(Le belle di Fano)
Ogni anno, il dieci luglio, Fano festeggia il Patrono San Paterniano Vescovo. La Basilica è addobbata di fiori e il campanile splende co-me un faro, tanto è ricoperto di luci. Le Sante Messe si susseguono con un pieno di fedeli, che accorrono per appressarsi accanto all’ur-na di vetro che contiene le Sacre Spoglie. Quel dieci luglio, cercai di aprirmi un varco tra i fedeli con un sorriso e “Scusi, posso?” Riu-scii ad arrivare vicino all’urna. Tra una preghiera e l’altra le parole di mia madre mi risuonarono alla mente: “Chi vol veda le bell de Fan, vien el giorn de San Paternian...”. Sorrisi tra me e me e con un’oc-chiata non meno “ridente” guardai il Santo Patrono, come a chie-dergli scusa per quella ridda di pensieri che nulla aveva a che fare con lo speciale momento di preghiera.
Nell’alzare lo sguardo e nel toccare l’urna, per un segno di croce, incrociai lo sguardo di una donna, che alcune rughe non avevano per nulla cambiato “Maria!” Mi sorrise e io le risposi con un cen-no di capo. C’eravamo ricocen-nosciute. La folla premeva. Dovetti an-darmene per cercare un posto ove sedermi per la Santa Messa, che si sarebbe celebrata di lì a poco. Un sordo rumoreggiare e un vivo chiacchiericcio non rendevano “raccolta” la funzione e neppure io riuscivo ad essere spiritualmente presente, tanto la memoria la fa-ceva da padrona!
In fila, per l’Eucaristia, mi ritrovai Maria al fianco e fu normale al-lungare la mano per un tacito “come va?” Ma quello non era né il luogo, né il momento per un “bene...che piacere rivederti... sì,
dav-vero... ecc.” e così proseguimmo per la Comunione.
Fu all’uscita dalla Basilica, che i ricordi ripresero la loro corsa come un fiume in piena: Maria aveva fatto parte della mia infanzia. Era la figlia del nostro lattaio, che ogni mattina versava il solito “mez-zolitro” nel pentolino che mia madre gli allungava. Si soffermava qualche minuto con lei, o con mio padre per commentare i gran-di avvenimenti gran-di quegli anni: dall’alluvione del Polesine, al Censi-mento... Mentre noi, sedute sui gradini di casa, diventavamo ami-che. Una certa pressione, sul mio braccio, spezzò l’incanto dei miei ricordi. Maria mi stava sorridendo. Ci ritrovammo abbracciate.– Si va a prendere un caffè. E’ da troppo che non ci si vede e quest’in-contro voluto dal nostro Santo Patrono va in qualche maniera fe-steggiato! – Mi disse. Ci avviammo verso la Piazza XX Settembre, dove era già allestito il “cubo” della tombola. Sedute al bar comin-ciammo a scambiarci notizie... e la vecchia amicizia riaffiorò come per incanto e ben presto cominciarono ad incrociarsi i... “Ti ricordi di quella volta?.. e ... di quell’altra, che...?” Le risate si mescolavano al pianto. A poco a poco la memoria ci riportò al mai dimenticato
“dieci luglio delle Bell de Fan”. Erano gli anni della miseria nera che si mescolava con la voglia di ricominciare... Da giorni alcune ragaz-ze del Centro Storico si preparavano al grande evento. Lo sapevano tutti che la festa del Patrono era l’occasione per trovare marito! Era naturale sfoggiare un abito elegante, magari confezionato su misu-ra dalle mamme. Emisu-ra tmisu-radizione passeggiare per il corso a gruppetti con un seguito di ragazzi, che aspettavano quell’occasione per ini-ziare un vero corteggiamento, magari a qualcuna precedentemente adocchiata.
