D) carattere “vincolante”o “non vincolante”, dal punto di vista deontologico e giuridico, per il medico delle D.A.
13. I nuovi progetti di legge sul consenso informato e sulle dichiarazioni anticipate presentati al Senato nella XV legislatura.
13.6 Capacità del disponente e efficacia delle dichiarazioni anticipate.
Alcuni dei DDL in esame affrontano specificamente il tema della determinazione del momento in cui le DA entrano in vigore, cioè diventano efficaci.
Nel DDL n. 3 del sen. Tomassini, ad esempio, all’art. 14 è stabilito che “la dichiarazione anticipata
di trattamento produce effetto dal momento in cui interviene lo stato di incapacità decisionale del predisponente” che deve essere “accertato e certificato da un collegio composto da tre medici….”
con atto notificato immediatamente al fiduciario, al mandatario, ai familiari e ai conviventi che possono richiederne l’annullamento con ricorso al giudice tutelare.
187)
G. Gennari, La protezione dell’autonomia del disabile psichico, op. cit. (nota 184), sottolinea che nella prassi giurisprudenziale relativa all’interdizione (e, ora, all’amministrazione di sostegno) poca attenzione è stata dedicata alla questione relativa alle modalità con le quali il tutore o, comunque, il decisore sostitutivo, deve esercitare i suoi poteri di cura nei confronti dell’assistito o beneficiario, omettendo così di esaminare le tematiche relative alla persistente titolarità, in capo al malato di mente ovvero al disabile, dei diritti fondamentali anche rispetto alla scelta delle cure sanitarie; nelle sue riflessioni sul tema, spec. pagg. 767-778, questo Autore analizza alcune decisioni giurisprudenziali delle Corti del Massachusetts che, invece, hanno cercato di creare delle regole in relazione al “substituted judgement” per ricomporre il conflitto “tra libertà dell’atto di scelta” delle cure e “carenza attuale di facoltà autonome”. In queste sentenze, per valorizzare il diritto di autodeterminazione individuale dell’incapace, si stabilisce che “il rappresentante
deve guardare al passato per cercare di decifrare” quale sarebbe stata la volontà dell’interessato rispetto alle scelte da
Norme di contenuto analogo sono state inserite nel testo dei DDL n. 433 e 687, rispettivamente agli artt. 16 e 12.
Questa procedura standard sembra eccessiva, quantomeno in tutte quelle situazioni in cui l’incapacità è manifesta perché, ad esempio, il malato è in coma ovvero in stato di incoscienza temporanea perché sotto anestesia.
Altri DDL, nel regolamentare le dichiarazioni anticipate, affermano che si tratta di dichiarazioni, espresse da una persona “capace”, destinate a rimanere valide quando sopravviene “una perdita
della capacità naturale, valutata irreversibile….”(vedi, sul punto, l’art. 3 del DDL n. 357 del sen.
Benvenuto).
Anche nell’art. 3 dei DDL n. 542 del sen. Carloni, n. 665 del sen. Ripamonti e n. 818 del sen. Del Pennino si prevede che le D.A. possono essere manifestate solo da una persona “capace”.
Nell’art. 2 del DDL n. 773 del sen. Binetti si afferma specificamente che la D.A. può essere espressa solo da un “soggetto maggiorenne, in grado di intendere e di volere”.
Non si comprende la ragione di condizionare l’efficacia della D.A. all’accertamento dell’esistenza di una incapacità naturale “irreversibile”, dato che una dichiarazione anticipata può essere manifestata anche per regolare specificamente una situazione temporanea di incapacità del disponente che si trovi, ad esempio, a dovere affrontare un difficile intervento chirurgico con anestesia totale.
Appare più complesso il problema relativo alle condizioni di capacità in cui si deve trovare il disponente nel momento in cui redige la sua D.A..
Il testo presentato dal sen Binetti ricollega la capacità di predisporre una D.A. alla capacità di agire, come regolata dalle norme del codice civile, con esclusione, quindi, di tutta l’area dell’incapacità per minore età.
Altri DDL, invece, fanno riferimento, sul punto, ad un concetto di capacità non meglio specificata che potrebbe includere anche la semplice capacità di fatto, con conseguente allargamento dell’area dei possibili soggetti che possono predisporre una valida D.A..
Dal punto di vista etico sembra giusto allargare la platea dei possibili predisponenti una D.A. anche a soggetti incapaci di agire dal punto di vista civilistico, ma capaci di fatto perché, come i cosiddetti “minori maturi”, sono in grado di comprendere il valore delle cure e il significato dell’attuazione/non attuazione delle stesse sul loro corpo, quantomeno con riferimento ad alcune specifiche situazioni di malattia.
È evidente, peraltro, che sull’esistenza o meno della capacità del soggetto nel momento in cui fu redatta (o altrimenti manifestata) la DA può sorgere facilmente una controversia.
Si tratta di un punto molto delicato sul piano etico-giuridico che può anche essere oggetto di strumentalizzazione nel momento in cui si voglia, ad esempio, contestare una D.A. che non trova d’accordo il medico curante ovvero un familiare.
