territorio boico non giungeva all’Adriatico. È tuttavia possibile che, in Tolemeo, sopravviva la traccia del controllo, da parte dell’entità etno-politica boica di un tratto di costa che iniziava al Rubicone, arrivava a includere Ravenna e si spingeva poi sino alle foci del Po, senza comprenderle. Potrebbe però essersi trattato di un controllo molto relativo, magari talvolta più preteso dai diretti interessati che concreto. La porzione di questo territorio forse sotto relativo dominio boico più vicina all’agro riminese, quella distribuita fra la pianura a nord di Cesena e Ravenna, potrebbe essere passata sotto il controllo di Roma già con la guerra del 238-236. Per quanto riguarda il limite meridionale dell’ager Boicus, se in nessun caso è segnalata l’esistenza di un territorio boico a sud dell’Appennino, poco chiaro è il rapporto dei Boii col versante settentrionale della catena montuosa: complessivamente, la “dimensione montana” dei Boii cispadani delle fonti classiche appare debole. Nei testi, l’Appennino appare più come una zona di transito (in mano ligure o, più a est, umbra) verso il territorio boico che come un comparto in cui sorgono insediamenti boici. L’unica zona in cui il prolungarsi del territorio boico verso i monti è vincolabile a un’area specifica corrisponde ai rilievi alle spalle di Felsina, ma senza chiare delimitazioni rispetto all’Appennino ligure (verso ovest) e quello umbro (verso est). In direzione orientale, una possibile estensione della montagna giudicata boica sino alla valle romagnola del Marzeno si otterrebbe identificando castrum Mutilum con Modigliana. Per il periodo tra la fine del III e l’inizio del II secolo, dalle fonti si ricava l’immagine di un territorio boico cispadano dominato da un popolamento rurale, sparso in un paesaggio frammentato da paludi, campi coltivati e foreste, tra le quali spicca la silva Litana, impossibile da localizzare al di là di una sua generica ubicazione appenninica.

Nei testi classici, la storia della Cispadana è prevalentemente concettualizzata come successione di un’età preceltica, una celtica e infine una romana. Sulla base di fonti sia archeologiche sia epigrafiche, oggi è ben noto che l’apporto demico transalpino non spazzò via gli “indigeni”, mentre se si guarda alla rappresentazione classica della sorte del popolamento cispadano preceltico all’avvento dei Celti/Galati/Galli, si coglie un contrasto fra la posizione straboniana e quelle di Polibio e, specialmente, Livio. Per Strabone, lungo tutta l’età celtica, in Cispadana, sopravvissero sia i Liguri (lungo l’Appennino), sia gli Umbri (a Sarsina, Rimini e Ravenna), sia i Tirreni (senza ubicazione precisa). Se invece, per Polibio, i Celti cacciarono i Tirreni dalla piana del Po, secondo Livio, Boii e Lingoni scacciarono tanto gli Etruschi quanto gli Umbri. Polibio evoca una presenza umbra sull’Appennino (senza dubbio quello oggi romagnolo) e non è escluso che egli collocasse degli Umbri pure sulla costa. Quanto al Patavino, va detto che la pretesa cacciata degli Umbri non doveva coinvolgere, almeno non interamente, il comparto montano. 193

In Livio, è infatti segnalata la presenza di uno spazio umbro nella valle del Savio, dov’è collocabile la tribus Sapinia. Tra la fine del III e l’inizio del II secolo, il territorio di quest’ultima, per le legioni, rappresenta un tratto sicuro del percorso che, venendo da sud, porta nelle terre boiche. Concordanza tra le fonti si riscontra quanto all’idea che, all’arrivo dei transalpini, i Liguri non siano stati cacciati dalla catena appenninica.

Rispetto al contrasto fra Strabone, che vede nei Gesati un gruppo etnico stanziato in Cispadana, e gli autori per cui il nome “Gesati” corrisponde a delle truppe mercenarie, abbiamo mostrato che la questione del contenuto semantico dell’etichetta in oggetto va lasciata aperta. È possibile che, nell’Italia del III secolo, l’appellativo “Gesati” circolasse (da punti di vista esterni, se non pure interni) come designazione di un gruppo non differente da quelli designati da etnici quali “Insubri”, “Cenomani”, “Boii” e “Senoni”, però sentito come una collettività la cui attività principale era il mercenariato, al punto di creare, sul piano delle rappresentazioni esterne, una situazione concettualmente ambigua. La testimonianza straboniana sull’insediamento cispadano di transalpini esodefiniti come Gesati dev’essere presa sul serio. È possibile che Strabone ubicasse le sedi di questi Gesati all’interno dell’area oggi romagnolo-marchigiana ascritta dagli autori classici ai Senoni, ma non si può a priori escludere che i Gesati straboniani interessassero l’area boica per le fonti.

