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Il primo provvedimento – 2/3/99 del Tribunale di Lecco in sede di volontaria giurisdizione.

D) carattere “vincolante”o “non vincolante”, dal punto di vista deontologico e giuridico, per il medico delle D.A.

10. Il caso Eluana.

10.1 Il primo provvedimento – 2/3/99 del Tribunale di Lecco in sede di volontaria giurisdizione.

150)

Vedi, in relazione alle condizioni di Eluana, l’intervento di C. A. Defanti, neurologo, “Terry Schiavo, Eluana

Englaro e l’impasse della bioetica italiana”, nel “forum” comparso sulla rivista on line “Limen, Medicina e neurologia palliativa”, 1, 2006; vedi, anche, C.A. Defanti, Lo stato vegetativo persistente : un appello alla nostra responsabilità, Bioetica Riv. Int., 2000, 50-59.

Con istanza 18/1/99,151) il tutore di Eluana, premessa una sommaria descrizione delle condizioni di salute della predetta a seguito dell’incidente stradale in cui era rimasta coinvolta, chiedeva, ex art. 732 cpc, al Tribunale di Lecco, l’autorizzazione a dare disposizioni, per conto della tutelata, che in passato aveva manifestato la volontà di non essere tenuta in vita in condizioni così poco dignitose, affinché, ferma restando la somministrazione dei farmaci per l’epilessia e di quelli eventualmente necessari per i segni del disagio fisico dovuto alla mancanza di liquidi, venissero interrotte le cure che “consentono al corpo della stessa di protrarre lo stato vegetativo” e, quindi, fosse sospesa l’alimentazione artificiale, nonché l’uso di quelle medicine che, come le vitamine, aiutano la paziente solo nella sopravvivenza sul piano fisico.

Nel suo ricorso il tutore menzionava il rifiuto opposto dai medici che assistevano Eluana ad interrompere queste terapie e i suoi poteri di cura della persona ex art. 357 c.c..

Il Tribunale di Lecco, con decreto 1/3/99,152) dichiarava inammissibile il ricorso in quanto contenente in sostanza una richiesta di “eutanasia”, non esaudibile perché in contrasto “con i

principi fondamentali dell’ordinamento vigente”, che, all’art. 2 della Costituzione, tutela il “diritto alla vita come primo fra tutti i diritti inviolabili dell’uomo, la cui dignità attinge a valore assoluto della persona e prescinde dalle condizioni anche disperate in cui si esplica la sua esistenza” e che,

all’art. 579 c.p., riafferma l’indisponibilità di questo diritto sanzionando anche l’omicidio del consenziente.

10.2 Il secondo provvedimento – 26/11/99-31/12/99 - Corte di Appello di Milano, Sezione delle persone, dei minori e della famiglia in sede di reclamo.

Investita dal reclamo, ex art. 739 cpc, del tutore avverso il primo provvedimento del Tribunale, la Corte di Appello di Milano rigettava il ricorso con una motivazione che non sembra essere di completa chiusura rispetto alle istanze del padre di Eluana.

Nel suo provvedimento153) la Corte affronta essenzialmente due questioni : 1) se al tutore spetti di esprimere il consenso informato per conto dell’incapace; 2) se lo stato vegetativo persistente di Eluana giustifichi il mantenimento delle cure in atto.

In relazione alla prima questione, la Corte, tra l’altro, osserva che il ricorrente, in qualità di tutore della figlia interdetta, ha anche “la cura” della sua persona - ex artt. 357 e 424 cpc - ed è, quindi, legittimato ad esprimere o a rifiutare il consenso “al trattamento terapeutico”, come affermato anche nell’art. 6 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, adottata a Strasburgo il 19/11/96.

In relazione alla seconda questione, inerente la sospensione dei trattamenti di sostegno vitale attuati sul corpo di Eluana, la Corte, dopo avere esposto le varie posizioni, giuridiche e scientifiche, esistenti sulla natura della nutrizione artificiale (N.I.A.) praticata alla paziente, ritiene di non potere accogliere il ricorso in quanto non risulta consolidata l’opinione che qualifica questo trattamento come sanitario e, quindi, rifiutabile anche dal tutore in quanto integrante inutile accanimento terapeutico.

