Sorpassato è certo l’amor di patria esclusivo e ardente che si usava nei tempi andati. Ma io oggi a Trieste ho visto migliaia e migliaia di miei simili che agitavano con le mani drappi piccoli e grandi e tutti dei medesimi colori; con tanto impeto li scuotevano affinché noi ce ne rendessimo ben conto, che poco dopo erano sfiniti, anche essi avevano preso la «cotta» come i corridori. Eppure, pacatezza in volto e denti stretti, tenevano duro: guai se le bandierine si fossero fermate prima che la carovana fosse tutta scomparsa, sarebbe parso loro un tradimento. [...] Nell’animo, di tutto quanto oggi ci è accaduto, ci è rimasta soltanto l’immagine d’una città in festa sulla riva del mare, piena di sole di bandiere di felicità di amaro struggimento di lacrime di risa, che gridava «Viva Bartali, viva Coppi», urlava quasi con disperazione «Viva il Giro, viva Cottur, viva Doni» e voleva dire un’altra cosa619.
Questa era la gente di Trieste, italianissima e fiera, tenace e paziente nell’attesa, indomabile nella determinazione e nei propositi. Non volle essere tedesca ieri, non vuole essere slava oggi: questa gente che dal passaggio di ottanta giovanotti che corrono per l’Italia in bicicletta, trae motivi per una manifestazione di una grandiosità senza precedenti. Basta poco, alle volte, per scatenare una moltitudine, quel poco, oggi, era il Giro d’Italia. Un episodio, un modesto episodio, nel quale i triestini hanno scorto un messaggio di speranza e detto una parola di incrollabile certezza620.
Le bandiere italiane avrebbero colorato Trieste di rosso, bianco e verde per tutto giugno 1949. Dino Buzzati per «Il Corriere» e Francesco Carli per «Il Popolo», commossi testimoni del passaggio dei ciclisti del Giro d’Italia per Trieste durante la tappa Venezia-Udine e interpreti dello stretto legame che univa, in Italia e in particolare in riferimento a Trieste, il sentimento sportivo al sentimento nazionale621, ebbero l’onore di inaugurare la lunga sequela di pagine dedicate alla “città italianissima” dalla stampa nazionale e di partito in quel principio d’estate. A seguito dell’Ordine n. 345
618 ILR, intervento di Giovanni Alliata Di Montereale (PNM), seduta del 21 ottobre 1949, pp.12635- 12636.
619 Piange ed esulta Trieste coprendo di fiori i campioni, «Il Corriere della Sera», 1 giugno 1949, articolo a firma Dino Buzzati.
620 Duecento chilometri fra tricolori palpitanti. Grandiosa a Trieste l’accoglienza al Giro d’Italia, «Il Popolo», 1 giugno 1949, articolo a firma Francesco Carli.
621 Cfr. S. Pivato, Le pigrizie dello storico. Lo sport tra ideologia, storia e rimozioni, in «Italia contemporanea», marzo 1989, n. 174, pp. 17-27 e D. Marchesini, L’Italia del Giro d’Italia, Il Mulino, Bologna, 2009.
emanato dal Governo Militare Alleato del TLT, si sarebbero svolte infatti nel capoluogo giuliano le prime consultazioni elettorali amministrative libere e democratiche dall’epoca fascista. Le prime pagine dei quotidiani si riempirono di nuovo delle parole “patria”, “Italia”, “Trieste”, utilizzate indistintamente come fossero l’una sinonimo dell’altra. Il 12 giugno 1949 i triestini, “grandi assenti” delle tornate elettorali dell’Italia repubblicana, come rimarcato a Montecitorio di volta in volta fin dalle prime consultazioni del 1946, venivano finalmente chiamati alle urne per designare i propri rappresentanti al Consiglio comunale, la Giunta municipale e il Sindaco. La natura più politica che amministrativa delle elezioni è, ed era già al tempo, manifesta. «La data in se stessa già conferisce un carattere politico a queste elezioni», scriveva «La Stampa», spiegando che quello scelto per il voto non era un giorno qualsiasi:
Una volta scelto il mese di giugno, nessun giorno è sembrato migliore del 12, perché ricorrenza cara alla maggior parte dei triestini: fu infatti il 12 giugno 1945 che le truppe jugoslave del Maresciallo Tito lasciarono Trieste dopo quaranta giorni di una occupazione soffocante, avvilente e anche tragica622.