Nel corso della storia attribuita loro, i Boii risultano aver attivato un ampio spettro d’alleanze, non solo con altri rappresentanti dei Celti/Galati/Galli (transalpini o cisalpini), ma pure con Etruschi tirrenici e Liguri. Chiamate dei Gesati da parte dei Boii sono ricordate nel caso dell’invito di quei transalpini che finiranno per scontrarsi coi Boii stessi nel 237 o nel 236 presso Ariminum e, poi, nel caso dell’ambasceria inviata oltralpe nel 232 non solo dai Boii ma anche dagli Insubri, per chiamare in Italia quei guerrieri che poi combatteranno a Talamone nel 225. Quelle fra Boii ed Etruschi tirrenici sono coalizioni riscontrabili solo nel racconto polibiano delle spedizioni antiromane del 283 e del 282, mentre le alleanze boico-liguri appaiono come una caratteristica della fase dello scontro fra i cisalpini e Roma posteriore alla fine della seconda guerra punica. L’epoca in cui, dopo il conflitto annibalico, la Cisalpina dovette essere riconquistata da Roma, nelle fonti, appare anche come il periodo delle intese più ampie fra Boii e altri sottoinsiemi dei Celti/Galati/Galli cisalpini.

Un elemento notevole della rappresentazione classica dei rapporti fra i Boii e gli altri gruppi insediati in Italia e diversi dai Romani consiste nell’assenza di riferimenti diretti a un qualche genere di mescolanza fra Boii e non Boii. Tuttavia, non si può del tutto escludere che, in Strabone, si celi un riferimento implicito alla presenza di Tirreni in mezzo ai Boii. Non senza interesse, poi, è la constatazione del fatto che, a differenza di ciò che a volte accade presso autori moderni, in riferimento alla Cispadana, così come al resto dell’Italia, gli autori classici non risultino aver mai usato etnonimi composti a base Celt- o Galat- o Gall-.

Dell’entità etno-politica boica è possibile ricostruire alcuni caratteri, a partire dalla sua forte segmentazione interna. Tra la fine del III e l’inizio del II secolo, in Cispadana, è percettibile l’esistenza di un’entità politica sprovvista di un potere centrale stabile e formata invece da una pluralità di sottoinsiemi, dei gruppi umani insediati in “distretti” che, secondo le occasioni, potevano associarsi o disgiungersi fra loro. In un tale sistema, è atteso che le unità aggregatesi fossero più numerose in un caso e meno in un altro. Disgiunta dalle altre, una singola unità poteva funzionare come un’entità politica autonoma e, per esempio, scegliere di stare dalla parte di Roma, oppure di arrendersi all’Urbe senza con ciò implicare rese altrui. Per parte sua, la res publica romana verosimilmente cercò d’indebolire la resistenza di quanti etichettava come “Boii”, attraendo loro frazioni nella propria orbita. Disomogeneità nell’atteggiamento politico-militare tenuto verso Roma da diverse comunità cispadane si colgono una prima volta nel 218, quando Mutina e Tannetum appaiono come centri non solo aperti alla frequentazione romana, ma dalla parte della res publica e contro un esercito catalogato dalle fonti come boico. Né del “distretto” attorno a Modena, né di quello attorno a Tannetum è precisabile l’estensione spaziale. Siamo tuttavia in grado d’affermare che, nel 218, il centro soggetto al maggior controllo romano è Mutina. La filoromanità del “distretto modenese” ricomparirà inoltre nel 193 ed è possibile, benché non sicuro, che tale orientamento sia stato ininterrotto fino a questa data, se non fino al 191, anno della definitiva sottomissione a Roma dell’entità etno-politica boica nel suo complesso. Quello che includeva Tannetum è convenzionalmente definibile come “distretto dell’Enza”: relativamente al 218, se ne coglie l’estensione, quantomeno, lungo l’Enza, dall’area di Tannetum stesso al Po. Anche se non certa, l’interpretazione più probabile dei dati disponibili mostra l’esistenza di un’area filoromana distribuita a cavallo dell’asse padano, con, a sud, il “distretto dell’Enza” e, appena a nord, il territorio transpadano in cui aveva sede Brixillum/Brixellum. Gli abitanti di quest’ultimo sono ricordati da Livio sulla base di una fonte che potrebbe averli considerati un sottoinsieme dei Cenomani. Più nel dettaglio questa fonte, se non proprio come Brixiani nel senso di “Bresciani”, doveva presentare gli abitanti di Brixillum almeno come Brixillani specialmente legati a quello che, secondo Livio, è il caput dei Cenomani, Brixia. Tornando nella Cispadana boica per le fonti, castrum Mutilum, identificabile con Meldola o forse piuttosto con Modigliana, potrebbe aver ospitato una comunità che, tra la fine del III e l’inizio del II secolo, con Roma si comportò in modo ambiguo.

