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L A QUESTIONE DELLA “ SORTE FINALE ” DELLA BOICITÀ CISALPINA

Giunti a questo punto, ci rimane un’ultima questione da affrontare, quella, diciamo, della “sorte finale” della boicità cisalpina dopo la definitiva sottomissione a Roma dell’Italia settentrionale. Gli autori classici che, più o meno direttamente e ampiamente, si soffermano su quanto sarebbe accaduto ai Boii cispadani dopo il 191 sono quattro: Polibio, Livio, Strabone e Plinio. A ciascuno dei brani implicati abbiamo già fatto cenno, ma qui conviene riprenderli tutti, per comporre un quadro unitario e dettagliato. Con la sua esperienza personale, Polibio offre una testimonianza complessiva, riguardante tutti i Keltoiv/Galavtai cisalpini: poco dopo aver concluso la guerra contro di essi, Roma, alla fine, li espulse dalla pianura padana, con l’unica eccezione di pochi luoghi situati proprio sotto le Alpi1182. Pur non essendo citati in modo esplicito, i Boii sono evidentemente implicati nella pretesa espulsione. Espliciti e dettagliati riferimenti ai Boii s’incontrano, invece, in Livio. Dopo la sua vittoria del 191, il console P. Cornelio Scipione Nasica ricevette ostaggi dai Boii e condannò questi ultimi a subire la confisca di quasi la metà del loro ager, dove, se lo desiderava, il popolo romano avrebbe potuto inviare colonie. Di ritorno a Roma, Scipione era sicuro d’ottenere il trionfo, ma dovette affrontare l’opposizione di un tribuno della plebe, il quale proponeva di differire la cerimonia, in attesa che il condottiero sottomettesse anche i Liguri1183. Innanzi ai senatori, dopo aver osservato che egli non aveva ricevuto l’incarico di combattere i Liguri e che il suo intento era di chiedere il trionfo non su questi ultimi ma sui Galli Boii, Scipione passò a elencare i suoi successi: aveva sconfitto i Boii sul campo, li aveva privati dell’accampamento, due giorni dopo la battaglia aveva accolto la deditio della loro gens al completo e aveva pure trattenuto ostaggi, come pegno della pace futura. Soprattutto, il console sottolineò d’aver ucciso oltre la metà dei 50000 uomini che avevano preso parte alla battaglia e d’avere catturato molte migliaia di nemici: ai Boii, stando a Scipione, non sarebbero rimasti che i vecchi e i fanciulli1184. Dopo aver ottenuto e celebrato il trionfo, i cui dettagli abbiamo commentato1185, nel 190 Scipione tornò in Gallia. Ora proconsole, qui egli sovrintese alla deductio, cioè alla “deportazione”, dei Boii dal territorio che aveva confiscato loro dopo averli sconfitti1186. Stando al testo liviano, ciò che Scipione fece fu ridurre circa la metà dell’ager Boicus allo status di ager publicus populi Romani, attraverso una deportazione di raggio limitato1187, plausibilmente attuata nell’ambito di quella metà circa di ex ager Boicus lasciata ai Boii, se non anche in zone poco oltre i margini del territorio prima boico1188. Che successive azioni militari, quelle condotte in Gallia Liguribusque dai consoli del 1751189, avessero incluso le ultime operazioni contro i Boii è solo un’ipotesi, formulata a partire da un passo frammentario di Livio in cui, allo stato attuale del testo, ai Boii

1177 Fest., De verb. signif., p. 4 Lindsay (= Ennius, fr. 561 Bährens). 1178 DE SIMONE 1978, p. 263.

1179 DELAMARRE 20183, s.vv. ambactos; ambi-, pp. 40-42. 1180 V., per esempio, WILLIAMS 2001, pp. 84-85.

1181 PEYRE 1979, pp. 53, 55; id. 1992, pp. 17-18, nota 17, p. 44. V. anche VITALI 2002a, p. 16. 1182 Polyb., II, 35, 4.

1183 Liv., XXXVI, 39, 3-10. 1184 Liv., XXXVI, 40, 1-5. 1185 Liv., XXXVI, 40, 10-13.

1186 Liv., XXXVII, 2, 5-6. Il participio deducenti da cui si evince l’azione di deductio portata avanti da Scipione deriva da un

emendamento del testo tradito (BANDELLI 2009, nota 94, p. 193).

