Oggi a Trieste, nella zona B, si guarda all’Italia: oggi più che mai. E noi italiani non consentiremo mai che sia pure con le forme più democratiche possibili si possa scendere all’ultima rinuncia, rinnegando il sacrificio dei nostri seicentomila caduti nella guerra 1915-18. Non è nazionalismo, questo! È la visione di una realtà che
664 Una grande affermazione del Partito Comunista a Trieste, «L’Unità», 14 giugno 1949. 665 E. Gentile, La Grande Italia, cit., p. 345. Cfr. in particolare Il partito-patria, pp. 378-385. 666 ILR, intervento di Tommaso Leone Marchesano (PNM), seduta del 9 febbraio 1950, p. 15275.
noi intendiamo affermare nella certezza che l’Italia non consentirà mai che, per ragioni sia pure della più difficile alchimia internazionale, si possa cedere ciò che è sempre stato italiano. Signori, arriva a noi il grido di dolore del movimento istriano! Noi questo grido lo raccogliamo, e lo ripetiamo alla Camera italiana. In questo grido di dolore, noi sentiamo tutta la forza e la grandezza dell’italianità dei triestini della zona B. [...] Il mio palpito è con i fratelli italiani della zona A e della zona B; non è nazionalismo, ma infiammato amore. Io vorrei che un grido solo sorgesse in questo momento dalla nostra aula: Viva Trieste italiana!667
All’alba del 1950 la situazione al confine orientale d’Italia si surriscaldava nuovamente. La frattura fra Tito e l’Unione Sovietica era diventata definitiva, con entrambi gli interlocutori arroccati su di una posizione di scontro sempre più frontale. Entro la congiuntura corrente, tanto l’Italia quanto la Jugoslavia modificarono le proprie posizioni riguardo il problema di Trieste. La Jugoslavia, in un primo tempo favorevole alla creazione e al consolidamento del Territorio Libero di Trieste, a fronte dell’inasprirsi delle conseguenze della scissione con il Cominform e della rimarcata volontà della Russia di applicare i termini del Trattato di Pace del 1947, con la richiesta di eleggere con urgenza il governatore e di rendere il TLT neutrale e smilitarizzato, intraprendeva una diversa strategia. Tito mirava ora alla ripartizione del Territorio Libero e proponeva una rinegoziazione dei termini della vertenza giuliana che avesse come base l’accordo Tito-Togliatti del novembre 1946. Il risultato positivo ottenuto dal fronte filo-italiano nelle amministrative in Zona A aveva chiaramente dato la spinta finale a tale mutamento di strategia. Il Dipartimento di Stato americano, a sua volta, dichiarava di ritenere ancora valida la Nota Tripartita del 1948, ma non procedeva ad alcuna iniziativa che andasse in quella direzione: «senza il placet jugoslavo gli Stati Uniti non sarebbero stati disposti a prendere in considerazione la restituzione all’Italia anche solo della Zona A, nemmeno di fronte a una disponibilità sovietica in tal senso», spiega Raoul Pupo668. La presenza militare alleata in loco puntava al mantenimento di uno status quo giocato sull’equilibrio tra l’atteggiamento tendenzialmente filo-italiano degli angloamericani in Zona A, e il contestuale non-intervento per arginare le azioni di Tito volte al consolidamento politico, legislativo e militare del proprio insediamento in Zona B.
Fu il sottosegretario agli Esteri di Belgrado Bebler a proporre una soluzione di compromesso al Dipartimento di Stato americano alla fine del 1949: mossa assai riuscita a fronte della volontà alleata, in particolare inglese, di addivenire quanto prima
