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Vittoria Martinetto *

2. Lettura delle rassegne stampa (1972-2019)

2.4 Il bacio della donna ragno (1978)

Dopo un’introduzione complessa che ha a che vedere con l’incom- prensione del kitsch e una critica feroce alla seriosità strutturalista im- perante all’epoca nel nostro paese, Alberto Arbasino esordisce infine a parlare del quarto romanzo di Puig con il consueto entusiasmo: «Que- ste, all’incirca, sembrano le origini della titubanza ideologica collettiva che circonda un romanzo bellissimo come Il bacio della donna ragno».

Titubanza, aggiungo io, che verrà completamente accantonata quan- do, qualche anno dopo, il successo della versione cinematografica del romanzo lo porterà sulle prime pagine dei giornali e ne siglerà la po- polarità anche presso fette di pubblico prima irraggiungibili. Di fatto, al momento dell’uscita, questo quarto romanzo non riceve, come i ro- manzi precedenti, l’attenzione dovuta (a meno che non si tratti di una minore efficacia dell’ufficio stampa del nuovo editore), e invece, come i precedenti, incontra qualche resistenza, soprattutto per la novità delle note a piè di pagina e la presenza della tematica omosessuale. Giovanni Albertocchi, ad esempio, vede nel romanzo una «finalità di- dattica» nel voler propagandare più o meno esplicitamente l’autenti- cità dell’amore omosessuale, confermata dall’apparato paratestuale delle note – «la parte letterariamente meno convincente del romanzo» – secondo lui «teso con evidente fervore apologetico a sostenere il ca- rattere liberatorio e ‘rivoluzionario’ dell’omosessualità». Malgrado ab- bia finora recensito ogni uscita di Puig, anche Angela Bianchini sembra vagamente perplessa come se non si sentisse ancora in grado di valu- tare la complessità di quest’ultimo romanzo: «Un libro difficile da giu- dicare: il lettore avrà forse capito […] Il bacio della donna ragno porta su di sé il peso di scelte politiche e sentimentali troppo complesse e diver- sificate per essere risolte nel giro di vite narrativo imposto dall’autore. E tuttavia esso risulta anche indimenticabile».

Alcune recensioni mettono invece in rilievo la tematica politica re- lazionando il romanzo alla coeva dittatura argentina. Dario Puccini, ad esempio, lo introduce ricordando che non tutti i libri di Puig sono stati pubblicati in Argentina: «e non perché Puig possa essere considerato, anche dalla stupida dittatura militare che ora opprime il suo paese, ‘pericoloso’, ma soltanto perché è uno scrittore di cose autentiche, non un retore della patria gaucha, né un puro e inoffensivo giocoliere della parola».

Più avanti, Puccini loda ancora il romanzo per la congiunzione vi- tale fra il suo «universo ironicamente fumettistico (il cinema assunto come una sorta di alienazione liberatoria – e valga il paradosso) e di aver contemporaneamente innestato questa materia in un tema di

grande attualità: la persecuzione politica condotta dai militari argen- tini oggi al potere».

Tuttavia, anche Puccini non è completamente convinto della qualità letteraria del romanzo che definisce «parzialmente riuscito»: parla di «certe scorciatoie e sommarietà psicologiche imboccate via via dal rac- conto» e di «un certo schematismo o una certa prevedibilità della sua struttura», salvo poi annotare che si tratta di una prova più felice di quella precedente. Anche Giuseppe Pederiall torna a mettere l’accento sul tema politico esordendo in questo modo:

L’Argentina lo sappiamo bene non è soltanto Monzon, i Campio- nati del Mondo, i gauchos e il tango. È anche una dittatura militare che opprime da molti anni il popolo a noi molto caro: chi non ha un parente o un amico in Argentina? E termina con […] viene a galla anche il ritratto vero della società argentina con tutti gli orrori, le contraddizioni, il bene e il male.

