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di Augusto Robiati

Henri Bergson, nato a Parigi nel 1859 da famiglia ebraica di origine polacca, è stato una delle figure più rappresentative dello Spiritualismo francese, Spiritualismo che è stato inteso come reazione

all’eccessivo scientifismo del Positivismo. Fra le sue opere sono notevoli, per il senso di spiritualità che emanano: L’Evoluzione Creatrice e Le due fonti della Morale e della Religione, che mi offrono lo spunto per alcuni commenti. Qualcuno potrebbe osservare che «Opinioni Bahá’í» non è una rivista di filosofia, e questo è vero, ma è pur importante per un Bahá’í e anche per coloro che, pur non essendo Bahá’í, ci onorano con la loro attenzione, constatare come il pensiero Bahá’í, offra una buona guida per addentrarsi nel pensiero dei grandi filosofi. In effetti, con questa guida si evita un‘accettazione passiva delle loro opinioni, qualche volta devianti, e si realizzano convincimenti che arricchiscono il nostro intelletto e il nostro spirito.

Vediamo ora alcuni particolari del pensiero di Bergson:

1° - Nell’Evoluzione Creatrice Bergson dopo aver affermato che i mondi organico e inorganico, così come noi li vediamo, sono la risultante del conflitto permanente, esistente in natura, fra l’impulso creativo che egli chiama «Slancio vitale» e la «Materia» che gli si oppone, conclude dicendo che l’uomo, frutto dell’azione dello slancio vitale, è così com‘è, ma che avrebbe anche potiuto essere diverso, in assenza - secondo Bergson - di un progetto di origine. Questa opinione, peraltro puramente ipotetica, contrasta non solo con quello che è il nucleo centrale di tutte le religioni, che ammettono un progetto divino di base, ma è anche contro la logica perché, se il tutto fosse solo casuale, non vi potrebbe essere nella creazione quella perfetta armonia che invece c‘è.

2° - Nell’opera Le due Fonti della Morale e della Religione Bergson [FINE pag. 134]

[INIZIO pag. 135]

esprime varie opioni che ora analizzo:

a) Bergson nega che il contenuto dottrinale e metafisico di una data religione possa indurre il credente ad accettare la morale di cui la stessa è portatrice, ma che tale supporto può essere dato solo dall’esperienza emotiva spirituale, che il credente può vivere.

«Ci si compiace di dire che se una religione porta una morale nuova, l’impone con la metafisica che fa accettare, con le sue idee su Dio, sull’universo ... [e] sui rapporti fra uno e l’altro ... ma la verità è che né la dottrina, allo stato di pura rappresentazione intellettuale, farà adottare la morale, né la morale, considerata dall’intelligenza come un sistema di regole di condotta, renderà intellettualmente preferibile la dottrina. Prima della nuova morale, prima della metafisica nuova c‘è

l’emozione... Se l’atmosfera dell’emozione è là, se l’ho respirata, se l’emozione mi penetra, agirò secondo essa, sollevato da essa, non per costrizione o necessità, ma in virtù di una inclinazione alla quale non

vorrei resistere.»*1

Il contenuto dottrinale e metafisico di una data religione non induce, come giustamente afferma Bergson, ad accettarne la morale, se mai potrà orientare il credente verso affermazioni che, se analizzate con obiettività e senza pregiudizi, risulteranno in disarmonia con la ragione e con la scienza e quindi non accettabili. Quanto all’emozione spirituale, può concorrere a farne accettare la morale, ma non essere la principale forza trainante, che invece si identifica con vari fattori:

I°) la coerenza dei suoi principi e insegnamenti con la realtà e i problemi individuali e collettivi di quel dato momento storico,

II°) la loro armonia con la scienza e la ragione;

III°) la loro capacità di divenire impulsi evolutivi per l’intera società umana, IV°) la convinzione che essendo parte di un modello etico offerto da Dio all’umanità, per il nostro benessere fisico e spirituale, esso va accettato e posto in atto.

b) Bergson, distinguendo fra ‘morale obbligante’, frutto quasi automatico della comune necessità di realizzare rapporti umani accettabili, tali da evitare che la vita in comune divenga una giungla, e ‘morale umana’ alla quale ci invitano con il loro esempio e la loro forza spirituale, i Grandi Maestri Spirituali, considera questi ultimi come dei ‘Conquistatori’ e li vede uniti nella stessa ‘Città di Dio’:

«Fondatori e riformatori di religioni, mistici e santi, eroi oscuri della vita morale ... tutti sono lì:

trascinati dal loro esempio, ci uniamo ad essi come ad un esercito di conquistatori... Sono in effetti dei conquistatori che hanno spezzato la resistenza della natura e rialzato l’umanità a nuovi destini... [Essi] si danno una mano, al di sopra dei secoli, al di sopra delle nostre società umane: insieme compongono una

‘Città Divina’, in cui ci invitano ad entrare.»*2

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1. Opera citata, cap, I, L’obbligazione morale, pp. 263-64.

2. Ibidem, pp. 266-87.

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Non credo di esagerare affermando che se questa riflessione di Bergson fosse l’unica valida di tutte le sue opere, riterrei questo filosofo di prima grandezza per questa sua visione di unità, fra quelli che chiama i ‘Conquistatori’ dell’umanità (certo conquistatori spirituali). Questo concetto è perfettamente in armonia con la Fede di Bahá’u’lláh il cui nucleo è quello dell’unità fra i Fondatori delle Grandi Religioni e fra le religioni medesime. Fa dispiacere però osservare come questo concetto, che pure è

perfettamente in armonia con la logica e la giustizia, sia ancora lontano dal divenire bagaglio culturale e dottrinale delle grandi religioni, che ancora innalzano, nonostante un loro ecumenismo, apprezzato, ma solo di facciata, la bandiera dell’esclusivismo della verità, impedendo all’umanità di considerare tutte le religioni come fasi successive di un grande piano divino per la sua educazione ed evoluzione, e di godere di tale concetto.

c) Molto valido e direi di attualità, è anche - a mio parere - il concetto di ‘società chiusa’ e di ‘società aperta’. Tutti i raggruppamenti animali, in quanto guidati dal solo istinto sono, a parere di Bergson, società chiuse. Però, dice ancora Bergson, anche la società umana può esserlo, se si staticizza in particolari concezioni, senza riuscire a passare oltre. Come esempio di società chiusa cita il concetto di

‘nazione’ e il relativo ‘sentimento patriottico’. Per giungere a una società aperta, dice Bergson,

l’umanità deve fare un salto in avanti, superando il sentimento dell’amore patriottico e sublimandolo nel

‘sentimento di amore verso tutta l’umanità’. Questo sentimento non è, però, automatico e naturale come quello dell’amore verso la propria nazione, ma va costruito con l’aiuto di Dio e della religione:

« ... ancora oggi noi amiamo naturalmente e direttamente i nostri parenti e i nostri concittadini, mentre l’amore dell’umanità è indiretto e acquisito. A quelli noi andiamo direttamente, a questa arriviamo solo dopo un giro; perché solo attraverso Dio, in Dio, la religione invita l’uomo ad amare il genere umano ... »*3

Non vorrei eccedere nell’evidenziare come tali concetti siano in perfetto accordo con la realtà degli insegnamenti Bahá’í. In effetti l’umanità cerca oggi di andare verso l’unitá o, come primo gradino, verso una maggiore solidarietà internazionale, perché si rende conto che questa è l’unica chiave che permetta di risolvere i gravi problemi sociali, religiosi, economici e politici, che ogni giorno insorgono sulla scena umana, ma incontra molte difficoltà, a causa della incapacità da parte di coloro che hanno nelle loro mani le redini delle vicende umane, di recidere i tentacoli della assurda logica attuale della difesa ad oltranza dei propri interessi e privilegi, siano essi giusti o ingiusti. Le

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3. Ibidem, p. 245.

[FINE pag. 136]

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forze di cui dispongono non riescono a farlo, perché sono legate alla cultura del potere e invischiate nei giochi di interesse. Solo una energia divina può farlo, facendo leva sulle forze dello spirito, atte a creare una nuova attitudine tesa all’universale e fatta di pazienza, comprensione e moderazione. Tutte le religioni, nel tempo in cui sorte, hanno tagliato, con le energie spirituali di cui erano dotate, i tentacoli che ostacolavano o ritardavano l’evoluzione. Coi secoli queste forze si sono però staticizzate,

diventando a loro volta centri di potere che tendono, oggi, più a conservare che a rinnovare. Solo una nuova energia, sempre procedente dal divino, ha questo potere. Bisogna però, per rendersene conto, accettare il concetto Bahá’í della relatività e progressività degli insegnamenti divini. In questo momento è la Fede Bahá’í che è stata dotata da Dio di questa capacità e, il non volerlo riconoscere, significa impedire che pace e tranquillità si sostituiscano alle attuali tragedie e miserie che, purtroppo, aumentano in progressione geometrica.

d) Nei capitoli successivi, della stessa opera, Bergson divide le religioni in ‘Statiche’ e ‘Dinamiche’.