667 Ibidem, pp. 15275-15276.
all’archiviazione di una vertenza percepita sempre più come «fonte solo di oneri finanziari e diplomatici»669. La questione giuliana aveva infatti da tempo smesso di configurarsi come un terreno di scontro degli opposti schieramenti ideologici sovranazionali e assunto le sembianze di una variante locale della cortina di ferro. Agli occhi degli alleati essa costituiva un residuo elemento di disturbo che si frapponeva tra l’avvicinamento di Tito all’occidente da una parte, e il mantenimento - sempre più difficoltoso - di buoni rapporti con l’Italia dall’altra670. I mutamenti di strategie politiche avevano fatto di Trieste «esattamente il contrario di ciò che si è cercato di farla diventare: non una società nella quale la presenza del Governo Militare Alleato è riuscita ad attenuare la tensione, bensì un sore spot, un punto d’infezione», che sarebbe infatti scoppiato negli incidenti di piazza del 1952 e 1953671. Di fronte alla proposta di negoziato di Belgrado il rappresentante di Stato americano Acheson tentò nel febbraio 1950 la via del dialogo con il ministro degli Esteri Carlo Sforza, il quale rimarcò di non voler fare alcun passo indietro circa le rivendicazioni italiane. L’esito infruttuoso di questo primo confronto comportò una serie di conseguenze e provvedimenti in Zona B - introduzione del dinaro come moneta corrente, abolizione delle barriere doganali tra Zona B e Jugoslavia, estensione progressiva della legislazione jugoslava nell’area - che rappresentarono la prova definitiva dell’intenzione titina di integrare il territorio istriano alla Repubblica Federale 672 . Il passo successivo fu autorizzare le elezioni amministrative anche in Zona B, per i comitati distrettuali di Capodistria e Buie. L’Italia di De Gasperi, ferma sulla validità del precedente impegno alleato contenuto nella Nota Tripartita, rischiava di ritrovarsi isolata su rivendicazioni oramai da ridefinire e che, sempre più, andavano confluendo nel bagaglio identitario della destra estrema, mentre Tito consolidava la propria posizione raccogliendo il favore americano per la proposta di alleanza militare balcanica che congiungeva Jugoslavia, Grecia, e Turchia. Prova ne era l’atteggiamento di «tolleranza gelida» che americani e inglesi mostravano nei confronti della politica attuata dal maresciallo jugoslavo in Zona B673, anche di quella più spregiudicata. «Il contesto era quello della progressiva ‘bilateralizzazione’ tra Italia e Jugoslavia della vertenza su Trieste - evidenza Patrick Karlsen - ricercata da Usa e
669 Ivi, pp. 87-88.
670 Ivi, pp. 89-90.
671 G. Valdevit, Dalla crisi del dopoguerra alla stabilizzazione, cit., p. 641.
672 B. C. Novak, Trieste 1941-1954, cit., p. 305 e p. 315 e A. Millo, La difficile intesa, cit., p. 94.
673 D. D’Amelio, La difesa di Trieste, in D. D’Amelio, A. Di Michele, G. Mezzalira (a cura di), La difesa dell’italianità, cit., p. 407.
Gran Bretagna soprattutto per appianare il percorso di integrazione del regime di Tito nei dispositivi di sicurezza militare dell’Alleanza atlantica»674.
Da tempo gli attori della politica e del giornalismo nazionale andavano denunciando violenze e arbitri ad opera delle autorità militari della VUJA in Zona B, percepiti come il presupposto di un processo di snazionalizzazione sociale, culturale, legislativa ed economica finalizzato ad adeguare l’area istriana al resto della Jugoslavia675. Tra gennaio e aprile 1950 furono presentate alla Camera dei Deputati undici interrogazioni parlamentari che segnalavano le discriminazioni e gli abusi commessi ai danni della popolazione italiana di zona sulla base della nazionalità, e che invocavano una decisa azione di Governo676. «In questi ultimi tempi il Governo jugoslavo si va praticamente impossessando della zona B del Territorio libero di Trieste», ammoniva dai banchi del PNM Giovanni Alliata di Montereale677, e particolare scalpore sollevavano gli atti vandalici compiuti a danno delle «lapidi di Capodistria a ricordo dei caduti del Risorgimento e della Grande Guerra»678. Non solo, evidenziava il democristiano Attilio Bartole:
La lapide è stata, sì, rifatta, ricostruita e rimessa a posto, ma stando alla notizia proveniente ora da Capodistria, i nomi dei Caduti del Risorgimento e della grande guerra, fra cui quello di Nazario Sauro, non vi figurano più, figurando al loro posto altri nomi di partigiani jugoslavi caduti durante questa guerra a fianco delle truppe di Tito. Ora, onorevoli colleghi, è tutto uno spirito di feroce antitalianità che va riveduto679.
