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di Augusto Robiati

È un accostamento che può sembrare strano, particolarmente per la differenza di rango; Kant (1724-1804) filosofo razionalista e Bahá’u’lláh (1817-1892) Manifestazione di Dio, Fondatore della Fede Bahá’í. Vi sono tuttavia concetti, espressi da Kant, che trovano un‘eco nel pensiero Bahá’í.

Kant afferma che la legge morale che guida il nostro comportamento è nella nostra ragione a priori, cioè innata.

«Tutti i concetti morali hanno la loro sede e la loro origine interamente a priori nella ragione, senza differenza fra la ragione umana più comune e la ragione umana speculativa al livello più alto...

In tale purezza della loro origine sta ciò che li rende degni di valore come principi pratici supremi»*1 e che la sola ragione, quando si ispira e sottostà a quelle che Kant chiama «Leggi incondizionate», è sufficiente, per esprimere la legge morale, senza necessità nè di un essere superiore, nè di religione:

«La morale, essendo fondata sul concetto dell’uomo come essere libero, il quale appunto perché tale, sottopone se stesso, mediante la propria ragione, a leggi incondizionate, non ha bisogno nè dell’idea di un altro superiore all’uomo, per conoscere il proprio dovere, nè... del sostegno della religione, ma è autosufficiente, grazie alla ragione pratica pura».

Bahá’u’lláh, ci dà la chiave - credo - per comprendere il perché la legge morale è potenziale

nell’uomo: perchè è la conseguenza della presenza in noi del Divino, come risulta dal seguente versetto:

«O Figlio dell’Uomo!

Velato nel Mio essere immemorabile e nell’antica eternità della mia essenza conobbi il mio amore per te, e perciò ti ho creato, ho inciso in te la Mia immagine e ti ho rivelato la Mia bellezza»

Ma ancora ci dice che, benché l’uomo sia una miniera di gemme preziose, queste rimarrebbero pure forze potenziali senza un‘adeguata educazione:

«Considera l’uomo come una miniera

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1. Scritti Morali di Immanuele Kant - a cura di Pietro Chiodi, Unione Tipografico - Editrice Torinese - Torino 1970 - Parte IIª, pagg. 68 -69).

2. Le Parole Celate di Bahá’u’lláh, Casa Editrice Bahá’i, Roma 1983, pag. 16.

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di gemme, di valore inestimabile. Soltanto l’educazione può rivelarne i tesori e permettere all’umanità di goderne»*3.

Lo stesso Kant afferma anche che l’uomo può essere cattivo, quando si allontana dalle massime universali che lo potrebbero rendere buono, ammettendo così implicitamente la necessità di una educazione che lo aiuti a capire l’importanza di vivere secondo le massime buone e a seguirle:

«Nella tendenza al male (da parte dell’uomo) è possibile distinguere tre gradi: innanzi tutto c‘è la debolezza del cuore umano, nel mettere in pratica le buona massime adottate in linea generale, cioè la fragilità della natura umana; in secondo luogo c‘è la tendenza a mescolare moventi immorali con moventi morali... In terzo luogo la tendenza ad adottare massime cattive... e benché possano

accompagnarsi azioni... buone, il modo di pensare (in generale) ne risulta corrotto e l’uomo si dimostra (di conseguenza) cattivo»*4

Kant afferma poi che è pura illusione credere che un culto sia accetto a Dio e che per il suo tramite possiamo implorare il Suo aiuto. Kant evidenzia la necessità, a tale fine, di sole azioni morali:

«Premetto la seguente preposizione, come un principio che non richiede prova: tutto ciò che, eccettuata la buona condotta, l’uomo crede di poter fare per rendersi accetto a Dio, non è che illusione religiosa e falso culto di Dio»*5 .

«La preghiera intesa come culto formale interiore di Dio, quindi come mezzo di grazia, è

un‘illusione superstiziosa (un feticismo); infatti essa si risolve in una semplice presentazione dei nostri desideri, fatta a un essere che non ha bisogno di illustrazione dei nostri sentimenti e desideri; con essa non si è concluso nulla e non si è adempiuto a nessuno dei doveri a cui siamo tenuti come a comandi divini, quindi non si è affatto servito Dio. Lo spirito di preghiera che può e deve esistere in noi, senza interruzione, consiste nel desiderare con tutto il cuore di essere graditi a Dio in tutte le nostre azioni, con l’intenzione di consacrarle al servizio di Dio»*6.