Inoltre è noto che «le leve dell’effettivo potere decisionale continuavano a restare saldamente nelle prerogative del GMA»623. Alla competizione elettorale della Zona A si presentarono dodici partiti. In rappresentanza delle forze di Governo i democristiani, i liberali, i repubblicani, i socialisti e i comunisti cominformisti di Vittorio Vidali624; missini e Blocco Italiano per la destra estrema (patrocinato, quest’ultimo, dall’Ufficio per le Zone di Confine); tre movimenti indipendentisti, differenti ma uniti dietro allo slogan «Trieste ai triestini»; e due movimenti sloveni, uno comunista “titoista” e uno democratico cattolico. Un Comitato d’Intesa Elettorale fu creato allo scopo di dirimere le problematiche tra partiti di anime così diverse e contrapposte, mentre i Comitati Civici, di stampo democratico cristiano, ebbero ruolo cruciale nella chiamata degli elettori alla salvaguardia dell’italianità di Trieste attraverso il voto.
La storiografia è concorde nell’affermare che il Governo nazionale italiano e i partiti filo-italiani non comunisti di Trieste vollero fare di queste elezioni un «plebiscito di italianità», che fosse utile a rilegittimare l’impegno della Nota Tripartita e dunque a ribadire la ferma volontà di una soluzione definitiva della vertenza con il ritorno di Trieste all’Italia. Se Novak sostenne che tali elezioni furono autorizzate dal GMA
622 Giornate di passione, «La Stampa», 9 giugno 1949. 623 A. Millo, La difficile intesa, cit., p. 79.
624 Cfr. la biografia di Vidali di recentissima uscita, P. Karlsen, Vittorio Vidali. Vita di uno stalinista (1916-1956), Il Mulino, Bologna, 2019.
solamente in quel momento, malgrado le numerose richieste precedentemente avanzate dal governo jugoslavo e dal blocco comunista, perché i rapporti di forza locali erano oramai consolidati sul radicamento delle forze filo-governative e l’indebolimento dell’opposizione rossa625, Valdevit ritiene invece che per la società triestina il GMA non rappresentasse a tutto tondo il garante dell’affermarsi delle forze italiane in loco, a fronte del ruolo di mediatore tra diversi gruppi nazionali che svolgeva. Urgeva dunque per le forze italiane di Trieste consolidare i rapporti con la capitale, cosa che in effetti avvenne a seguito della tornata elettorale:
Da allora non ci sarà apparato istituzionale romano dotato di qualche competenza relativa a Trieste il quale non attivi un suo terminale, non si doti di un suo interlocutore locale. Ciò vale per il ministero degli Esteri, per quello degli Interni, della Difesa, per i ministeri economici e soprattutto per la presidenza del Consiglio dei ministri, che ha costituito al suo interno l’Ufficio per le Zone di Confine, vera eminenza grigia del dopoguerra triestino626.