Volevano essere immortalate dal fotografo più in voga: Torriani, Eusebi o Temellini, davanti la “fortunata”, la nostra bella fontana di piazza. Le madri si davano un gran da fare perché le loro figlie fos-sero quanto mai belle. Persino “Cesarin”, il fabbro di via Garibal-di, quel giorno chiuse la bottega vecchia e mal messa, che con una certa boria definiva “una piccola impresa siderurgica”. Aveva
sapu-to che le “ragass”del centro ssapu-torico andavano in piazza a “fass veda”
e naturalmente tra loro anche mia sorella e le amiche. Quel gior-no, Cesarin si lisciò i capelli con la brillantina e si profumò con una bella spruzzata di ‘pino silvestre’; fiero della magnifica abbronzatu-ra presa al mare, dove insegnava il nuoto alle turiste tedesche. Lo si poteva definire un precursore del latin lover romagnolo per le bion-de germaniche. Un cupo colpo di tosse tradì “il ferraiolo”. Parlava bene il tedesco. Fatto prigioniero in un campo di concentramento, aveva fatto tesoro del suo apprendimento della lingua, mettendola poi in pratica con le belle ‘teutoniche’. Nei racconti di Cesarin c’era tutta la simpatia di un balbuziente “quasi perfetto attore di comme-dia”. E quando raccontava le sue avventure da play–boy, esclamava convinto: “Io le te–te–tengo...ben–ben–bene... so–so–sotto e co–
co–così... im–im–impaparano a nu–nuo–nuotare”. Gli uomini ri-devano a crepapelle, mentre le donne non sapevano se ridere o am-mirarlo. Fatto è che stava tutto il giorno nudo, dalla cintola in su, per mostrare il suo torace da super–fusto e l’abbronzatura mista al nero del ferro e da minutissimi frammenti di minerali. Non si sa-peva se prenderlo sul serio o no. Ma lui la moglie l’aveva, eccome!!!
Ma la teneva nascosta. Tanto è vero che gli uomini erano così cu-riosi di vederla, che dovettero seguirlo di nascosto fino a casa. Sor-presa...era piccola di statura, gli arrivava alla cintola, bruttina, ma dolce, dolce, dolce, come un bacio a una tedesca. Così diceva Cesa-rin. Maria sorrise e aggiunse: – Ricordo ancora quegli occhi lucidi di passione e di ironia che facevano di Cesarin un personaggio co-me pochi. Colpiva il cuore e la co-mente e... anche le ‘tedesche’... per-ché quando diceva “Ich liebe dich” “Io ti amo” non balbettava per niente! ! ! – Quel dieci Luglio, Cesarin fu il primo a vedere Temel-lini, con tutti i suoi marchingegni fotografici. Nel frattempo erano giunte anche le ragazze seguite da uno stuolo di giovani. Temelli-ni si mise ad aggiustare la posa che le bellissime avrebbero dovuto tenere al momento del flash. Metti la gamba così, il braccio colà, il profilo da questa parte, il busto dall’altra, no qui c’è l’ombra, là
troppo sole...sembrava che quelle foto dovessero passare alla storia, tanto si affannava. E nel momento ‘clou’ ecco le bellissime pron-te per il lampo di luce! Pospron-te ai bordi della fontana con il più bello dei sorrisi, CIAK... quando uno spruzzo gigante inondò la piazza.
Le ragazze erano scivolate miseramente provocando un largo splash d’acqua inondando e inondandosi... Risate a non finire fra il pub-blico presente. Povera FORTUNATA!!!
Il sogno di trovare un possibile “marito” naufragato assieme a loro nella bella fontana! – Ricordi? I loro bellissimi vestiti appiccicati ai corpi, a dire la verità statuari e ancora più seducenti! I capelli, poi, così faticosamente acconciati.... i volti grondanti e piangenti?! Fu la festa più ricordata del nostro Santo Patrono! – È vero – sussur-rai e le risate di allora divennero le risate del momento e con i dorsi delle mani ci asciugammo le lacrime che iniziarono a scendere da-gli occhi.
“Chi vol veda le bel de Fan, vien a la fiera de San Paternian; chi le vol arveda, vien a la fiera de San Bartolomeo; chi le vol purtà via, vien a la fiera de Santa Lucia”.
Con ancora il vecchio detto alle orecchie, la testa piena di ricordi e gli occhi lucidi di lacrime, ci abbracciammo con la promessa di non perderci più di vista. Ritornammo a casa. Il cuore più leggero, forse pensando che San Paterniano aveva fatto anche quel dieci luglio un suo ‘piccolo’ miracolo per un’amicizia mai persa.
I rintocchi a festa del campanile giungevano come una eco lontana.
PREMIO LETTERARIO ACCADEMIA DEI TENEBROSI
“ATTORNO ALL’AROLA” PUBBLICATO 2012