1187 BANDELLI 2009, pp. 191-192; id. 2017, pp. 295, 299. 1188 KYSELA 2019, p. 21; ORTALLI 2017, pp. 326, 337, 343. 1189 Liv., XLI, 19, 1-3.

non ci sono riferimenti espliciti1190. Stando poi al racconto proposto da Strabone nel V libro della Geografia, dopo aver rappresentato uno dei più importanti e[qnh celtici della regione attorno al Po, i Boii furono cacciati dai Romani dalle loro sedi e si spostarono nella regione attorno all’Istro. Qui essi abitarono insieme ai Taurisci, finché, entrati in conflitto coi Daci, non vennero sterminati, finendo per lasciare vuota una terra che faceva parte dell’Illiria1191. Nel VII libro, Strabone torna ancora su questi Boii stanziati a sud del medio Danubio e urtatisi coi Daci: la loro origine cisalpina non è più menzionata; però apprendiamo che, al tempo in cui furono sterminati, Boii e Taurisci erano guidati da un certo Critasiro, mentre i Daci/Geti rispondevano al famoso Burebista1192. Nella critica moderna, la datazione della sconfitta boica per mano dei Daci di cui parla Strabone è ampiamente oscillata fra l’85 e poco prima del 351193. Quanto all’epoca imprecisata della partenza dei Boii cisalpini verso nord, possiamo ragionevolmente supporre che Strabone pensasse a un momento non molto distante dal 191, ancora entro la prima parte del II secolo. In base a come Strabone ricostruisce la storia della regione padana, la sorte dei Boii è diversa da quella degli altri e[qnh celtici cisalpini: il geografo fa dei Senoni e dei Gesati due gruppi sterminati da Roma, mentre giudica gli Insubri come una realtà d’ininterrotta esistenza fino al presente: agli occhi di Strabone, infatti, gli Insubri kai; nu'n eijsi1194. Infine, Plinio, nel momento in cui sostiene che, nell’ottava regione augustea, interierunt Boi, quorum tribus CXII fuisse auctor est Cato, sembra voler aggiornare al proprio tempo la situazione dell’octava regio: dal punto di vista pliniano, i Boii, che all’epoca di cui parlava Catone avevano ben 112 tribus, semplicemente non esistono più, come peraltro i Senoni, che pure avevano preso Roma1195.

Se si guarda alla Cispadana e si pone mente a ciò che, in essa, dovette essere l’entità etno-politica boica all’inizio del II secolo, il mezzo per sciogliere il nodo della “sorte dei Boii” sembra consistere nella distinzione fra piani diversi, la cui mancata messa a fuoco, in passato, ha più volte nuociuto alla chiarezza delle analisi. Si tratta d’interrogarsi sulla sorte delle persone fisiche già sottoposte/partecipanti alla sovranità dall’entità politica boica, sulla sorte di quest’entità sul piano politico-militare e sulla sorte delle endo- ed eso-definizioni etniche all’insegna dell’etichetta “Boii”. In ambito politico-militare, la situazione è sufficientemente chiara: dopo il 191, come entità politica autonoma, i Boii cessano d’esistere1196. Gli autori classici, per lo più interessati a parlare di Boii in quanto corrispondenti a un gruppo inteso come un distinto attore politico-militare in rapporto con Roma, per tempi di poco successivi alla definitiva vittoria di quest’ultima, smettono di parlare di Boii quali soggetti protagonisti di qualsiasi azione presente. Come già sappiamo, se non vi sono evidenze dirette del fatto che Catone pensasse alla Cisalpina del suo tempo come a un’area in cui ai Boii andava negata qualsivoglia forma d’esistenza attuale, l’unica vera azione che, nel corpus di brani classici qui in esame, vediamo compiere ai Boii dopo il 191 è la partenza attribuita loro da Strabone, con riferimento a una data indefinita, ma plausibilmente intesa dal geografo come rientrante nei primi decenni del II secolo. Adesso va precisato che, dopo la definitiva sottomissione a Roma, a differenza di etnici come “Insubri” e “Cenomani”, l’etichetta “Boii” non compare nei testi classici nemmeno quale nome di un’entità politicamente non più davvero autonoma, perché ormai vincolata e subordinata alla res publica romana, ma pur sempre in qualità di gruppo con una sua forma d’organizzazione politica, distinta da quella d’altri soggetti. Nel 56, all’interno dell’orazione in difesa di L. Cornelio Balbo, Cicerone evoca l’esistenza di foedera con gruppi sia d’oltralpe, sia cisalpini: i secondi corrispondono ai Cenomani e agli Insubri1197. A fronte del fatto che la res publica, all’epoca in cui progressivamente sottometteva la Cisalpina, quali controparti politico-militari, fra i Galli avesse riconosciuto quattro grandi gruppi insieme etnici e politici (gli Insubri e i Cenomani a nord del Po, i Senoni e i Boii a sud), spicca l’assenza dei gruppi cispadani fra i contraenti dei foedera “ciceroniani”. Il mancato riferimento ai Boii, così come ai Senoni, è stato valorizzato come plausibile segno del fatto che i Boii si ritrovarono fra i gruppi che, dopo la sottomissione a Roma, non furono destinatari di alcun foedus, ma andarono incontro a una