Al tempo delle ricerche condotte da Giampaolo Valdevit, come egli stesso segnala, non era stato ancora possibile accedere all’archivio dell’UZC627. Un’inchiesta giudiziaria del 1996 avviata da Aldo Giannuli riaccese le luci su quelle carte, che solo nel 2008 sono passate nelle mani dei primi studiosi, Raoul Pupo e Giorgio Mezzalira628. Il già citato volume del 2015 è dunque il primo lavoro di ricognizione e analisi dell’operato svolto dall’UZC in difesa dell’italianità del confine dell’alto Adriatico. Grazie a tale studio è stato possibile ricostruire lo svolgimento dell’iter elettorale, così come la meticolosa elaborazione delle strategie politiche nazionali che furono alla base delle amministrative triestine del 1949. Risulta che il GMA, pur contrario all’organizzazione della consultazione elettorale, decise ad un certo momento di creare lo spazio affinché si radicasse nella società locale un modello democratico rappresentativo, e che favorì in quel caso il fronte filo-italiano. L’autorizzazione giunse infatti solo dopo lo scisma in seno al Cominform e l’avvio del Piano Marshall; si scelse di recepire la legislazione italiana circa le disposizioni per le elezioni locali; furono “gonfiate” le liste elettorali con migliaia di nominativi di profughi di recente immigrazione; si chiamarono al voto prima i cittadini di Trieste e successivamente - il 19 giugno - gli abitanti dei comuni rurali di lingua prevalentemente slovena, ai fini di
625 B. C. Novak, Trieste 1941-1954, cit., p. 285.
626 G. Valdevit, Dalla crisi del dopoguerra alla stabilizzazione politica e istituzionale, cit., pp. 639-640. 627 La pubblicazione è del 2002.
628 D. D’Amelio, A. Di Michele, G. Mezzalira (a cura di), La difesa dell’italianità, cit., Prefazione, pp. 17-19.
dare risalto al risultato del capoluogo629. Oltre ad accordare la copertura economica all’imponente attività propagandistica svolta dalle forze filo-italiane, l’Ufficio per le Zone di Confine, contrario fin dal principio alla frammentazione in numerose liste elettorali, si incaricò di realizzare una “lista unica” degli italiani che avesse maggior radicamento interno e massima risonanza internazionale. Nella lista unica s’intendeva includere anche missini, monarchici, nazionalisti, ex interventisti e uomini delle file del combattentismo e della Lega Nazionale, collaborazionisti, qualunquisti e neofascisti giuliani, ritenuti indispensabili alla vittoria plebiscitaria: «L’impostazione mirava a ridurre i termini del confronto alla sola opzione fra Italia e anti-Italia» ritenuta, a Roma, «in linea col sentire dell’opinione pubblica»630.
Il Governo italiano d’altra parte non considerava i partiti politici giuliani come organismi diretti allo sviluppo di un sistema politico rappresentativo e fondato sulla dialettica istituzionale, spiega Anna Millo: essi «contavano soltanto per la loro struttura organizzativa e come tali venivano finanziati, in quanto strumenti da utilizzare per raggiungere specifici scopi»631. Lo scopo nella fattispecie era ottenere «un risultato elettorale dalla maggioranza schiacciante, tale da poter riverberare in sede internazionale quel prestigio che fino ad allora all’Italia sul piano diplomatico era stato negato»632. Generale era infatti l’ansia che le consultazioni potessero rivelarsi un grosso flop agli occhi degli interlocutori esteri, nel caso non si fosse raggiunto il dato di plebiscito di italianità che avallasse le rivendicazioni italiane del 1947. Il rappresentante diplomatico italiano a Trieste Augusto Castellani espresse tutta la sua apprensione per tale “prova” alla Presidenza del Consiglio:
Le elezioni amministrative triestine si trasformeranno necessariamente in un plebiscito per il ritorno o contro il ritorno della regione all’Italia. Evento quindi non solo locale e nazionale, ma internazionale nel medesimo tempo. [...] Conterà il risultato complessivo, e cioè l’ottenimento di un’alta percentuale che riaffermi e consacri l’italianità di Trieste, il sentimento della grande maggioranza della popolazione, il buon diritto della nazione italiana su queste terre. In caso contrario, cioè di un insuccesso anche solo relativo, l’opinione pubblica internazionale ne resterebbe sfavorevolmente influenzata633.