L’upgrade dell’interessamento della Parlamento e del Paese alle sorti della Zona B coincideva con l’approssimarsi delle elezioni, autorizzate il 27 febbraio 1950 dal Comitato Regionale del Popolo e dal Governo Militare Jugoslavo secondo procedure
674 P. Karlsen, Frontiera rossa, cit., p. 205.
675 Cfr. La grave situazione della Zona B. La Giunta di Trieste chiede all’ONU di tutelare i diritti basilari degli italiani, «Il Popolo», 24 febbraio 1950; Tito fa la voce grossa e tenta di ricattare Washington, «La Stampa», 1 marzo 1950; Validità dell’impegno per Trieste, «Il Popolo», 2 marzo 1950; L’Italia non accetterà fatti compiuti di nessun genere, «Il Corriere della Sera», 10 marzo 1950; L’Italia vuole la distensione ma è decisa a far rispettare i suoi diritti, «Il Popolo», 10 marzo 1950; Interrogazioni alla Camera sulle violenze titine. Unanime insoddisfazione per la risposta del governo, «L’Unità», 11 marzo 1950; L’Italia non riconosce i fatti compiuti nella Zona B, «Il Popolo», 22 marzo 1950; L’azione jugoslava per incorporare la Zona B, «Il Corriere della Sera», 26 marzo 1950.
676 I deputati che presentarono le interpellanze erano membri dei seguenti partiti: DC, PSDI, PCI e PLI. Più avanti nel testo verranno più approfonditamente affrontate le interrogazioni parlamentari cui si fa accenno.
677 ILR, intervento di Giovanni Alliata di Montereale (PNM), seduta del 14 febbraio 1950, p. 15443. 678 ILR, intervento di Attilio Bartole (DC), seduta del 10 marzo 1950, p. 16052. Sulla distruzione delle lapidi di Capodistria cfr. Orlando invoca solidarietà per gli italiani di Capodistria, «Il Corriere della Sera», 23 febbraio 1950 e Documentate le persecuzioni jugoslave contro gli italiani, «Il Corriere della Sera», 7 marzo 1950.
non dissimili da quelle contenute nell’ordine del GMA del febbraio 1949 per le elezioni in Zona A. La data di questa seconda tornata elettorale del TLT era stata fissata il 16 aprile 1950. A ridosso del voto istriano la stampa nazionale avviava a sua volta un’intensa campagna di protesta e di sensibilizzazione del Paese.
«La Zona B è terra italiana», proclamava «Il Popolo» riportando le parole pronunciate dal segretario nazionale della DC Paolo Emilio Taviani a Chioggia: «Il risultato delle elezioni nella Zona B non ha e non può avere, mancando assolutamente ogni garanzia, alcun valore per noi Italiani e per tutto il mondo democratico»680. Sulle stesse corde vibrava il messaggio di Luigi Salvatorelli dalle colonne de «La Stampa»:
L’Italia ha dovuto compiere una serie di doverose rinunce a centri di schietta e antichissima italianità che sono rimasti compresi nello Stato jugoslavo; non può aggiungere ulteriori rinunce che rappresenterebbero adesso, dopo la dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948, una sua volontaria abdicazione. Essa non può abbandonare neppure uno dei suoi figli, né una particella di territorio italiano. Sicuro del suo buon diritto, pronto sempre - ripetiamo - all’intesa pacifica e feconda con i vicini, il nostro popolo confida che il governo nazionale saprà regolarsi con prudenza e fermezza e si augura che riesca a far comprendere a Belgrado che il sognato fatto compiuto non avrebbe la minima consistenza né giuridica né politica né morale681.
