D) carattere “vincolante”o “non vincolante”, dal punto di vista deontologico e giuridico, per il medico delle D.A.
11. Amministrazione di sostegno e direttive anticipate di trattamento.
11.2 Quid iuris nel caso in cui il beneficiario non sia più capace di decidere in relazione alle cure necessarie per tutelare la sua salute, ma abbia, in precedenza, manifestato la sua volontà al
riguardo?
175)
Quest’opinione non è condivisa dal Tribunale di Torino che nega all’A.d.S. la legittimazione a esprimere il consenso informato ai trattamenti sanitari in sostituzione del beneficiario e ritiene che il dissenso del malato non possa essere superato attraverso il consenso dell’A.d.S.; sostengono, infatti, i giudici torinesi che solo in presenza di una seria malattia mentale e attraverso la più rigorosa procedura dell’interdizione possa essere correttamente conferito al tutore il potere di decidere al posto dell’assistito. Questa opinione, molto garantista da un verso, pone problemi di non agevole soluzione in tutti quei casi nei quali vi è un deficit di consapevolezza rispetto ai bisogni di cura, ma non si è in presenza di una seria malattia di mente; vedi, su questi problemi, le riflessioni di P. Vercellone, Soggetti fragili da sostenere : qual è il beneficiario tipo dell’amministrazione di sostegno, NGCC, 2007, II, 53-57.
176)
Vedi. sul punto, Trib. Milano 20/2/06, citato nella nota 174, che ha respinto la domanda di interdizione avanzata nei confronti di un soggetto affetto da un ritardo mentale da patologia congenita - oligofrenia di grado medio - emiparesi destra e dislalia, condizione che, secondo i giudici, non ha annullato del tutto le sue capacità, tant’è che sebbene sia stato nominato un A.d.S. provvisorio, le decisioni di natura sanitaria sono state rimesse all’esclusiva valutazione dell’interessato.
177)
Vedi, sul punto, in senso contrario, nella sostanza, a quanto da noi sostenuto, il provvedimento del Tribunale di Roma del 19/3/04, edito su Notariato, 2004, 3, 247, in relazione ad un rifiuto di intervento espresso da una donna colpita da cancrena alle gambe, con nota fortemente critica di E. Calò, L’amministratore di sostegno al debutto fra istanze nazionali e adeguamenti pratici, ivi, 248-253.
Quali rapporti sussistono in questo caso tra le direttive anticipate del soggetto e i poteri di cura conferiti all’A.d.S. da parte del giudice tutelare ?
Appare corretto tenere conto di queste volontà ovvero le esigenze manifestate al riguardo dall’interessato possono essere legittimamente obliterate ?
È evidente che la risposta ai quesiti che precedono dipende dal valore che si vuole e si può attribuire, in base all’ordinamento giuridico attuale, alle direttive anticipate (D.A.) sulle future cure. Com’è noto, allo stato, l’ordinamento giuridico italiano è privo di una normativa che regoli specificamente e compiutamente la materia delle volontà di cura espresse in anticipo da un soggetto capace e destinate a regolare situazioni di malattia che, eventualmente, si verificheranno quando lo stesso non è più in grado di far valere il suo diritto di autodeterminazione rispetto ai trattamenti sanitari.
In mancanza di riconoscimento giuridico esplicito delle D.A. vi è, pertanto, un’incertezza sul valore di queste volontà anticipate, soprattutto sul dissenso anticipato rispetto alle cure poi ritenute necessarie dai sanitari.
Questa incertezza non è stata risolta neanche dall’art. 9 della Convenzione di Oviedo sulla Biomedicina del 1997, la cui ratifica è stata autorizzata con la legge n. 145/2001, che, con formula poi ripresa nell’art. 34 del codice deontologico dei medici del 1998, afferma che «i desideri
precedentemente espressi in relazione ad un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione».
È possibile, peraltro, sostenere che, in base ai principi costituzionali desumibili dagli artt. 13 e 32 della Costituzione, ogni persona capace abbia il diritto di esprimere la sua volontà anche rispetto a tutti futuri trattamenti sanitari che desidera che vengano attuati sul suo corpo e che questa volontà, qualora debitamente provata, debba essere, in linea di principio e salvo specifiche eccezioni, rispettata dai curanti, anche se non condivisa.
In questo senso, peraltro, sembra orientato il nuovo codice deontologia medica del 16/12/06, laddove, nell’ultima parte dell’art. 38, afferma che “il medico, se il paziente non è in grado di
esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato”.
Negare questo diritto, infatti, significa discriminare senza una valida ragione tra le volontà espresse nell’attualità di una malattia e quelle manifestate in anticipo e destinate a valere in caso di incapacità del soggetto.
Negare questo diritto significa anche consentire che altri possono decidere in via autonoma sulla materia delle cure, sostituendosi all’interessato, nonostante questi si sia espresso al riguardo, sia pure in anticipo.
Negare questo diritto significa, infine, non riconoscere all’interessato la stessa dignità di persona che aveva prima di diventare malato e incapace.
Ecco perché non è condivisibile l’opinione, anche autorevolmente espressa, di coloro che contestano la validità delle D.A. per la loro astrattezza e la loro mancanza di attualità, pur in difetto di revoca da parte del soggetto interessato.
D’altra parte l’astrattezza e la mancanza di attualità non sono una caratteristica generale delle D.A. che possono essere espresse anche in costanza di malattia, come insegna l’esperienza dei medici che hanno utilizzato concretamente questo strumento per conoscere la volontà dei pazienti, da loro assistiti, affetti da sclerosi laterale amiotrofica (S.L.A.), in via anticipata rispetto a eventi futuri che rientrano nella storia naturale di questo morbo e possono anche accadere quando il soggetto non è in grado di far valere i propri diritti di scelta rispetto alle cure.
Gli stessi malati del morbo di Alzheimer, qualora debitamente informati sul naturale decorso di questa malattia, potrebbero validamente esprimere le loro volontà anticipate rispetto alle cure da intraprendere o meno nella fase terminale del morbo, quando viene meno la capacità decisionale del soggetto interessato.
Utilizzare la mancanza di attualità, intesa in senso meramente temporale, per negare valore alle D.A. significa anche mettere in discussione la validità delle volontà espresse da un soggetto nel momento in cui, ricoverato volontariamente per degli accertamenti, gli viene proposto un intervento chirurgico da eseguire in un momento successivo e viene debitamente informato dai sanitari sulla natura del trattamento, sulla sua prevedibile efficacia e sui suoi rischi. Anche in questo caso, infatti, le volontà del paziente di accettare o rifiutare la proposta dei sanitari vengono espresse in anticipo rispetto al momento in cui dovrà poi essere praticata l’anestesia e effettuato l’intervento chirurgico.178)
11.3 In definitiva le volontà anticipate dovrebbero essere considerate ancora attuali, se non