629 Ivi, D. D’Amelio, La difesa di Trieste, cit., p. 402. Tutto quanto appena elencato, conferma la versione dello storico serbo Novak.
630 Ivi, p. 403 e A. Millo, La difficile intesa, cit., pp. 82-83. 631 A. Millo, La difficile intesa, cit., p. 80.
632 Ivi, p. 81.
633 Ibidem. La missiva riportata da Millo è conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato, Segreteria particolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1945-1954); Cfr. anche C. Columni, G. Nassisi, L. Ferrari, G. Trani, Roma e Trieste di fronte alle elezioni amministrative del 1949, in «Qualestoria. Bollettino dell’Istituto regionale per la storia del movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia», 3, 1978, pp. 18-24.
L’Ufficio governativo tentò di favorire l’accentramento delle forze nazionaliste a Trieste fino all’ultimo giorno di campagna elettorale, volontà che cozzava tuttavia con le riserve di democristiani e socialdemocratici locali, così che infine il progetto declinò e la consultazione si svolse sulla falsariga di quelle del resto del Paese. Le spese affrontate per la campagna furono notevolissime, tanto che Castellani, provando a fare un computo dei finanziamenti erogati a favore dei partiti, commentò: «La futura amministrazione civica triestina sarà, almeno per quanto concerne la sua nomina, fra le più care del mondo»634.
Il cartello dei partiti centristi e filo-italiani (DC, PLI, PRI, PSIVG) si aggiudicò la maggioranza dei consensi, potendo così formare la Giunta comunale senza necessitare dei voti di altri partiti o raggruppamenti. Il 39 per cento delle preferenze andarono alla Democrazia Cristiana, che elesse il proprio sindaco, Giovanni Bartoli, il quale avrebbe poi ricoperto la carica fino al 1957635. In rappresentanza dello schieramento che possiamo definire filo-italiano, le destre del MSI e del Blocco Italiano raccolsero un 11 per cento piuttosto deludente se raffrontato con i lauti finanziamenti per la campagna elettorale ottenuti direttamente da Roma dall’Ufficio per le Zone di Confine. Ciò valse tuttavia ai nazionalisti una rappresentanza pari a diversi seggi al Consiglio Comunale - 4 per il MSI e 3 per il Blocco -, un «regalo»636 dell’UZC di non poco conto se si considerano le basi ideologiche apertamente revansciste e apologetiche del regime fascista che connotavano tali formazioni politiche. I comunisti ottennero complessivamente la metà dei consensi rispetto alla Democrazia Cristiana, mentre di particolare interesse è il dato relativo al fronte indipendentista, finanziato sottobanco da Belgrado637, che si aggiudicò oltre 17 mila voti, affermandosi come il terzo partito di Trieste dopo democristiani e cominformisti. I risultati elettorali rappresentarono dunque la prova del fatto che il quadro politico locale, così come il sentire della comunità, erano non poco differenti rispetto alla valutazione interessata del Governo italiano. L’evoluzione repentina del contesto geopolitico, cui la collettività locale era da lungo tempo abituata, aveva reso la società triestina malleabile e capace di adattamento alla modificazione delle ipotesi sul proprio futuro politico. La tornata elettorale del 1949
634 Ivi, p. 84.
635 Sulla figura di Gianni Bartoli, cfr. C. Belci, Gianni Bartoli, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1992. 636 A. Millo, La difficile intesa, cit., p. 87. La definizione è ripresa da un commento del vice-presidente di Zona, l’intellettuale socialista Carlo Schiffrer. Cfr. anche D. D’Amelio, cit., in D. D’Amelio, A. Di Michele, G. Mezzalira (a cura di), La difesa dell’italianità, cit., pp. 404-405.