Riteniamo opportuno riportare di seguito questo passaggio della decisione, con il quale la Corte lasciava aperto un piccolo spiraglio ad un possibile accoglimento di un futuro ricorso, qualora consolidata la qualificazione della N.I.A., come trattamento sanitario e non semplicemente assistenziale : “definire, infatti, la nutrizione e l’alimentazione somministrate con sonda

151)

Pubblicata su Bioetica Riv. Int, 2000, 81-83.

152)

Pubblicato su Bioetica cit., 2000, 83-84.

153)

Pubblicato, unitamente al reclamo e ad una memoria integrativa, su Bioetica cit., 2000, 83-103 e su Il Foro Italiano, 1, 2000, 2022-2040, con note di G. Ponzanelli, Eutanasia passiva, sì, se c’è accanimento terapeutico, e di A. Santosuosso, Novità e remore sullo “stato vegetativo persistente”.

nasogastrica a E.E., come trattamento terapeutico consentirebbe di invocare il principio di divieto

di accanimento terapeutico, basato sui principi costituzionali di tutela della dignità della persona,

previsto nel codice deontologico medico (art. 14), nei documenti internazionali, condiviso anche in una prospettiva morale-religiosa : il dovere giuridico, etico, deontologico del medico si arresta

davanti all’incurabilità della malattia, giacché ogni protrazione della terapia, trasformando il

paziente da soggetto in oggetto, viola la sua dignità” (grassetto nostro).

Aggiunge, al riguardo la Corte, che “nell’accezione più accreditata, invero, l’accanimento

terapeutico si presenta come una cura inutile, futile, sproporzionata, non appropriata rispetto ai prevedibili risultati, che può pertanto essere interrotta, perché incompatibile con i principi

costituzionali, etici e morali di rispetto della dignità della persona umana, di solidarietà”, con la

precisazione che “il concetto delicato e complesso di “futilità” del trattamento, in quanto implica

valutazioni tecniche, cliniche e valori del paziente e della società, deve essere il risultato non di

una determinazione unilaterale del medico, ma di una decisione condivisa secondo parametri di

ragionevolezza, con una lettura attenta dei principi costituzionali già richiamati applicabili agli obiettivi e ai limiti della medicina” (grassetto nostro).

I principi costituzionali ai quali la Corte fa riferimento sono quelli, richiamati in precedenza, “della

salvaguardia della vita, integrità, salute del soggetto”, ex art. 32 Cost., “salvaguardia della dignità della persona umana”, desumibile dagli artt. 3, 27, 32 Cost., “uguaglianza e pari dignità dei soggetti”, ex art. 3 Cost. e “libertà e indisponibilità della persona umana e conseguente necessità del consenso del soggetto”, desumibile dall’art. 13 Cost.

Nel tentativo di chiarire il suo complesso pensiero la Corte afferma, in seguito, che l’obbligo del medico alla cura “si arresta in ipotesi di accanimento terapeutico”, con conseguente responsabilità dei sanitari, alla stregua delle nozioni scientifiche acquisite e unanimemente condivise secondo i protocolli e le linee guida a livello internazionale, di restringere le alternative di cura “offerte” al paziente, ma che, peraltro, il parametro di ragionevolezza adottato dal medico nell’esclusione delle terapie futili o sproporzionate, “deve essere verificato in relazione alla cura, ai bisogni e agli

interessi del paziente, in contraddittorio con il medesimo, se capace, nel rispetto del principio di autodeterminazione, o con il coinvolgimento del rappresentante del soggetto incapace”.

Secondo il giudizio dell’estensore di questo lavoro non risulta, peraltro, esplicitato dalla Corte un chiaro criterio di risoluzione del conflitto che eventualmente può insorgere nell’applicazione dei vari principi costituzionali sopra citati, non tutti convergenti rispetto allo stesso obiettivo, e, anche, del possibile conflitto di opinioni tra medico e paziente ovvero tra medico e rappresentante del paziente incapace circa la natura e l’utilità del trattamento.

La Corte, inoltre, non affronta la questione relativa alla rilevanza della volontà, eventualmente espressa in via anticipata dall’interessata quando ancora capace, circa l’insopportabilità del trattamento di sostegno vitale ora praticatoLe.

La questione non è irrilevante nella fattispecie perché, la dedotta volontà di Eluana di non considerare dignitosa la sua condizione di paziente in stato vegetativo irreversibile, se debitamente provata, potrebbe essere interpretata come una decisione personale di rifiuto delle cure di sostegno di questo stato e, quindi, il tutore si farebbe portatore di un’istanza di sospensione di trattamenti, qualsiasi sia la loro natura, non desiderati sul proprio corpo proprio dalla diretta interessata.

