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Vittoria Martinetto *

2. Lettura delle rassegne stampa (1972-2019)

2.2 Il tradimento di Rita Hayworth (1972)

Con «tutte le carte in regola per affrontare un pubblico già conqui- stato» (Serini), fra le prime recensioni positive spicca, immediatamente riconoscibile malgrado la sola firma con le iniziali A.A., quella di Ar- basino, grande estimatore di Puig, da alcuni già chiamato in causa come suo omonimo italiano.

Mettendolo in parallelo con un altro argentino, il drammaturgo Al- fredo Rodríguez Arias, egli introduce entrambi come «giovani argen- tini europeizzati di grosso talento» che mettono in pratica «prescri- zioni teoriche del primo strutturalismo applicandole al kitsch». Ma si riconosce la linea interpretativa di Arbasino anche più avanti, là dove legge questo romanzo attraverso la lente della de-costruzione/ri-co- struzione già utilizzata per Una frase, un rigo appena, lodando la tecnica di questi «splendidi romanzi-trattati», secondo la formula da lui co- niata per le opere di Puig36. Quello che per Arbasino è un pregio, evi-

dentemente non lo è per l’altro recensore che si firma solo con iniziali, G.Q. (e che non sono riuscita a identificare), il quale prima attribuisce a Puig (che notoriamente amava schernirsi, passando per molto più ingenuo e illetterato di quanto non fosse) una serie di letture onnivore (dai classici a Faulkner, Proust, Joyce, Dos Passos, Freud, Marx fino al

Kama Sutra), e di tecniche che spaziano dallo stream of consciousness, al

dialogo cinematografico neorealista, alla psicologia del profondo, ma

formazione: «Manuel Puig no tenía nada que ver con el resto de lo que se estaba escri- biendo en castellano y esa era parte de su gracia, sobre todo cuando tu propia voz se está gestando. A pesar de publicar con Seix Barral, la editorial de ‘los dioses’, la edito- rial del boom y de lo que era garantía de calidad y onda y prestigio (algo así como Anagrama o las nuevas editoriales indies de hoy) Puig parecía de otro planeta. Quizás lo era. Qué hacía ahí, entre todo el resto?», in Cinépata (una bitácora), Santiago, Aguilar Chilena de Ediciones, 2012, p. 244.

36 «Con pazienza filologica isola e inventaria i più minuscoli sospiri nel gran cir-

cuito chiuso di sentimenti finti che si instaura fra le trappolone hollywoodiane del cinema d’evasione, e un vastissimo pubblico piccolo-borghese e indifeso, ai margini dell’indigenza coloniale. Poi ricompone il manufatto-tipo con l’accorgimento formale di suddividere i diversi ingredienti in capitoli di struttura assai diversa, come diversi cassetti, ciascuno con un proprio contenuto e una propria etichetta».

poi utilizza queste stesse argomentazioni per accusarlo di artificialità: «Sembra di osservare un equilibrista della lingua al trapezio dello spe- rimentalismo, impegnato in esercizi sempre più difficili». È indubbio che dopo il debutto del ben più accessibile Una frase, un rigo appena, il recupero del romanzo d’esordio – a mio avviso il suo testo più com- plesso – poneva qualche problema. Pare di ravvisarlo nel fatto che la lista delle mere segnalazioni, sull’onda delle ottantamila copie ven- dute del romanzo precedente e quindi della notorietà dell’autore, è molto lunga, mentre ben più contenuta quella delle recensioni ragio- nate. Di più difficile – se non impossibile – descrizione, data l’esiguità della trama, i recensori si concentrano nuovamente sulla forma: «la pa- gina fitta fitta, la frase piena, articolata, la punteggiatura ritmica a scan- dire tempi incalzanti, le parole che si accavallano, si spezzano, si aprono verso altre parole. Manuel Puig fa dello scrivere una comuni- cazione ininterrotta e pulsante» (Onofri) e rivela inoltre (Ardighello)

una capacità veramente sorprendente di disfare e ricomporre gli elementi di riporto più diversi e spuri all’interno di una struttura nuova e autonoma. Tutto viene risucchiato da una capacità di affa- bulazione tranquillamente demenziale dei suoi personaggi, di cui Toto de Il tradimento di Rita Hayworth è un esempio estremamente probante.

Anche Angela Bianchini, sempre tirata in causa a recensire ispano- americani, pur facendone un’analisi puntuale, termina interpretando la probabile perplessità del lettore di fronte a «tante complicazioni di linguaggio»:

La risposta sta nell’essenza intima di Toto e sua madre, creature donchisciottesche. Che si nutrono non di libri di cavalleria, ma di film. Com’è stato osservato, i film, tuttavia, a poco a poco offrono non una realtà da sostituire, bensì un’altra realtà, ossessionante. E, per la loro stessa artificialità, tarpano, gradualmente, le ali della pa- rola. Questo creato da Puig è dunque un inferno comunicativo.

Se tale affermazione attiene alla trama del libro, è tuttavia evidente che il romanzo metteva alla prova il lettore comune proprio dal punto di vista della comunicazione. Anche un altro fine ispano-americanista come Dario Puccini, che conosce personalmente l’autore ed è ben con- sapevole che «non ami certe definizioni forti», è costretto a spiegare «il fenomeno Puig» ricorrendo alle tesi della critica raffinata che lo coin- volge in un discorso di poetica sovversiva più di quanto l’autore non voglia ammettere preferendo «farci credere che tutto in lui nasca da una specie di amore tradito per il mondo filmico». C’è, invece, chi, come Walter Mauro, apre a un bilancio letterario di tipo generazionale, al netto di due soli romanzi di Puig usciti, ma è ben vero che l’elemento dissonante – ovvero pop – era già stato notato fin dal primo romanzo: gli attribuisce una posizione «critica, e spesso beffarda, che poco ha a che vedere con la presa di coscienza di scrittori appartenenti a genera- zioni diverse e più anziane», e porta come esempio Arguedas, Asturias e Vargas Llosa. Era piuttosto ovvio già allora, infatti, notare un allon- tanamento o quantomeno un diverso approccio di Puig a certe temati- che di tipo socio-politico che avevano animato gli autori del boom, ora affrontate in modo mediato da tecniche d’avanguardia: «si riconosce facilmente una posizione di rottura, e di ribellione al limite, nei con- fronti di una tradizione pur tanto giovane. L’idea che ci si fa, a propo- sito della ricezione questo romanzo è, in generale, una battuta d’arre- sto dell’entusiasmo, nella consapevolezza, tuttavia, che Il tradimento di

Rita Hayworth, sebbene pubblicato per secondo, rappresentava il ro-

manzo d’esordio dell’autore.