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Secondo Balestra 128) , è, peraltro, “fuorviante sostenere che nel dibattito sul testamento

7. Il trattamento sanitario nei confronti del paziente incosciente e le direttive anticipate.

7.5 Secondo Balestra 128) , è, peraltro, “fuorviante sostenere che nel dibattito sul testamento

biologico la vera posta in gioco sia la legalizzazione dell’eutanasia”, come, invece, sostengono

alcuni Autori.129)

Richiamando anche l’art. 9 della Convenzione di Oviedo del 1997 sui “diritti dell’uomo e la

biomedicina” e l’art. 34 del codice deontologico dei medici del 1998, Balestra afferma che, in linea

generale, si può affermare che “la posizione di garanzia riconosciuta al medico in ordine alla salute

del malato, pur comportando la doverosità dell’intervento, non può porsi in conflitto con l’autodeterminazione del paziente il quale, nel rispetto dei limiti imposti dall’ordinamento a

salvaguardia dei valori indisponibili, abbia manifestato una determinata volontà, ancorché in

epoca precedente al momento in cui si impone la scelta di un determinato trattamento” (grassetto

nostro).

Aggiunge quest’Autore che è fondamentale, peraltro, verificare quale ruolo deve avere il medico “al cospetto” delle dichiarazioni anticipate di trattamento, dovendosi conciliare l’autodeterminazione del paziente con l’autonomia professionale del medico che sarebbe compromessa qualora fosse attribuita alle D.A. un carattere vincolante, nonostante la mancanza di attualità e la non aderenza alla situazione di assistenza che si deve affrontare nei “suoi molteplici

risvolti”; che questa è la ragione per la quale le normative sopra menzionate hanno adottato

“formule per certi versi elastiche” introducendo “una sorta di vincolatività attenuata” ovvero “di

discrezionalità limitata”; che “con lo stabilire semplicemente che occorre tener conto dei desideri del paziente, si indica al medico soltanto uno dei possibili e molteplici elementi da valutare, come tale privo di specifica efficacia condizionante”.

Ritiene, inoltre, Balestra che difficilmente i contenuti delle scelte anticipate, per quanto astrattamente minuziosi, saranno sempre pertinenti rispetto alla peculiarità della situazione di cura da affrontare e, quindi, può essere utile, laddove non sussiste un’incapacità assoluta del paziente, la ricerca, da parte del medico, di un dialogo, per quanto possibile, con l’interessato, al fine cercare di rendere attuali le volontà in precedenza manifestate.

Si discosta, in parte, dall’opinione dominante, Vincenti Amato130) che, dopo avere sottolineato che, in realtà, i dubbi sulla validità del testamento di vita assumono particolare rilevo solo di fronte a quello che in modo onnicomprensivo viene definito “rifiuto di trattamento” e che deve ritenersi sussistente un “diritto” negativo “a non curarsi” tutelato dalla carta fondamentale, afferma che il

127)

S. Canestrari, Le diverse tipologie di eutanasia, op. cit. (nota 39), pag. 768-769.

128)

L. Balestra, Efficacia del testamento biologico e ruolo del medico, in Il testamento biologico : riflessione di 10 giuristi, 2006, Fondazione Veronesi, pagg. 89-105.

129)

Vedi, sul punto, ad esempio, le riflessioni di F. D’Agostino, Il testamento biologico, sul sito www.abuondiritto.it.

130)

D. Vincenti Amato, Il silenzio della legge e il testamento di vita, in Il testamento biologico : riflessione di 10 giuristi, 2006, Fondazione Veronesi, pagg. 177-187.

“silenzio legislativo” sul testamento biologico non trova un reale giustificazione, stante la normale “revocabilità” di queste volontà anticipate e la loro naturale funzione di divenire applicabili nel momento in cui l’interessato ha perduto la capacità di decidere.