«L’illusione di poter influenzare... la nostra giustificazione di fronte a Dio, per mezzo di atti... di culto, si chiama superstizione religiosa; mentre l’illusione di raggiungere questo scopo mediante un presunto commercio con Dio, si chiama fanatismo religioso. È follia superstiziosa credere di rendersi graditi a Dio mediante azioni... senza le rettitudine morale per es. mediante professione di articoli di fede, pratiche prescritte e discipline ecclesiastiche»* 7.

Il pensiero Bahá’í naturalmente

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3. Educazione Bahá’í, Compilazione della Casa Universale di Giustizia, Casa Ed. B., Roma 1978, pag. 12.

4. Scritti Morali come al (1) Iª parte, pagg. 349 -50.

5. Ibidem, Parte 4ª, pag. 500.

6. Ibidem, Parte 4ª, pag. 526.

7. Ibidem, Parte 4ª, pag. 504.

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dà alla preghiera il suo significato fondamentale, come strumento per permettere allo spirito umano di entrare in sintonia con il divino, però evidenzia concetti che, non mi sembra vi siano dubbi, si

armonizzano con il pensiero di Kant.

1° - L’unico culto accetto a Dio sono le azioni:

«I giorni in cui un vano culto era ritenuto sufficiente sono finiti. È venuto il tempo in cui null’altro che il vostro motivo più puro sostenuto da azioni di immacolata integrità, può ascendere al trono dell’Altissimo ed essere a Lui accettevole»*8

2° - Il lavoro fatto in spirito di servizio è un atto di culto, servire è come pregare:

«Nella Causa Babá’í le arti, le scienze e tutti i mestieri sono considerati atti di culto.... Ogni sforzo ed ogni attività... devono considerarsi culto, se sono ispirati da elevate ragioni e dalla volontà di rendere servizio all’umanità... Servire è pregare»*9.

Circa il problema «Miracoli» di cui le religioni sono intessuti, Kant precisa che nel passaggio da una religione di dogmi a una morale, i miracoli non sono necessari, ma poiché la mentalità umana li richiede è bene che essi siano ugualmente presenti. Inoltre, afferma ancora Kant, la nuova espressione religiosa dovrà presentarsi come compimento del fine che la

precedente si era preposta:

«Se una religione morale (che non consista in dogmi e osservanze, ma in una disposizione del cuore a sottostare a tutti i doveri umani, come comandi divini) deve essere fondata, bisogna che tutti i miracoli che la storia accompagna alla sua introduzione, rendano superflua la stessa fede nei

miracoli... È però rispondente al modo di pensare degli uomini ritenere che, quando una religione di semplice culto e di osservanze si esaurisce e vuole lasciare il campo a una religione che si richiama allo spirito e alla verità (all’intenzione morale) l’avvento di quest‘ultima, nella storia, debbe essere accompagnata - anche se essa non ne ha bisogno - da miracoli, che annunziano la fine della precedente, senza i quali l’annunzio perderebbe ogni autorità; è inoltre naturale che... la nuova religione debba esser intesa come il compimento di ciò che nella precedente simboleggiava il fine ultimo, che la provvidenza intendeva realizzare nella nuova religione...»*10

Il pensiero Bahá’í sviluppa, al riguardo, questi concetti essenziali:

1° - Il vero miracolo non è quello fisico, come ridare la vista ai ciechi o il movimento ai paralitici, ma quello del risveglio spirituale. Le prove della verità espresse da una Manifestazione del divino non possono essere i miracoli,

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8. Il Commiato del Bab dalle Lettere del Vivente, Casa Ed. Ecc., pag. 6.

9. Bahá’u’lláh e la Nuova Era di j. E. Esslemont, Casa Edit. B. ecc., Roma 1975, pag. 98.

10. Scritti Morali ecc., Parte 2ª, pag. 409.

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che questa ha sicuramente compiuto (perché è nelle possibilità di ogni Messaggero di Dio di compierli) perché se fosse così proprio coloro che vi hanno assistito dovrebbero credere, mentre è vero il

contrario, come attestato dalla storia del sorgere di ogni religione. Nel pensiero bahá’í i miracoli esistono, ma non è su di essi che si deve fare leva per provare l’origine divina degli Insegnamenti che la religione esprime, ma sulla capacità degli stessi insegnamenti di dare all’uomo e alla società una nuova etica di vita, atta a conferire armonia.