Non la pensa così Maurizio Bellotti che sul «Fuori!» – storica rivista dell’attivismo gay – trova, invece, assolutamente marginale il fatto che uno dei due protagonisti sia un terrorista e pone di più l’accento sull’innovativa impronta marcusiana:

A noi sembra che il Puig abbia scritto un’opera che conferma la cla- morosa vitalità della narrativa sudamericana, per quanto egli non si occupi e non si interessi di problematiche strettamente politiche o sociali. Il fatto che uno dei due protagonisti sia un terrorista non ha un particolare significato nell’estrinsecazione e nello svolgersi della vicenda. Il romanzo si indirizza certamente a palati molto raf- finati,

concetto ribadito in chiusura: «In sintesi dunque un’opera estrema- mente raffinata, di grande vigore e impegno narrativo che riconferma Puig come uno dei maggiori scrittori su scala mondiale. Inoltre un ro- manzo gay particolarmente intenso e di esemplare lindore».

Giampaolo Martelli, da un giornale notoriamente di destra, defini- sce «spericolato» e «per certi versi temerario» questo nuovo romanzo

di Puig: «Non stupisce perciò che qualcuno possa inserire il libro nel catalogo delle “opere disdicevoli”». Il recensore non si riferisce, tutta- via, alla questione omosessuale, bensì al fatto che il

dramma del giovane ribelle, militante di un movimento clande- stino, rinchiuso in un carcere di Buenos Aires per cospirazione con- tro lo Stato, è raccontato non in modo mitico o leggendario, ma come una commedia sentimentale dai risvolti imprevisti. Da accen- dere di sdegno i cultori dell’Epica, del realismo eroico e dei murales col loro intreccio di guerriglieri, canne da zucchero, macchie di san- gue, bandiere al vento e scritte con i colori dell’arcobaleno,

interpretando, così, senza volere, i probabili motivi che avevano cau- sato il rifiuto di Feltrinelli e di Gallimard37. «L’Unità», organo del par-

tito comunista, però, se pur in una nota brevissima, non fa alcun ac- cenno alla questione politica e ne parla genericamente bene. Nemmeno su «L’Avanti», organo del partito socialista, si tocca il tema politico: si parla solo del kitsch di cui lo scrittore «usa e abusa», e Puig diventa addirittura, per una svista di Silvana Castelli un «narratore venezue- lano». Giuseppe Bellini, pur docente e specialista di letteratura ispano- americana fa un’affermazione che forse non sarebbe andata a genio a Puig, mettendo la trama in secondo piano: «Nel romanzo di Puig più che la trama interessa l’abilità della scrittura», salvo poi sottolineare l’importanza del tema «tanto di attualità nel mondo latinoamericano, quello della prigione politica». Anche lui, come altri, non comprende appieno l’importanza rivoluzionaria – anche letterariamente – dell’ap- parato paratestuale, suggerendo come il lettore finisca «per scorrere, a un certo punto, con impazienza tali note». Argomentazioni decisa- mente positive le ritroviamo, invece, in Morandini:

Il suo fascino – sono quasi costretto a chiamare fascino il piacere che il testo di Manuel Puig mi ha dato con la sua strategia del ragno – deriva da una semplicità raggiunta attraverso la complessità […]

Chi ha letto i romanzi di Puig sa con quale perizia, ai limiti di un virtuosismo manieristico, l’argentino Puig maneggia lo strumento del dialogo. Qui l’impiego ha i connotati della scommessa tanto che, giunti a metà del libro, ci si domanda perplessi come farà ad arrivare alla fine senza scivolare nella noia, nell’esercizio fine a se stesso. È un timore ingiustificato.

Lo stesso in Teobaldelli, che non esita, come Arbasino, a definire «bel- lissimo» il romanzo di Puig, e per finire in una noticina brevissima, però decisivamente di encomio, che gli dedica Alberto Moravia su «L’Espresso», esordendo con «Il mio amico Manuel Puig» che non la- scia spazio a dubbi riguardo al giudizio su questo «incantevole ro- manzo», per poi concentrare tutta la sua attenzione proprio sulle varie teorie relative all’omosessualità espresse nell’apparato delle note. È davvero un peccato che nella cartella d’archivio l’articolo di Moravia appaia monco del finale…