Difetta, infine, nella decisione in esame un’analisi puntuale in relazione a quali siano in concreto i poteri di decisione “autonomi” – cioè non derivanti da una volontà eventualmente espressa in via anticipata dall’interessata - del tutore rispetto ai trattamenti di sostegno vitale, dalla cui sospensione può derivare la morte dell’assistita.

Le prime due decisioni sopra riportate nei loro tratti essenziali sono state oggetto di argomentazioni critiche formulate dalla dottrina per motivi diversi.

Una prima osservazione critica riguarda la decisione del Tribunale di Lecco che Pocar154) valuta “non solo sbrigativa, ma anche giuridicamente scorretta” in quanto non affronta tutti i temi

154)

sottoposti all’organo giudicante dalla difesa del tutore e motiva solo in ordine al problema eutanasia che non è il tema centrale del ricorso. Sostiene, inoltre, Pocar che questo provvedimento, come ogni decisione giudiziaria, non è solo “il frutto di interpretazioni di norme giuridiche”, ma in realtà è il prodotto “di una complessa operazione intellettuale orientata tanto dal diritto quanto da valori

etici, norme sociali, saperi diversi dal diritto” che incidono sull’interpretazione delle regole

giuridiche e che, quindi, in sostanza, è influenzata anche da considerazioni estranee alla materia del diritto.

Di ben altro spessore è, secondo Pocar, il decreto della Corte milanese che, sia pure attraverso un percorso non sempre lineare, ha comunque riconosciuto in capo al tutore la titolarità dell’esercizio, per conto dell’incapace, di un diritto personalissimo come quello di accettare o rifiutare i trattamenti sanitari, il che comporta notevoli conseguenze nella relazione di cura tra il medico e il paziente incapace e interdetto perché quest’ultimo non è più privo di effettive tutele rispetto a proposte di atti sanitari che non coincidono con il suo miglior interesse.

Pur ritenendo non convincente il ragionamento della Corte circa il persistente dubbio sulla natura – terapeutica o solo assistenziale – della N.I.A., dalla pronuncia della Corte, secondo Pocar, è possibile implicitamente evincere che se nel dibattito medico-scientifico “si determinasse una

convergenza d’opinione nel definire i trattamenti di sostegno vitale nel soggetto in SVP come trattamenti terapeutici, questi dovrebbero essere sospesi”.

In realtà la pronuncia della Corte non sembra orientata in modo certo in questa direzione proprio perché, come sopra sottolineato, secondo i componenti del collegio giudicante, dovrebbe pur sempre essere accertata, attraverso una decisione condivisa tra i sanitari e i rappresentanti del paziente incapace, la futilità dei trattamenti da sospendere.

Santosuosso155) a sua volta, evidenzia che il caso Eluana pone sul tappeto anche in Italia il problema di trovare dei criteri ragionevoli e accettabili per rispondere alle questioni etiche e giuridiche poste dalla situazione dei malati in S.V.P. e dall’assistenza sanitaria loro assicurata in modo quasi automatico.

Occorre affrontare anche in questo caso il problema fondamentale di chi decide in merito alle cure praticate agli incapaci e con quali poteri.

Sostiene Santosuosso che, dall’esperienza straniera relativa a casi di pazienti in S.V.P., emerge che il potere di decidere può essere affidato al diretto interessato, attraverso le direttive anticipate che esaltano il criterio della volontà personale, come accaduto, almeno formalmente, nel noto caso Cruzan156) ovvero può essere attribuito ai medici, modello quest’ultimo seguito dalla House of Lords nel noto caso Bland.157)

La terza strada che è possibile percorrere qualora sia stato nominato un tutore, come nel caso Eluana, è quella di riconoscere alcuni poteri decisionali a questo rappresentante legale, nel rispetto dell’art. 357 c.c. che prescrive l’autorizzazione del Tribunale rispetto agli atti di straordinaria amministrazione.