Aggiunge Vincenti Amato che “non riconoscerne la forza vincolante, attribuendo questa forza solo

al rifiuto espresso, al momento in cui il trattamento andrebbe applicato, dal paziente capace, equivarrebbe a ritenere che, perduta quella capacità, la persona non sia più tale e, quindi, cadono nel nulla le manifestazioni già espresse della sua volontà”; che “questa rottura della continuità della vita” è “contraria al rispetto della persona”; che l’art. 32, secondo comma, della carta

fondamentale è già “sufficiente” a ”impedire che si intervenga quando sia chiaramente provata una

volontà contraria precedentemente espressa”, non necessariamente in forma scritta.

Quest’Autore prende anche posizione in favore della possibilità, per l’interessato, di nominare, in previsione della propria incapacità, una persona di fiducia cui affidare le scelte relative alla propria salute, in quanto non sempre e non necessariamente i parenti sono le persone più adatte a svolgere questo delicato compito, e sottolinea, inoltre, l’importanza di una corretta informazione sullo stato di salute dell’assistito da parte dei medici che lo hanno in cura, al fine di consentire al fiduciario di decidere in modo appropriato in sostituzione e nell’interesse del malato.

In relazione al problema della forma del testamento biologico, osserva Vincenzi Amato che richiedere l’atto notarile rappresenta una “formalizzazione” eccessiva, che rischia di allontanare molte persone “semplici” da questo strumento, per la cui validità può essere rilevante anche un scrittura privata, senza tralasciare di ricercare, in assenza di un documento scritto, la reale volontà del malato, desumibile dai suoi comportamenti passati e dalle altrui testimonianze, soprattutto quando “ci si debba confrontare con scelte che comportano future gravi menomazioni fisiche e

psichiche”.

In mancanza del testamento biologico, l’intervento medico nei confronti dell’incapace trova, per questo Autore,la sua legittimità nello scopo di tutelare la sua salute con mezzi idonei, utilizzati correttamente in conformità con lo stato dell’arte, e non certo nel consenso dei parenti che, evidentemente, non libera il sanitario dalle sue responsabilità professionali.

In conclusione, ritiene Vincenzi Amato che “un intervento legislativo che esplicitamente riconosca

la natura vincolante del testamento di vita” può servire a creare “un rapporto più equilibrato” tra

medico-paziente, fondato sull’ascolto delle esigenze di cura e di qualità della vita rappresentate dal malato e non esclusivamente sulla rigidità dei “protocolli medici”.

A sua volta Patti131) in relazione alla problematica inerente il valore da attribuire al living will, afferma che è preferibile considerare il testamento biologico “come un documento non vincolante,

ma orientativo” che “consente di conoscere quali fossero i sentimenti e i desideri del paziente prima della perdita d coscienza”.

A sostegno di questa tesi, quest’Autore sottolinea il carattere di “astrattezza” che in molti casi, caratterizza questi documenti e l’ambiguità del linguaggio spesso utilizzato dall’interessato che non è in grado “di definire in modo corretto le situazioni cliniche in riferimento alle quali intende

fornire direttive” e afferma che, nella sostanza, “ogni direttiva anticipata perde di significato quanto più è lontana nel tempo e quanto meno è espressa in modo specifico e informato”.

Riguardo al contenuto delle D.A. , questo Autore, in evidente disaccordo con Vincenzi Amato, esprime forti perplessità rispetto alla possibile rilevanza del rifiuto delle cure contenuto in questo documento, in quanto il rifiuto del paziente ha sicura rilevanza “soltanto quando egli sia cosciente e

possieda la capacità di intendere e di volere”.

Come già avvenuto in relazione alla problematica relativa al consenso informato, ci si interroga in dottrina se nel predisporre una direttiva anticipata è sufficiente la capacità naturale, cioè la capacità di fatto di intendere e di volere, o è necessaria la capacità di agire, con tutte le relative conseguenze rispetto ai soggetti di età inferiore agli anni diciotto, ma già in possesso di un sufficiente grado di

131)

S. Patti, L’autonomia decisionale della persona alla fine della vita, in Il testamento biologico : riflessione di 10 giuristi, 2006, Fondazione Veronesi, pagg. 1-13.

maturità, ovvero alle persone maggiorenni astrattamente e presuntivamente capaci , ma in concreto incapaci di decidere con consapevolezza.

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