Probabilmente per queste ragioni alcuni dei DDL in esame hanno stabilito che le D.A. devono essere redatte “per atto pubblico notarile” (vedi, sul punto, gli artt. 13 e 15 rispettivamente dei DDL n. 3 e 433) ovvero “con atto scritto di data certa e con certificazione autenticata” (vedi, l’art. 3 dei DDL n. 542, n. 665 e n. 818).
Questa rigidità delle forme consentite per la redazione delle D.A. può aiutare a risolvere il problema dell’accertamento della capacità del soggetto al momento della redazione della dichiarazione anticipata di trattamento, ma rende certamente meno agevole questa manifestazione di volontà per talune fasce della popolazione, per i costi connessi a questa tipologia di atti e per altri presumibili motivi.
Deve essere, inoltre, evidenziato che la riforma delle misure di protezione degli incapaci, di cui alla legge n. 6/2004, ha messo in crisi il principio dell’incapacità assoluta prevista dalla vecchia disciplina dell’interdizione e ha stabilito il diverso principio in base al quale le misure di protezione non devono eccedere le concrete, specifiche necessità del soggetto “beneficiario” delle stesse. Occorre, dunque, rivalutare il concetto di capacità di fatto perché se l’interessato, pur con problemi di malattia mentale, viene giudicato in possesso di sufficienti capacità di comprensione e
valutazione rispetto alle problematiche che concernono la sua salute e la gestione del suo corpo, diventa non necessario limitare la sua autonoma capacità d’azione in questo campo.
D’altra parte da tempo si tende giustamente ad evidenziare che le cure sanitarie appartengono ad un’area strettamente personale al paziente e che, quindi, l’opportunità dell’esecuzione o meno dei trattamenti assistenziali che riguardano un determinato soggetto deve tendenzialmente essere sottoposta alla personale valutazione dell’interessato, secondo il suo metro di giudizio.
Si dovrebbe, dunque, cambiare atteggiamento rispetto alle persone in stato fragilità e debolezza e tendere ad allargare l’area dei potenziali predisponenti le D.A. anche verso soggetti in passato ritenuti incapaci, peraltro, in base a parametri di natura generale riferiti essenzialmente all’incapacità di amministrazione del patrimonio economico.
È evidente che rimane fermo il principio di protezione dei soggetti correttamente giudicati, in base alle norme attuali, incapaci di decidere specificamente rispetto alle scelte relative alla loro salute, ma, nel valutare l’effettiva residua capacità, occorre non avere pregiudizi e preconcetti che possano condurre ad una eccessiva limitazione delle capacità decisionali dell’interessato.
Non si dovrebbe, quindi, giudicare incapace un soggetto solo perché le sue scelte di vita sono fondate su valori diversi da quelli condivisi dalla maggioranza della popolazione e i sanitari dovrebbero comprendere che le scelte sulla salute non devono necessariamente rispondere ad un principio astratto di “beneficenza”, ma hanno un fondamento più complesso nel quale, talvolta, assumono maggiore valore considerazioni di natura diversa, con particolare riferimento alla qualità della vita attesa e alla tutela complessiva della propria dignità.
La paura di perdere la qualità minima di vita ritenuta accettabile e di non potere preservare la propria dignità nella malattia sono considerazioni che possono spingere anche gli individui “fragili” a manifestare validamente dichiarazioni anticipate di volontà con riferimento ad eventi attesi e temuti perché riducono fortemente le capacità di agire in autonomia.
Rimane, comunque, ferma, quando sopravviene l’incapacità di decidere durante la malattia o per effetto di un improvviso evento traumatico, la necessità di un confronto dialettico tra operatori sanitari e decisori sostitutivi circa l’individuazione, in concreto, delle modalità assistenziali che corrispondono al migliore interesse del soggetto incapace.
13.7 L’implementazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Alcuni dei DDL in oggetto si pongono giustamente il problema della diffusione delle dichiarazioni anticipate e contengono norme dirette a stimolare le persone a manifestare le loro volontà rispetto alle cure future, coinvolgendo al riguardo anche i medici curanti.
Nel DDL n. 773 del sen. Binetti, all’art. 8, ad esempio, si demanda al Ministro della Salute la promozione di campagne informative periodiche al riguardo, la sensibilizzazione dei medici di base su questo problema e la regolamentazione della distribuzione di materiale informativo nelle strutture sanitarie.
In questo DDL si prevede, inoltre, la predisposizione di campagne informative di educazione alla salute nelle scuole superiori, con sviluppo anche dei temi attinenti il consenso informato, la donazione d’organi e l’accanimento terapeutico.
Nel DDL n. 687 del sen. Marino, all’art. 11, si demanda al Ministero della Salute la disciplina dell’implementazione delle D.A. attraverso le ASL e i medici di base, nonché attraverso altri uffici della pubblica amministrazione.
I proponenti di questi DDL dimostrano, con queste iniziative, di credere nello strumento delle dichiarazioni anticipate di trattamento, anche se nel DDL del sen. Binetti si tende a limitare l’oggetto delle D.A., che non possono riguardare l’alimentazione e l’idratazione artificiale, e si esclude la possibilità di regolamentare in modo vincolante per i sanitari il rifiuto dei trattamenti salvavita