Non certo filoromano ma sconfitto dall’Urbe e a essa arresosi nel 196 è il “distretto” rintracciabile attorno a Felsina. Di esso s’intravede una distribuzione che dalla pianura giungeva all’area pedecollinare in cui sorgeva Felsina, per poi spingersi fino alla zona appenninica dei castella. È forse possibile che quello “felsineo” fosse il “distretto” boico più popoloso e magari territorialmente ampio: Felsina dovette rappresentarne il “capoluogo”, in qualità d’abitato

centrale, sovraordinato a una serie d’insediamenti minori localizzati nei dintorni. Tuttavia, la centralità di Felsina per il complesso dell’ager Boicus pretesa da taluni autori moderni non regge all’analisi, quantomeno se concepita in termini politico-militari. Nei testi classici, in generale, mancano riferimenti a una “capitale” boica, mentre, in particolare, non si trovano indicazioni del fatto che, per quanti gli autori qualificano come Boii, Felsina rivestisse un decisivo rilievo politico-militare.

Anche l’esercito che agisce in nome dell’entità etno-politica boica pare riflettere la forte segmentazione di quest’ultima. Quando si muovono sul loro territorio, le truppe boiche possono all’occorrenza scindersi in unità ridotte, ognuna col suo comando. È forse immaginabile che, secondo le occasioni, l’esercito boico si presentasse sul campo diversamente organizzato, però sempre con la possibilità che (anche o solo) raggruppamenti sociali di natura imprecisabile ma comunque di taglia assai ridotta fornissero loro contingenti d’armati, ciascuno con tanto d’insegna a rappresentarlo.

Quale ipotesi di lavoro va presa l’idea secondo cui le 112 tribus boiche di cui parla Catone andrebbero equiparate a dei clan, mentre nei gruppi umani insediati nei vari “distretti” dell’ager Boicus andrebbe riconosciuta una forma d’organizzazione sociale (forse dotata anche di una dimensione etnica) di scala intermedia fra quella delle tribus e quella dell’entità etno-politica boica. Tra le attività collettive in occasione delle quali la temporanea unità di quest’ultima poté esprimersi (coinvolgendo un numero più o meno ampio delle sue potenziali componenti) si trovano le guerre e i riti religiosi.

Nella letteratura classica, s’intravede qualche ulteriore aspetto dell’organizzazione sociale e istituzionale dell’entità etno-politica boica fra il tardo III e l’inizio del II secolo. Diverse figure di vertice con ruoli variamente etichettati e talvolta citate coi loro nomi propri appaiono implicate nell’esercizio del potere, in momenti di guerra o di preparazione a essa, coinvolgenti l’entità etno-politica boica e non sue singole frazioni. È attestato l’istituto della “diarchia” ed è ipotizzabile che i re/reucci fossero nominati per portare a termine specifiche missioni. V’è inoltre traccia di un’articolazione interna all’“aristocrazia” boica e, forse, di classi d’età con ruoli differenti in guerra, nonché d’istituti assembleari, possibilmente ripartibili fra un consesso più “popolare” e uno più elitario.

Guardando al piano dei fenomeni propriamente etnici, il profilo che siamo stati in grado di delineare dell’entità etno-politica boica tra la fine del III e l’inizio del II secolo pare corrispondere a un’organizzazione sociale composta da individui che, plausibilmente, potevano invocare anche affiliazioni etniche di scala più ridotta di quella cui doveva rimandare l’endoetnonimo “Boii”, affiliazioni che, di nuovo come ipotesi di lavoro, potremmo immaginare