La Corte milanese, secondo l’interpretazione di Santosuosso, ha riconosciuto che nella cura della persona, attribuita al tutore, rientrano anche i trattamenti sanitari e che il tutore può esprimere, nell’interesse del rappresentato, anche in mancanza di una sua volontà manifestata in via anticipata, una volontà di rifiuto di questi trattamenti anche nell’ipotesi in cui la loro mancata attuazione ovvero sospensione comporta una riduzione della durata della sopravvivenza, ma ha ingiustamente respinto il ricorso ritenendo che vi è incertezza sulla natura dei trattamenti di sostegno vitale (N.I.A.) di cui è stata chiesta l’interruzione, nonostante i pronunciamenti sul punto dell’American

155)

A. Santosuosso, Aperture importanti e remore inspiegabili della Corte di Appello di Milano sul “caso E.E.”, Bioetica Riv. Int., 2000, 66-80 e, Novità e remore sullo “stato vegetativo persistente”, Foro It., 2000, 1, 2026-2034.

156)

La massima della sentenza della Corte Suprema Federale degli Stati Uniti del 25/6/90 è riportata sul Foro Italiano, 1991, IV, pag. 66, con note di A. Santosuosso, Il paziente incosciente e le decisioni sulle cure : il criterio della volontà dopo il caso Cruzan, ivi, pag. 66-72 e di G. Ponzanelli, Nancy Cruzan, La Corte Suprema degli Stati Uniti e il “right to

die”, pag. 72-75.

157)

Academy of Neurology e dell’Istitute of Medical Ethics e le sopra citate decisioni di autorità giudiziarie straniere nei casi Cruzan e Bland.

Osserva, in modo condivisibile, Santosuosso che la Corte, incentrando la sua decisione sulla questione della natura della N.I.A., sembra perdere di vista il fatto che il tutore ha la cura della persona nel suo complesso e, quindi, anche relativamente agli atti semplicemente di assistenza al malato.

In realtà la Corte, come sopra evidenziato e come sottolineato anche da Santosuosso, non ha affrontato quello che appare il vero punto critico qualora si ritenga che nel caso di Eluana non siano state espresse volontà anticipate rispetto alla sospensione ovvero all’interruzione della N.I.A.. Quali sono, dunque, i limiti interni al potere del rappresentante legale che incontra il tutore ?

Rileva preliminarmente, al riguardo, Santosuosso che “il tutore deve sicuramente fare scelte

nell’interesse dell’interdetto, ma questo interesse nel campo dei trattamenti sanitari risponde a due criteri risalenti direttamente alla Costituzione : quello della volontarietà e quello della dignità della persona (artt. 13 e 32, co. I e II Cost.)”.

La scelta effettuata del tutore, trattandosi di una decisione presa da un sostituto legale del paziente, non ha, peraltro, la stessa forza di quella espressa dal diretto interessato; la sua valutazione di futilità di un trattamento di sostegno vitale e la sua richiesta di interruzione della NIA, pertanto, devono necessariamente passare al vaglio dell’organo giudiziario competente che potrà motivatamente condividerla o meno, ma non evitare di decidere, come, in sostanza, secondo Santosuosso, ha fatto la Corte d’Appello di Milano nel provvedimento ora commentato.

Secondo Ponzanelli158), infine, la questione sottoposta alla Corte milanese, “fermo restando il

principio dell’indisponibilità della vita”, deve essere necessariamente affrontata attraverso la

verifica della tutela che la “dignità umana” riceve in determinate situazioni, dato che nel nostro ordinamento è stata assegnata una posizione centrale a questo valore della persona.

In quest’ottica si è mossa, per quest’Autore, la Corte laddove ha affermato che l’autorizzazione richiesta potrebbe essere concessa in presenza di una situazione di accanimento terapeutico, perché l’esecuzione di quei trattamenti che non hanno la capacità di migliorare o di preservare la salute del paziente violerebbe la dignità del paziente.

La Corte, rispetto al modello inglese del caso Bland, si muove, peraltro, secondo quest’Autore, con maggiore prudenza perché non lascia l’ultima parola alla classe medica, ma sollecita un pubblico dibattito scientifico, etico e giuridico sulla qualificazione della alimentazione ed idratazione artificiale nel paziente in stato vegetativo permanente.

Nell’opinione di quest’Autore ricompare, quindi, il principio dell’indisponibilità della vita che, come vedremo negli successivi provvedimenti sul caso Eluana viene ripreso anche dagli altri organi chiamati ad esaminare le nuove istanze del tutore di cessazione della N.I.A..

La prospettiva dell’autodeterminazione del paziente rispetto alle cure, che trova un forte sostegno nella nostra carta fondamentale (artt. 13 e 32 Cost.), viene quindi messa da parte, a differenza di quanto avviene nei paesi nordamericani dove, invece, si riconosce all’interessato il diritto di interrompere tutte le cure non volute.

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