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Vittoria Martinetto *

2. Lettura delle rassegne stampa (1972-2019)

2.8 Sangue di amor corrisposto (1986)

Il 1986 è un anno fortunato per Puig, all’apice della notorietà interna- zionale, dovuta al contestuale successo a Cannes e a Hollywood dell’adattamento Kiss of the Spider Woman di Héctor Babenco, e al pre- mio Curzio Malaparte ricevuto nel settembre in Italia, a Capri41. Coin-

cidendo con queste circostanze favorevoli, l’uscita di Sangue di amor

corrisposto in Italia – grazie anche alla presenza di Puig nel nostro

paese, disponibile a concedere interviste – è accolta con notevole cla- more, ed è anche occasione di bilanci sulla sua opera generale, che conta ormai ben sette romanzi42. Scrittori come Antonio Tabucchi e

Sandra Petrignani, aficionados come Elena Clementelli e Angela Bian- chini, e fini ispanisti come Teresa Cirillo e Cesare Acutis, insieme ad altri, sono unanimemente d’accordo nel riconoscere la meritata centra- lità di Puig nel panorama della narrativa ispano-americana e anche il continuo, se pur inconfondibile, evolversi della sua proposta narrativa.

Quest’ultimo romanzo è, infatti, considerato da Petrignani – che lo introduce prima di un’intervista – come «qualcosa di nuovo, eppure

41 Cfr. nota 38.

42 Come si potrà evincere dalla bibliografia, nell’arco di quest’anno Puig concede

simile, rispetto ai precedenti». Chiara Maucci parla della scrittura di Puig come «una tra le più inconfondibili dell’attuale narrativa latinoa- mericana, potentemente caratterizzata com’è da una fedeltà incessante a un unico modello narrativo, pur suscettibile di variazioni pressoché infinite» e reputa questo ultimo romanzo «tra i migliori dello scrittore argentino». A suo dire, «Puig non era infatti mai riuscito a sfiorare con altrettanta saputa dolcezza le corde tese di uno strano lirismo, e a pro- durre tanta poesia inattesa, capace di inusuali commozioni». Anche Antonio Tabucchi si interessa, e nota una differenza fra questo e i ro- manzi precedenti, in particolare con Il bacio della donna ragno:

Quello era un romanzo compatto e dialettico, fatto di contrapposi- zioni e dicotomie e animato da uno spirito quasi illuministico; que- sto è un romanzo spappolato e catafratto, con una scrittura a sin- ghiozzo e un’anima barocca: nel senso di un orrore del vuoto che il protagonista cerca di riempire a tutti i costi ‘inventando’ una storia che non esiste.

Lo scrittore toscano ne approfitta per suggerire da un lato l’impres- sione che, dopo la morte di Cortázar spetti a Manuel Puig – insieme a Soriano e Vargas Llosa – restituirci nella narrativa quelli che sono il clima, l’atmosfera e i problemi dell’attuale società latino-americana43,

e per lanciare un’indiretta critica ad altri modi (Márquez?) di scrivere da quelle latitudini: «L’America Latina raccontata da Puig: un conti- nente visto da un grande narratore che scrive risparmiandoci il fol- clore, le spezie e il magico di un’America Latina oleografica e di ma- niera inflazionata da narratori di un talento speso a volte improvvida- mente». Alcuni leggono l’ambientazione in Brasile di questo nuovo

43 Vale la pena trascrivere tutta l’argomentazione di Tabucchi a sostegno di tale

affermazione: «Non voglio con questo dire che Puig sia uno scrittore ‘impegnato’ nel senso più stretto del termine. Egli può anche prescindere dall’argomento politico o dalla realtà più immediatamente politica; eppure riesce a tastare il polso alla società, le misura la temperatura in maniera obliqua e lo fa sempre partendo dal privato, da storie apparentemente banali e quotidiane». Da qui, concludiamo noi, l’azzeccato pa- rallelismo, pur nella diversità delle storie da cui partono, con Cortázar.