E ancora faceva eco il «Corriere»: «Le pseudo-elezioni del 16 aprile nella Zona B non devono essere tenute in nessun conto né prima né dopo. Perché si tratta della solita grossolana manovra di tutti i regimi totalitari di manipolare a loro uso e consumo una espressione della volontà popolare che non ha nessuna corrispondenza con la realtà». L’inviato Silvio Negro denunciava che fossero riconosciute e ammesse alla competizione elettorale, oltre alle liste filocomuniste, solo altre due organizzazioni, quella indipendentista e quella socialista; che non fosse prevista alcuna garanzia di segretezza del voto; che fossero stati esclusi migliaia italiani dalle liste elettorali682. Non era tutta falsa informazione: erano effettivamente proibiti in Zona B tutti i partiti filo- italiani o democratici sloveni esistenti in Zona A così come i loro quotidiani683, e le elezioni furono contraddistinte da intimidazioni, svolte secondo metodi non rappresentativi di un sistema elettorale democratico e dirette a garantire la maggioranza assoluta al partito ufficiale.
680 Appassionata eco a Trieste del discorso di Taviani. La Zona B è terra italiana e La ferma denuncia, «Il Popolo», 4 aprile 1950.
681 Fatti compiuti?, «La Stampa», 5 aprile 1950.
682 Assurde elezioni, «Il Corriere della Sera», 7 aprile 1950. Cfr. ancora dello stesso tono Le elezioni di domenica non hanno alcun valore, «Il Corriere della Sera», 12 aprile 1950.
«La Stampa» ammoniva: «Ai danni dell’elemento italiano fu intentato un vero e proprio processo di snazionalizzazione [...]; nella Zona B si cercherà di giocare alla democrazia una volgarissima beffa, perché, attraverso una votazione plebiscitaria ottenuta con la violenza e il sopruso, si cercherà di dimostrare che l’italianità di quelle terre era una mistificazione posta in atto dalla nostra megalomania». A sostegno il quotidiano torinese riportava i risultati del censimento austriaco del 1910, secondo cui i comuni della Zona B erano abitati in maggioranza schiacciante da popolazione italiana, mentre gli «allogeni» risultavano una risicata minoranza684. Tra gennaio e aprile i media affrontarono la questione degli italiani d’Istria con un approccio ancora altalenante, che passava in modo repentino dalla denuncia del «carattere dittatoriale del regime di Tito»685, per cui era impraticabile la strada del confronto costruttivo, alle dichiarazioni di «buona volontà dell’Italia di stringere legami d’amicizia con la nazione confinante»686. Con l’avvicinarsi della data del voto i discorsi si assestarono in modo unanime sulla denuncia dei metodi “terroristici” utilizzati dal leader jugoslavo. Con cadenza quotidiana si dava conto della «stretta del terrore» titina, che andava dalle beffe agli insulti, dalle perquisizioni alle manifestazioni intimidatorie, nei termini di una persecuzione su base nazionale: «Gli elementi maggiormente sospettati d’italianità, e perciò iscritti nelle liste nere come fascisti, cominciarono a ricevere lettere con frasi dal seguente tenore: “Testa a posto, o foiba”»687.
«L’Unità» nondimeno gridava alla “farsa elettorale” e ammetteva gli arbitri e le persecuzioni ai danni della popolazione italiana della Zona B, addebitandone tuttavia gran parte della responsabilità alla politica sconsiderata e soggiogata al volere americano del Governo De Gasperi. Dava inoltre per decaduta la promessa elettorale del 20 marzo 1948, definita un «buffetto elettorale sulla guancia degli italiani» che in nessun momento aveva costituito un vero impegno occidentale e che oggi si rivelava nella sua natura esclusivamente propagandistica, addirittura per stessa ammissione della
684 I triestini temono di trovarsi di fronte a un fatto compiuto, «Il Corriere della Sera», 9 aprile 1950. Cfr. anche La minaccia del fatto compiuto appare a Trieste sempre più drammatica, «Il Corriere della Sera», 11 aprile 1950.