1190 BANDELLI 2009, pp. 202-203; id. 2017, pp. 292-294, note 12, p. 292, 26, p. 294, 80, p. 299; DAVID 2015, p. 344. 1191 Strab., Geogr., V, 1, 6; 1, 10.

1192 Strab., Geogr., VII, 3, 11; 5, 2. Fra gli autori che parlano di Boii dell’Europa centrale, Strabone è quello che offre il quadro più

complesso e difficile da interpretare. Per quanto concerne i brani su territori che Strabone pone a nord del Danubio, a parte il caso particolare del passaggio nel quale è evocato il Bouivaimon, ma non direttamente l’etnico “Boii” (ibid., VII, 1, 3), abbiamo ricordato la pagina in cui Strabone trae da Posidonio la notizia sui Boii un tempo abitanti la foresta Ercinia (ibid., VII, 2, 2 [= Posid., fr. 31 Jacoby]). Per quanto invece riguarda i riferimenti alle regioni a sud del Danubio, oltre ai citati luoghi contenenti menzioni esplicite del conflitto daco-boico (Strab., Geogr., V, 1, 6; VII, 3, 11; 5, 2), si possono elencare pure altri brani (ibid., IV, 6, 8; VII, 3, 2; 5, 6), incluso quello in cui figura il concetto di Boivwn ejrhmiva (ibid., VII, 1, 5), corrispettivo greco dei pliniani deserta Boiorum (Plin., Nat. Hist., III, 146) e dei deserti in quibus habitabant Boi et Carni ricordati dalla Dimensuratio provinciarum (Dimens. prov., 18). Riservandoci di tornare in futuro sulla questione della boicità transalpina, in questa sede non approfondiamo oltre il rapporto fra tali passaggi.

1193 Cfr. BALADIÉ 2003, pp. 194, 209; DAVID 2015, p. 349; KYSELA 2019, p. 23; STROBEL 2015, p. 36; SZABÓ 2015, p. 248; TREBSCHE 2015, pp.

184, 191, 200.

1194 Strab., Geogr., V, 1, 6.

1195 Plin., Nat. Hist., III, 116 (= Cato, fr. 56 Cornell = II, 13 Chassignet = 44 Peter); HEURGON 1974, pp. 234-235. 1196 BANDELLI 2017, p. 294; PEYRE 1992, pp. 29, 31; STORCHI 2018, p. 55; VITALI 1996, p. 339; id. 2002a, p. 19. 1197 Cic., Balb., 14, 32.