romanzo – e l’adattamento a un’altra lingua – come una svolta clamo- rosa, sebbene non radicale (e una concessione definitiva al cosmopoli- tismo dell’autore): «racchiude in sé tutti i motivi che da quasi vent’anni animano la produzione di Puig», ma utilizzando tecniche narrative «in modo meno aggressivo e ardito che in passato» (Piacentino); Marzia Pollini Cristofoletti intercetta così il cambiamento: «Il Puig di Sangue

di amor corrisposto si fa leggere più agilmente del Puig de Il tradimento di Rita Hayworth o di Fattaccio a Buenos Aires, ma è diminuito il mate-

riale onirico e fantastico, la massa di pensieri, il magma di immagini travasati nel romanzo senza differenziazione alcuna di linguaggio. Dopo il lungo copione teatrale di Queste pagine maledette, il romanzo di Puig si è liberato dal cinema, dal mondo dello spettacolo, e ne ha con- servato solo la tecnica del flashback». Per contro, Elena Clementelli vede una continuità con la produzione precedente, nella caratteristica storia d’appendice – che diventa ‘telenovela’ in salsa brasiliana – di Josemar: «Ancora una volta Manuel s’impegna a dare dignità letteraria a una storia che si direbbe partire da tutte le premesse del feuilleton […] utilizzando gli strumenti da sempre a lui congegnali: vale a dire la spirale dell’inconscio […] il punteruolo dell’ironia». Ciò non toglie che si apprezzi in Puig una continua evoluzione: «sembra aver trovato una genuinità di passioni in grado di infondere nuova vitalità a quelle che sin dall’inizio della sua carriera si sono dimostrate come le componenti di base della sua scrittura, sempre attenta a cogliere nel dettaglio, ad- dirittura nell’insignificanza, qualche suggerimento simbolico di più vasta incidenza».

Che venga corteggiato da intervistatori per via del premio Mala- parte, che si accenni al suo romanzo «sull’onda del successo fatto regi- strare al botteghino dal film tratto dal suo precedente romanzo Il bacio

della donna ragno – e malgrado le riserve della critica cinematografica

nei confronti dell’adattamento»44 –, non c’è una sola recensione che

44 Secondo un’opinione senz’altro condivisa da Puig, Lino Micciché, su «L’Indice»,

illustra puntualmente i limiti della versione cinematografica di Babenco, che come spesso accade nei film ‘tratti da’, invece di usare il testo letterario «come un soggetto da reinventare strutturalmente e linguisticamente, lo prendono per poco meno di un

non contenga frasi di encomio per Puig, di questo tenore: «è uno degli autori latinoamericani più seguiti e interessanti» (Campostrini), «l’ar- gentino bravissimo e ormai famoso autore di tanti romanzi di suc- cesso» (Bianchini), «uno dei migliori romanzieri latino-americani» (Ci- rillo). Per terminare vanno citati i due pezzi più attenti al romanzo in sé: rispettivamente di Giuseppe Grilli e di Cesare Acutis. Grilli ricono- sce una traiettoria coerente alla «fortuna dello scrittore argentino», «costruita con pazienza e non senza qualche iniziale difficoltà» proprio per via delle «rotte guerrigliere» e delle ansie rivoluzionarie che ai tempi in cui si affacciava sulla scena letteraria del nostro paese ci si attendeva dall’America Latina, mentre lui «novello Prometeo» tentava di «strappare il segreto del fuoco redentore ai media e di restituirlo alla letteratura». Pur rimanendo sostanzialmente fedele a questo progetto, annota Grilli, in Sangue di amor corrisposto «ne ha allargato i confini, inserendo progressivamente una variante per cui le fantasie liberatorie si affrancano dagli stimoli esterni. Non più lettere, né canzoni, né film, solo pensieri». Quanto a Cesare Acutis, con la sua proverbiale sensibi- lità letteraria, inizia con un’interessante similitudine che non sarà di- spiaciuta a Puig: «Si prenda un intreccio alla Scott Fitzgerald e lo si trasformi in una telenovela brasiliana, in una di quelle favole che nu- trono sogni e fantasmi nelle più remote località di un paese…», e ter- mina parlando di «un libro crudele e di pena senza fine, ma che si di- pana in una costruzione perfetta di narrato e parola, un meccanismo raffinato dove desiderio e strazio si fondono in una scrittura calibratis- sima e di un’ambiguità perturbante».

copione e finiscono per oscillare, incerti, tra la fedeltà più impropria e l’infedeltà più sostanziale». Come già aveva lamentato Puig stesso (pur rallegrandosi per il successo che si rifletteva comunque sul proprio romanzo: «De El beso de la mujer araña me gusta su éxito, no me gusta la película», in Romero, Puig por Puig, p. 368), l’operazione ri- duttiva di Babenco non investe solo gli aspetti formali, ma il contenuto stesso dell’opera: «A Babenco sembra essere sfuggito che la parola della langue letteraria non ha meccaniche equivalenze nelle immagini della langue cinematografica: se non altro perché il carattere connotativo (e sempre simbolico) della parola letteraria è in pieno contrasto con il carattere denotativo (e sempre mimetico) dell’immagine filmica».