685 Farsa elettorale nella “zona B”, «Il Popolo», 8 aprile 1950; cfr. anche Accorato appello di Trieste contro la snazionalizzazione dell’Istria, «Il Popolo», 9 aprile 1950.
686 Il territorio di Trieste e l’impegno degli alleati, «La Stampa», 7 aprile 1950; cfr. anche L’intesa italo- jugoslava unica soluzione possibile, «Il Popolo», 11 aprile 1950.
687 Cittadini prelevati come ostaggi da attivisti in spedizione punitiva, «Il Corriere della Sera», 13 aprile 1950. Cfr. anche Alle urne col terrore: questa la tattica titina, «Il Popolo», 12 aprile 1950; “Non esistente” chi non vota, «Il Popolo», 14 aprile 1950; Le schede trasparenti di Tito, «La Stampa», 15 aprile 1950.
stampa inglese688. L’altra grave colpa stava nella firma della «cambiale in bianco del Patto Atlantico [...], la fine di ogni nostra possibilità di politica indipendente e nazionale e l’inizio di ogni nostra umiliazione e tribolazione. Trieste è l’episodio più recente ed eloquente di queste umiliazioni»689. La propaganda mediatica del PCI in quel frangente impostava il proprio attacco su due binari discorsivi: uno era diretto contro il Governo, reo di aver avallato «lo spregiudicato gioco degli occidentali sulla questione del Territorio Libero di Trieste»690, finanche con l’inganno. L’altro colpiva invece il regime di Tito, mostrando peraltro un tratto paradossale dell’evoluzione della narrazione comunista da prima del 1948 al post-1948. A questo proposito ha evidenziato Patrick Karlsen che «l’oppressione contro la popolazione della Venezia Giulia occupata dall’esercito di Tito, insieme al carattere repressivo e violento del potere jugoslavo, erano elementi che fino ad allora la propaganda del Pci aveva tenacemente negato; ora, quegli stessi elementi furono esaltati con continuità»691. La riflessione che ne deriva va a toccare punti che prescindono dal caso del confine dell’alto Adriatico e che hanno a che vedere con le caratteristiche endemiche di un certo «comportamento mentale e politico comunista», connotato
dall’abitudine a “dire tutto e il contrario di tutto” in nome di un “puro giustificazionismo”, assieme alla tipica combinazione di continuità (per occultare le svolte repentine dettate dai mutamenti della linea sovietica sui diversi problemi) e doppiezza (come modulo psichico prima che politico atto ad assicurare il massimo di duttilità alle proprie posizioni, in preparazione di sempre possibili svolte future con annessi ribaltamenti di linea). La cornice più ampia in cui tale atteggiamento prende forma, naturalmente, è la prassi staliniana di manipolazione e controllo del passato692.
La denuncia dell’“apostata” Tito inoltre si combinava e sovrapponeva alla denuncia della politica estera di Governo, tanto da arrivare a colpire con un unico anatema la “cricca di Tito” e il fronte vaticano-democristiano, collusi nell’opera terroristica svolta a danno degli italiani dell’Istria. Il tutto sotto gli occhi accondiscendenti degli alleati occidentali, «maestri nell’illudere, nel promettere e nel dimenticare poi le promesse
688 Sarebbe stato meglio per Sforza non parlare, «L’Unità», 11 aprile 1950. L’articolo cita le dichiarazioni del Times, del Daily Telegraph e del Manchester Guardian. Cfr. anche Il buffetto sulla guancia, «L’Unità», 14 aprile 1950.
689 I comunisti e Trieste, «L’Unità», 19 aprile 1950, articolo a firma Luigi Longo.
690 Gli istriani chiedono un intervento dell’URSS e delle tre potenze occidentali, «L’Unità», 15 aprile 1950.
691 P. Karlsen, Frontiera rossa, cit., p. 216.
692 Ivi, p. 217. Cfr. anche M. C. Lavabre, Le fil rouge. Sociologie de la mémoire communiste, Presses de la Fondation National de Science Politique, Paris, 1994; M. Zuccari, Il PCI e la “scomunica” del 1948, cit.
fatte, nel trascurare e nello spegnere brutalmente le illusioni accese quando si affacciano nuove esigenze, nel caso specifico la necessità di non urtare Tito»693 .