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destrutturazione politica1198. Quale che sia la spiegazione da dare alle scelte romane1199, con ciò siamo tornati alla dicotomia fra il trattamento duro adottato a sud del Po e quello assai più conciliante impiegato in Transpadana. Ora, la cancellazione di una collettività di sconfitti “dalla cartina politica di una regione” poteva essere ottenuta da Roma con interventi anche molto duri, ma non necessariamente con l’eliminazione fisica1200. Di fatto, oggi, molti autori dubitano che le persone fisiche riconosciute da Roma come boiche siano state tutte o quasi rimosse dalla Cispadana, a prescindere dal fatto che si voglia far discendere la pulizia etnica dallo scenario del quasi sterminio scipionico di Livio, da quello dell’espulsione mirata di Strabone, o ancora da quello della cacciata in massa di Polibio1201. Un’eliminazione totale sarebbe verosimilmente stata pregiudizievole per gli stessi interessi romani1202, togliendo di scena persone utili a sostenere l’agricoltura (e forse pure altre attività economiche), in un’epoca in cui la res publica, sul piano demografico e quindi della forza lavoro, doveva ancora risentire delle ingenti perdite umane causate dalla guerra annibalica1203. C’è chi ha sostenuto che la ridotta dimensione dei lotti di terra assegnati, secondo un passo liviano, a ciascuna famiglia di coloni a Parma e Mutina1204 sia dipesa dalla volontà di limitare le sottrazioni di terre alle “popolazioni locali”1205. Non mancano, poi, documenti di varia natura (toponimi come Forum Gallorum, presso Castelfranco Emilia, in provincia di Modena; manufatti lateniani; epigrafi latine registranti antroponimi linguisticamente d’origine celtica o culti con raffronti transalpini) passibili d’essere letti quali indizi della presenza, nella Cispadana romana, di discendenti di chi aveva vissuto nell’area controllata dall’entità etno- politica boica, discendenti che potevano ritrovarsi sia nella medesima area, sia appena oltre i suoi margini, considerate le deportazioni di cui parla Livio. All’interno di quella che oggi è l’Emilia-Romagna, la maggior parte delle possibili tracce della continuità di un popolamento preromano vengono dall’area compresa fra Piacenza e Modena e dalla zona del delta padano, per lo più da siti ubicati fuori dai centri che in età romana ebbero il rango di città maggiori1206. Il fatto che un’area d’addensamento delle evidenze ricada nell’Emilia a ovest del Bolognese potrebbe non essere casuale rispetto all’ubicazione di quelli che erano stati i “distretti” filoromani dell’ager Boicus, quantomeno del “distretto modenese”, la cui visibilità ancora nel 193 rende la persistenza dell’orientamento filoromano sino alla fine dell’indipendenza boica più probabile che nel caso del “distretto dell’Enza”, visibile solo nel 218. Che Roma avesse lasciato vivere nelle loro sedi, o non troppo lungi da queste, soprattutto quanti già da tempo erano filoromani non dovrebbe certo stupire (mentre, per inciso, rispetto alla sua immagine “internazionale”, l’Urbe sarebbe stata strategicamente ben poco saggia, se avesse ripagato comunità filoromane con stermini, espulsioni dall’Italia, sequestri di prigionieri da vendere come schiavi ecc.).

Per quanto concerne la valutazione dei documenti elencati sopra, è importante tenere a mente anche due altri punti. Primo: la continuità d’elementi linguistici e culturali legati al passato preromano, nel complesso, fa ragionevolmente supporre la sopravvivenza di discendenti di “indigeni” nella Cispadana romana; però non solo soggetti che avevano “indigeni” nel loro albero genealogico poterono essere fra gli autori dei gesti che hanno lasciato traccia degli elementi in questione nel record archeologico o nell’epigrafia latina. Secondo: rilevare indizi del fatto che, dopo il 191, Roma dovette agire in modo da non rimuovere completamente, in un modo o nell’altro, dalla scena cispadana il popolamento “indigeno” non significa sostenere che tutti quanti furono lasciati vivere nell’ex ager Boicus o in spazi limitrofi fossero riconosciuti dai rappresentanti della res publica come Boii. Valutando le parole di Strabone circa la sorte dei territori cispadani passati in mano a Roma, si può discutere, in generale, sull’attendibilità del preteso intento romano di rimuovere totalmente i Boii (come i Gesati e i Senoni) e, in particolare, sulla storicità della migrazione di massa verso il medio Danubio, con cui i Boii avrebbero risposto all’espulsione. Bisogna però anche tener conto della dichiarata persistenza fino all’età romana di Liguri, Umbri e Tirreni, che nel caso tirrenico e umbro, Strabone presenta in modo esplicito quale esito della volontà dei Romani di far sopravvivere, a fianco dei propri coloni, anche coloni altrui già insediati. Sappiamo che, nella visione straboniana del popolamento cispadano, se i luoghi di sopravvivenza umbra e ligure sono fuori dalla pianura già celtica (inclusa la sua porzione già boica), nel caso tirrenico, forse Strabone voleva riferirsi a un gruppo che aveva attraversato l’età celtica della Cispadana vivendo, in tutto o in parte, fra i Celti della pianura, in questo caso verosimilmente anche (o solo) fra i Boii. È possibile che in Strabone sopravviva la preziosa traccia di una discriminazione etnica attuata da Roma in Cispadana, da intendere sia come distinzione categoriale fra rappresentanti di gruppi diversi, sia come

