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Vittoria Martinetto *

2. Lettura delle rassegne stampa (1972-2019)

2.5 Pube angelicale (1979)

Questo è forse davvero il romanzo più bistrattato di Puig: caduto quasi nell’indifferenza – per lo meno facendo fede alle poche recensioni re- perite –, forse offuscato dal crescente successo de Il bacio della donna

ragno che proprio in quell’anno aveva ricevuto in Italia, primo della

sua carriera, il prestigioso premio IILA, e mai più ristampato fino a oggi38. Tuttavia il tenore degli articoli che gli sono stati dedicati è in

38 Alla sua V edizione il premio IILA (Istituto Italo Latino Americano di Roma),

con una giuria di tutto rispetto composta da Angela Bianchini, Giovanni Macchia, Walter Mauro, Carmelo Samonà, Leonardo Sciascia, Luciana Stegagno Picchio, era stato conferito a Puig come autore de Il bacio della donna ragno e ad Angelo Morino come traduttore del romanzo proprio nel 1979. Va detto, quindi, che fu in Italia che Puig ricevette il primo premio letterario della sua carriera, seguito, nel 1986 dal premio Curzio Malaparte, istituito tre anni prima su iniziativa di Alberto Moravia. Puig è stato il quarto a riceverlo, dopo Anthony Burgess e i premi Nobel Saul Bellow e Nadine Gordimer. Dopo di lui altrettanti grandi fra i quali Susan Sontag, John Le Carré, Isabel Allende, Emmanuel Carrère. L’ultimo, nel 1918, è stato conferito a Richard Ford. Nel 1986 Puig ricevette anche l’Efebo d’Oro, premio cinematografico istituito ad Agrigento

linea di massima positivo. Corrado Augias, ne è affascinato ed esordi- sce così:

Che libro strano, all’apparenza così esposto ai rischi dell’incoe- renza e invece così compatto. Puig intreccia sempre storie diverse su un unico telaio. L’aveva già fatto con Il bacio della donna ragno, torna a farlo ora. Ama gli spazi sconfinati questo autore argentino, i tempi senza limite e l’avventura degli stili che sovrappone in un impasto di realismo onirico non inconsueto nella letteratura del suo paese.

Elena Clementelli, poetessa ed esperta ispanista non ha dubbi sulla qualità letteraria di Puig e termina la sua puntuale interpretazione dell’opera, dopo averne riconosciuto la coerenza di stile e di motivi con i romanzi precedenti, «pulsa lungo il filo teso di queste pagine, nel loro insieme, la sensibilità di uno degli scrittori più sottili del mo- mento». Giovanni Mameli parla di «libro molto sofisticato e stratifi- cato», tenta un’analisi dell’intreccio a incastro delle tre storie che com- pongono il romanzo, parla di «struttura ardita e felice» avvertendo che queste caratteristiche narrative «non devono spaventare chi è allergico a forme troppo spinte di sperimentalismo», e conclude: «Al contrario, il libro in questione è leggibilissimo e avvince, sul piano del ritmo e della comunicazione artistica, proprio grazie a una simile strategia combinatoria». Anche Giampaolo Martelli parla di ingegneria narra- tiva, collega Pube angelicale ai romanzi precedenti e termina: «Sfron- dato da tutto l’armamentario della doviziosa costruzione, tenuta in bi- blico fra verità e parodia, il tema del libro di Manuel Puig è questo: la disperata nostalgia per quelle ombre in bianco e nero che si abbraccia- vano sullo schermo. E la perenne suggestione delle favole sentimen- tali».

nel 1973 e tutt’ora vigente, che viene conferito al regista di un film tratto da un’opera letteraria – in questo caso Héctor Babenco per Kiss of the Spider Woman – e contestual- mente, se vivente, all’autore del romanzo.

Non mancano, tuttavia, due vere e proprie stroncature, cosa mai avveratasi finora nonostante alcune riserve e incomprensioni. Una è quella impietosa di Alessandra Riccio, traduttrice e ispanista: «Puig non è un autore nuovo per il pubblico italiano, ma chi ha imparato ad amare i mondi provinciali, le piccole evasioni, il clima di novella rosa dei primi romanzi, il patetico kitsch di situazioni da anni ’50, rimarrà forse deluso dalla volgarità di Pube angelicale».

Se il termine «volgarità» era mitigato dal «forse», più avanti Riccio non lascia spazio a dubbi in merito a un giudizio negativo: «Puig dà vita a un pasticcio in cui mescola con cattivo gusto la dolorosa e trava- gliata storia dell’Argentina dei nostri giorni con le vicende di perso- naggi squallidi e morbosi usciti dalle più deteriori pagine di fumettoni erotico sentimentali». Il resto del pezzo prosegue sullo stesso tono – «privo di senso della misura», «dialoghi stucchevoli e monotoni», «tante banalità» – e termina lapidario: «Ogni possibile tensione del ro- manzo resta schiacciata dal peso asfissiante di decorazioni barocche, profumi estenuanti, cibi raffinati, amplessi improbabili, maquillages ac- curati».

Dopo un inizio positivo, in cui parla dell’abilità di Manuel Puig nell’uso della tecnica delle «scatole cinesi», anche Carlo Villa sostiene che quest’ultimo romanzo non regge al confronto con Il bacio della

donna ragno: «In Pube angelicale il procedimento a cannocchiale finisce

per sgranarsi in una serie di eventi scanditi solo con pignoleria» e ter- mina:

La scrittura di Puig qui riecheggia il divisionismo. Puntigliosa e analitica, manda effluvi estenuanti e sapori saturi, imitando l’école du regard fino al torpore più sensuale. I personaggi, poi, sono plum- bei e il mare dei dettagli ha la piattezza d’un fondale da presepe. Il che potrebbe anche funzionare in un regime di falso dichiarato. Il fatto è che sopraggiungono invece il tattile e i buoni sentimenti a vanificare il lucido progetto.

Si può capire che Pube angelicale abbia messo a dura prova i recensori del tempo, mi permetto, invece, di suggerire che andrebbe riletto oggi

alla luce della nuova moda narrativa delle serie tv: sarebbe un soggetto calzante per l’adattamento – con le tre storie incrociate appartenenti a tempi diversi, costellate di ambigui e affascinanti rimandi intertestuali –, a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, di quanto Puig fosse avanti per la sua epoca.