2° - Circa il compimento, poiché la Fede Bahá’í si proclama il compimento delle precedenti fasi religiose dell’umanità, questa - diciamo pretesa - è conforme alle profezie inserite in tutti i libri sacri e, nel caso specifico della religione cristiana, quando Cristo dice:

«Molte cose avrei ancora da dirvi, ma per ora non ne siete capaci... quando invece sarà venuto lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà verso tutta la verità»*11.

«Queste cose io ve l’ho detto in parabole. Viene l’ora in cui non vi parlerò più in parabole, ma vi parlerò apertamente del Padre»*12

Tutto il pensiero filosofico kantiano è impregnato della essenzialità della ragione.

Nicola Abbagnano dice che, secondo Kant, «sottrarsi alla ragione significa cadere nel fanatismo e il fanatismo è la negazione della libertà»*13. Questo pericolo, cosi bene evidenziato da Kant, si è dimostrato reale ancora nel nostro tempo, con l’insorgere del radicalismo religioso islamico. Il conflitto ragione-fede, che per secoli ha dominato il pensiero umano, trova nella Fede Bahá’í una sua totale risoluzione, con il concetto di fede come «Conoscenza Consapevole». Ciò significa che nel processo di ricerca che conduce alla fede, la ragione assume un ruolo essenziale, impedendo alla religione, e alle dottrine che essa esprime, di cadere nel superstizioso, o nella irrealtà e incomprensibilità dogmatica, di cui purtroppo sono ancora impregnate le religioni. Questo connubio armonico fra la ragione e la fede si accentua, nella Fede Bahá’í, con il connubio religione-scienza, chiaro è l’esempio dell’uccello, che per

volare ha bisogno di due ali parimenti sviluppate. L’umanità se lo crede, potrà volare solo con l’ala della religione, ma cadrà nel pantano del bigottismo e delle superstizioni, o potrà volare solo con l’ala della scienza ma sarà immersa nella melma del materialismo. La religione deve dare un‘etica alla scienza e questa evitare alla religione di scadere nel dogmatismo.

Altro problema dominante del

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11. Giovanni 16/12.

12. Giovanni 16/25.

13. Scritti Morali di Immanuele Kant, a cura di Pietro Chiodi, Unione Tipografico - Editrice Torinese, Torino 1970, Critica della Ragione Pratica. Conclusione pag. 313.

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pensiero di Kant è l’indimostrabilità dell’esistenza di Dio. Kant afferma che vi sono due tipi di giudizi, uno «analitico» in cui il predicato non aggiunge nulla a ciò che già il soggetto esprime a priori.

Esempio: «Un corpo è esteso» Il predicato «è esteso» non aggiunge nulla al concetto espresso dal soggetto «corpo» perché appunto, per intuizione, un corpo è sempre esteso. Ma se dice: un corpo «è pesante» il predicato ha un suo senso logico solo dopo una esperienza che confermi la qualità della pesantezza. Questo secondo giudizio lo chiama «sintetico». Affermare che Dio esiste. Dice Kant che l’anima è immortale esprime giudizi che non sono nè analitici nè sintetici. Credo che un credente qualsiasi che abbia sviluppato in sè qualità spirituali, si rende conto dell’errore in cui Kant è incorso.

Infatti l’esistenza di Dio è il verificabile attraverso l’esperienza, ma questa è esclusivamente spirituale e la si vive solo quando vi si crede. Pascal, nei Suoi ‘Pensieri’ aveva centrato l’argomento dicendo: «Dio si rivela solo a chi crede in Lui».

Concludo questo breve saggio, citando una bellissima espressione che Kant pone alla fine della

‘Critica della Ragione Pratica’, la quale dimostra che Kant, nonostante la sua estrema razionalità, era nel suo intimo sensibile e spirituale:

«Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di venerazione... il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Non si tratta di due cose che io debba cercare... come se fossero avvolte nelle tenebre o situate nel trascendente, al di là del mio orizzonte; io le vedo dinnanzi a me e le congiungo... con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto da me occupato nel mondo sensibile esterno e allarga la connessione in cui mi trovo, in un‘ampiezza sconfinata... La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinità, in cui soltanto l’intelletto è in grado di penetrare... La vista di una molteplicità

innumerevole di mondi riduce in certo modo a nulla la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta... La materia di cui è formata, dopo essere stata dotata per breve tempo (e non si sa come) di forza vitale. L’altra vista innalza invece infinitamente il mio valore... attraverso la mia personalità: in cui la legge morale mi rivela una vita indipendente dall’animalità e anche da tutto il mondo sensibile ...»*13.

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Bergson