Le prime - Esteriori - hanno cerimonie, riti, culti e anche, dice sempre Bergson, superstizioni. Le seconde sono solo Interiori. La citazione che segue, relativa alla preghiera, evidenzia il concetto di questa interiorità:

«Nella religione dinamica la preghiera è indifferente alla sua espressione verbale; è una elevazione dell’anima, che potrebbe anche fare a meno delle parole.»* 4

Seguendo questa classificazione mi chiedo quali siano le religioni dinamiche, visto che in tutte vi sono cerimonie, riti, culti. Forse sarebbe stato meglio, da parte di Bergson, parlare di ‘religiosità’, che può essere benissimo anche attitudine di un credente di una religione statica. La citazione sopra riportata è in perfetta sintonia con questa espressione, tolta da una preghiera Bahá’í:

“ ... Rivélati dunque, o Signore, con il Tuo dire misericordioso e con il mistero della Tua Essenza Divina, affinché l’estasi santa della preghiera colmi le anime nostre, una preghiera che si innalzi al di sopra delle parole e delle lettere, che trascenda il mormorio delle sillabe e dei suoni e tutto si unisca nel nulla, innanzi alla rivelazione del Tuo splendore.”* 5

Nel capitolo relativo alla religione dinamica, Bergson si sofferma sul ruolo evolutivo spirituale svolto dai grandi mistici, fra cui pone anche Cristo e parlando dell’esperienza mistica, Bergson la esalta con espressioni altamente poetiche:

«Scossa nella sua profondità dalla corrente, destinata a travolgerla, l’anima cessa di girare su se stessa, sfuggendo per un istante alla legge per cui la specie e l’individuo si

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4. Ibidem, cap. II, La religione statica, p. 449.

5. Preghiere Babá’ì, Casa Edítrice Bahá’í, Roma 1981. n. 82 a p. 104.

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condizionano a vicenda circolarmente. Si ferma, come se ascoltasse una voce che chiama; poi si lascia portare diritta in avanti. Non percepisce direttamente la forza che la muove, ma ne sente l'indefinibile presenza, o la intuisce per mezzo di una visione simbolica. Sopravviene allora una immensità di gioia, estasi in cui si assorbe o rapimento che subisce: Dio è presente ed essa è in Lui. Non ci sono più misteri; i problemi scompaiono, le oscurità si dissipano: è una illuminazione... Non c'è più separazione completa fra chi ama e chi è amato: Dio è presente e la gioia è senza limiti ... »*6

Circa il porre Cristo fra i grandi mistici, mi sembra riduttivo del Suo rango; forse questo concetto è influenzato dall'appartenenza di Bergson all'ebraismo. Cristo sarà stato anche un mistico, come lo sono stati certamente tutti i fondatori di religioni, ma è stato il portatore di un Messaggio Divino all'umanità che, trascinata dalla energia creativa della Parola di Dio, si è trasformata, creando i presupposti di una grande civiltà. A Bergson è sfuggito il concetto che l'umanità ha sì bisogno di emotività spirituale, come quella offerta dal misticismo, ma necessita soprattutto di una guida etico-morale-sociale che possa aiutarla a risolvere i suoi problemi. Oggi, per esempio, occorre creare una coscienza unitaria che aiuti ad uscire in tutti i campi, dal settarismo, dal partitismo e da ogni forma di particolarismo e non credo proprio che il misticismo sia sufficiente. Anche Bahá’u’lláh è stato un mistico, basta leggere Le Sette e e Quattro Valli e Le Parole Celate per rendersene conto, ma soprattutto è stato il portatore di quel modello unitario che l'umanità in questo momento necessita e desidera.

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6. ibidern. cap. III, La religione dinamica, p. 484.

[FINE pag. 138]

[INIZIO pag. 139]

Il pedagogo deista Rousseau