La Democrazia Cristiana rispondeva agli strali de «L’Unità» lanciando alla popolazione istriana il seguente appello:
Il Comitato provinciale delle Democrazia cristiana di Trieste e dell’Istria, alla vigilia di una nuova amara prova, rivolge un fraterno e solidale saluto alla fiera popolazione istriana che da cinque anni dà esempio di nobile ed eroica resistenza contro le feroci persecuzioni dell’occupatore jugoslavo, dirette alla soppressione dei più sacri diritti di italiani, di cittadini e di uomini; [...] dà formale assicurazione che la Democrazia cristiana continuerà a sostenere con il massimo impegno la causa della zona istriana indissolubilmente legata a quella di Trieste per un definitivo ritorno all’Italia694.
In netto contrasto con la nota alleata inoltrata agli ambasciatori di entrambi i paesi che chiedeva di evitare atteggiamenti che compromettessero le buone relazioni tra Roma e Belgrado695, la notte della vigilia elettorale passava tra «lettere minatorie», «violazioni domiciliari», «persecuzioni poliziesche» e «raffiche di mitra e bombe a mano»696. Secondo il «Corriere della Sera» in Italia la sensazione predominante circa le sorti del TLT era la seguente: «Trieste [...] vive ore di orgasmo e di cruccio. Pur rifiutandosi di accettare come libera espressione dei fratelli istriani il responso delle urne di domani, i triestini non si nascondono che il Territorio libero è diventato ormai una finzione giuridica, a cui non credono più nemmeno coloro che gli diedero vita»697.
Domenica 16 aprile i cittadini dei distretti di Buie e Capodistria andavano al voto. Dallo spoglio delle schede elettorali risultava, com’era intuibile, la vittoria del partito ufficiale, l’Unione Antifascista Italo-Slava (UAIS-SIAU), che con l’89,9 per cento dei voti si aggiudicava l’amministrazione della Zona B. Martedì 18 aprile tutti i quotidiani italiani aprivano gridando unanimemente alla violenza inaudita. Minacce, intimidazioni, aggressioni, perquisizioni e due morti: Giuseppe Delise e Giuseppina Felluga, italiani
693 Ivi, p. 215. La citazione si trova in La condanna del terrore titino chiesta nell’assemblea dei profughi, «L’Unità», 15 aprile 1950. Cfr. anche Con la complicità degli occidentali Tito ha violato il trattato di pace, «L’Unità», 18 aprile 1950.
694 La truffa elettorale titina ha il suo epilogo. Appello della DC agli istriani mentre Trieste si pavesa di tricolori, «Il Popolo», 16 aprile 1950.
695 Il passo alleato a Belgrado comunicato ufficialmente a Sforza, «Il Corriere della Sera», 16 aprile 1950; Il “passo” a Belgrado comunicato al Governo italiano, «Il Popolo», 16 aprile 1950.
696 Oggi farsa elettorale nella “Zona B” nuova Danzica del secondo dopoguerra, «Il Corriere della Sera», 16 aprile 1950.
cittadini di Isola d’Istria, «deceduti per lo spavento in seguito alle brutali visite della difesa popolare»698. Erano stati i «Vespri del terrore»:
È difficile, godendo la libertà, immaginare al vero la tragedia rappresentata dalla sua perdita. Oggi, sul molo di Trieste, ho parlato con gente che tornava dall’Istria dopo aver passato una notte di terrore, e penso che bisogna amarla veramente la propria terra per starci menando una vita da detenuti politici. Frenando il pianto, mi dicevano che ieri i Croato-Sloveni hanno inferto un colpo mortale alla italianità dell’Istria. Il numero delle famiglie compromesse è assai elevato. E le rappresaglie