637 Ivi, p. 406. Cfr. anche R. Pupo, Le elezioni amministrative del 1949 a Trieste. Contesto internazionale e articolazioni del «Fronte Italiano», in «Quaderni del Centro di studi economico-politici Ezio Vanoni», 14, 1980.
assunse senz’altro il carattere di plebiscito per l’Italia, entro un processo che faceva della dimensione nazionale l’elemento principe dello scontro tra liste. Tuttavia l’innegabile incidenza dell’identità territoriale unica nel suo genere di Trieste, fece sì che lo stesso TLT non fosse più a tal punto mal visto dopo la rottura tra Tito-Stalin e il progressivo calo del clima da “stato di assedio”, e che si radicasse, accanto al bipolarismo classico Italia/anti-Italia, una terza forza di impianto localistico, erede di una “tradizione civica” di più antica data e connotata dall’aspirazione all’indipendentismo e all’autonomismo638.
La campagna elettorale, iniziata a Trieste alla fine di aprile 1949 e sostenuta a tamburo battente fino al 12 giugno, si caratterizzò per le sue dimensioni iperboliche. «Praticamente nelle strade del centro di Trieste non c’era muro che non fosse ricoperto di manifesti - ha ricordato, tra gli altri, Novak - e i propagandisti difficilmente riuscivano a trovare uno spazio vuoto dove affiggere i loro ultimi cartelli». Ciò che ci interessa però è osservare quale fu la narrazione delle amministrative giuliane che attraversò l’Italia, a fronte del quadro locale fin qui introdotto. «Le amministrative rappresentarono probabilmente il culmine dell’opera in difesa dell’italianità sul terreno della propaganda»639. La stampa nazionale iniziò a dar conto della battaglia elettorale soltanto in prossimità del voto. “Italia” e “Trieste” divennero termini pressoché intercambiabili. «Un nome dominante: Italia!», scriveva «Il Popolo» descrivendo il famoso plebiscito per l’italianità, connotato da «un calore che nessun’altra città d’Italia ha conosciuto neanche il 18 aprile». Interessa in modo particolare il passaggio che segue:
Sono sei le liste italiane contro sei liste dell’anti-Italia, ma la città non è che un tricolore. Prima che scadesse il termine per la presentazione delle liste, gli esponenti delle varie correnti politiche avevano discusso per addivenire alla formazione di un blocco degli Italiani, con una lista unica in cui i triestini potessero versare, senza discettare di programmi, il loro sentimento di Italiani in pericolo. L’accordo, al quale la DC aveva dato piena e leale adesione, non è stato raggiunto640.
Sappiamo che a Trieste le cose andarono in modo differente alla descrizione fatta dal foglio democristiano e che la DC locale non aderì alla lista unica. L’articolo proseguiva
638 A. Millo, cit., p. 82. Cfr. anche A. Verrocchio, Elezioni, eletti, rappresentanza politica a Trieste nel secondo dopoguerra, in A. Verrocchio (a cura di), Trieste tra ricostruzione e ritorno all’Italia (1945- 1954), Edizioni Comune di Trieste, Trieste, 2004, pp. 76-97.
639 P. Ghedda, F. Robbe, Andreotti e l’Italia di confine. Lotta politica e nazionalizzazione delle masse (1947-1954), Guerrini e Associati, Milano, 2015, p. 61.
denigrando il fronte dell’«estremissima destra, gli isterico-nazionalisti che, non paghi delle colpe passate, si impancano a soli autentici difensori dell’unità della Patria e dell’italianità di Trieste», e chiaramente quello comunista, i «nostrani traditori». Tali insidie si ponevano agli elettori, che rischiavano di riversare il proprio sincero patriottismo nelle mani sbagliate. Ma vi erano anche una serie di facilitazioni, tra cui la seguente, riportata sempre dal «Popolo»:
In occasione delle elezioni di Trieste, domenica 12 giugno, la Lega Nazionale di Trieste organizza, tramite la sua delegazione di Milano, un treno speciale da Milano-Trieste. Il viaggio sarà gratuito per tutti quelli in possesso della scheda elettorale. Il Comitato organizzatore invita tutti i triestini a fare il proprio dovere di italiani e recarsi alle urne per dare con il proprio voto la dimostrazione a tutto il mondo che Trieste è e sarà italiana. Triestini, tutti compatti, il treno tricolore vi aspetta: nessuno diserti le file, un viaggio di una notte non è un sacrificio, sarà un raduno di vera fedeltà verso la Madrepatria641.