1198 BANDELLI 2009, pp. 192-193, 214; id. 2017, pp. 293-294; STORCHI 2018, nota 186, p. 55.

1199 Su questo punto, che per essere davvero approfondito richiederebbe un’indagine a scala cisalpina, cfr. BANDELLI 2017, p. 303;

KYSELA 2019, p. 21; PEYRE 1979, p. 51; WILLIAMS 2001, p. 211.

1200 VITALI 2014, p. 742.

1201 BRIZZI 2000, p. 23; id. 2018, p. 77; KYSELA 2019, p. 21; ORTALLI 2017, pp. 326-327, 342, 345; PEYRE 1992, pp. 29, 31; STORCHI 2018, p.

55; VITALI 2009, nota 1, p. 147; WILLIAMS 2001, p. 211 e relativa nota 63, p. 213.

1202 PEYRE 1979, p. 52. 1203 ORTALLI 2017, pp. 327-328.

1204 Liv., XXXIX, 55, 7;BANDELLI 2009, pp. 194-195, 197; ORTALLI 2017, p. 331. 1205 BRIZZI 2018, p. 76.

1206 ORTALLI 2017, pp. 328-346. V. anche BANDELLI 2009, p. 214; CATARSI DALL’AGLIO 2007, p. 93; MALNATI 2000, pp. 15-16; PEYRE 1992, p.

29; WILLIAMS 2001, p. 213. Per le menzioni letterarie di Forum Gallorum, v. ASSORATI,GIACOMETTI,ORSINI 2006, p. 369.

conseguente trattamento differenziato. Non c’è da dubitare del fatto che a un numero in fondo non quantificabile, ma non irrilevante, d’individui riconosciuti come Boii sia stato concesso di vivere su porzioni dell’ex ager Boicus o in zone contermini. Tuttavia, siamo anche in grado d’ipotizzare (cautamente) che, almeno in talune occasioni, rappresentanti della res publica romana abbiano riservato un trattamento di favore a quanti riconoscevano come individui sì insediati fra i Boii, ma non Boii essi stessi. Se poi tali ipotetiche azioni siano state in linea o in contrasto con l’autocoscienza pregressa dei diretti interessati, non siamo in grado d’affermarlo. Come detto, la menzione straboniana di cispadani che, in un momento compreso fra l’89 e la fine del regime augusteo o l’inizio di quello tiberiano, “si dicono/sono detti” ÒOmbroi, Turrhnoiv e Livgue"1207 potrebbe essere stata intesa dal geografo anche come riferimento all’autocoscienza dei diretti interessati, un riferimento da vagliare nella sua affidabilità per l’età romana e da esplorare nelle sue eventuali implicazioni rispetto a endodefinizioni etniche preromane. Così come per l’età preromana, anche per i primi tempi della sottomissione all’Urbe, vorremmo essere molto più informati sui fenomeni etnici sviluppatisi in Cispadana. In talune circostanze storiche, l’affiliazione etnica può diventare una questione di vita o di morte1208. Situazioni simili possono dar luogo a vari fenomeni, incluse pratiche socialmente percepite come fraudolenti tentativi di farsi passare per qualcun altro, insomma come delle frodi identitarie. Quando un gruppo scatena violenze su un altro, accade spesso che membri del gruppo attaccato lavorino sugli indizi d’identità individuale, cercando di passare per membri del gruppo attaccante o di un gruppo terzo, neutrale (i membri “legittimi” di quest’ultimo possono invece sforzarsi di rienfatizzare la loro identità, per paura di fraintendimenti)1209. Quanto di un simile scenario poté concretizzarsi nella Cispadana dei primi tempi successivi al 191, non sappiamo dirlo. Esiste, tuttavia, almeno una pista per approfondire la questione di cosa ne fu dell’endo- ed eso-definizione all’insegna dell’etnico “Boii”.