Il primo servizio di cronaca elettorale de «L’Unità» riportava invece la seguente riflessione:
Le elezioni sono state indette a Trieste dal comando alleato quasi all’improvviso per una ragione molto semplice. Esso credeva che, in seguito al tradimento titino, il Partito Comunista Triestino fosse in via di dissolvimento e fosse, quindi, facile la vittoria dei partiti governativi, che in quella città adottano la formula viziosa e menzognera di soli partiti italiani.
L’occasione era il comizio dell’ex presidente della Costituente Umberto Terracini, tenuto in una piazza Unità d’Italia «traboccante», i cui accessi furono tuttavia ostruiti da un nutrito «gruppo di studenti medi e pel resto tipacci da squadre fasciste che era protetto da un triplice sbarramento di poliziotti», al fine di impedire la manifestazione. A detta del giornale, lo stesso brigadiere Robertson, responsabile della sicurezza per conto del Governo Militare Alleato, avrebbe ostacolato il normale svolgersi della uscita pubblica di Terracini, lasciando spazio più agli oppositori che al pubblico interessato sceso in piazza. «Questa politica consiste nell’attizzare gli odi nazionali tra italiani e slavi sulla falsa riga di quella praticata dal fascismo - era il commento di Terracini - Provocando uno stato di disordine e di tensione tra le due nazionalità, il ministero DC crea la scusa per cui gli anglosassoni restano a Trieste»642. Sempre in prima pagina del foglio comunista era pubblicata la fotografia della manifestazione in una piazza
641 Un treno tricolore per le elezioni di Trieste, «Il Popolo», 9 giugno 1949.
dell’Unità gremita, con la seguente didascalia: «Un aspetto della piazza di Trieste durante il comizio di Terracini: la migliore smentita alle bugie della stampa reazionaria!». Ed effettivamente dal «Popolo» il comizio di Terracini era stato descritto come «un fiasco».
Trieste è tappezzata di manifesti fino ai secondi e terzi piani. L’atmosfera è trascinante; si ha voglia di tenere i nervi a posto, di non lasciarsi prendere dalle «fanfare»; ma non si resiste. La battaglia è impegnata in nome dell’Italia, e perciò ritorna dall’aldilà la voce dei nostri padri, volontari nella guerra del 15-18, e sotto i polpastrelli si fanno sentire le piume dei cappelli dei bersaglieri. Per chi, come me, è nato pochi anni prima della «Grande Guerra», che resta grande anche se altre più grandi e terribili l’hanno seguita; per chi, come me, ha avuto da bambino un abbecedario in dono, in cui Trieste era raffigurata nelle spoglie d’una ragazza bella, dolce, e triste, in catene - e c’era pure Cecco Beppe che mangiava candele - e l’Italia che spezzava i vincoli della Triplice; per chi, come me, più tardi ha letto «Il mio Carso» di Slataper, non c’è proprio via di scampo. Non c’è via di scampo. Ritornano gli eroi favolosi della nostra giovinezza: e premono, e fanno violenza al cervello, rifluendo dal cuore (purtroppo: dal cuore); da Mazzini a Battisti, a Oberdan, a Sauro. Che fare?643
L’inviato speciale Gaetano Baldacci dalla prima pagina del «Corriere» esprimeva così la propria sentita partecipazione alla vigilia delle elezioni triestine. E nel descrivere ai lettori il composito quadro politico, le dodici liste di anime e addirittura di lingue