A tal fine va soppesata la questione dell’origine delle più radicali fra le dichiarazioni antiche sulla sorte dei Boii cispadani. In Livio, spicca la roboante pretesa di P. Cornelio Scipione Nasica d’aver lasciato ai Boii solo vecchi e fanciulli. Una dichiarazione simile si lascia ricondurre senza difficoltà alle amplificazioni retoriche tipiche di discorsi come quello di Scipione1210, che, non dimentichiamolo, stava perorando la propria causa, al fine di farsi concedere un trionfo contestato e aveva perciò tutto l’interesse a esagerare le proprie imprese. D’altronde, lo stesso Scipione afferma d’aver preso ostaggi in pegno della pace futura, mentre Livio attribuisce al console la confisca di non oltre la metà dell’ex ager Boicus. Azioni di tal fatta si spiegano assai meglio pensando a un condottiero che, pur volendosene garantire la fedeltà, intendeva lasciar vivere a sud del Po una frazione non infima dei nemici sconfitti, che non pensando a uno Scipione intenzionato a far uscire di scena quasi tutti i Boii, uccidendoli, vendendoli come schiavi o cacciandoli ben lontano dalla Cispadana.

Eccettuata la pretesa scipionica di non aver lasciato ai Boii altro che vecchi e fanciulli, il quadro liviano appare sostanzialmente credibile. Ancora una volta, Livio si palesa come la nostra principale fonte d’informazione e il fatto che a tale fonte sia del tutto ignoto un esodo in massa dei Boii dall’Italia è tra gli elementi che fanno seriamente mettere in dubbio la storicità della migrazione di cui parla Strabone1211. Beninteso, non siamo in grado d’escludere che, per sottrarsi ai duri trattamenti inflitti loro dalla res publica, alcuni cispadani, senza con ciò dar luogo a un esodo biblico, abbiano scelto di fuggire oltralpe1212. In questo scenario, le parole di Strabone rappresenterebbero una versione esagerata di fatti realmente accaduti, fatti di portata tanto contenuta da non aver lasciato alcuna traccia in Livio. Sul piano archeologico, in letteratura si cercherebbe invano l’esposizione di prove decisive di un consistente apporto demico d’origine cispadana nel medio Danubio del II secolo1213. Quanto poi alla tesi secondo cui all’origine degli oppida tardo-lateniani di Boemia si porrebbe la migrazione di Boii cispadani tornati, “selon Strabon”, nella loro pretesa, originaria patria boema1214, oltre a rilevare come qui si sia alle prese con una narrazione senza prove archeologiche dirimenti1215, occorre ribadire cosa davvero affermi e (non affermi) Strabone. Checché a volte si pretenda il contrario1216, da nessuna parte Strabone sostiene che i Boii cispadani se ne siano tornati in una regione transalpina corrispondente all’odierna Boemia1217. Come detto, la migrazione straboniana approda a sud del medio Danubio. Inoltre, Strabone non dice che i Boii siano tornati in un luogo nel quale erano insediati loro antenati, meno che mai nella patria originaria dei Boii. Conviene anche ricordare che, qualsiasi opinione si abbia sul rapporto fra l’odierna Boemia e il Boiohaemum della letteratura classica, comunque Strabone, pur essendo uno dei soli tre autori a evocare il Boiohaemum (con la grafia Bouivaimon), di quest’ultimo non fa parola alcuna, quando deve

1207 Strab., Geogr., V, 1, 10.

1208 V., per esempio, ERIKSEN 20103, p. 40. 1209 HOROWITZ 1985, p. 48.

1210 PEYRE 1987, nota 27, p. 105.

1211 DOBESCH 1993, p. 9 e relativa nota 3; TREBSCHE 2015, p. 200. 1212 Cfr. DAVID 2015, p. 352; STORCHI 2018, p. 55 e relativa nota 184. 1213 Cfr., per esempio, KYSELA 2009, p. 218.