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Il quinto provvedimento – ordinanza n 8291 del 20/4/2005 Corte di Cassazione – I sez civ.

D) carattere “vincolante”o “non vincolante”, dal punto di vista deontologico e giuridico, per il medico delle D.A.

10. Il caso Eluana.

10.5 Il quinto provvedimento – ordinanza n 8291 del 20/4/2005 Corte di Cassazione – I sez civ.

Per la prima volta il tutore di Eluana decide di ricorrere in Cassazione contro il provvedimento della Corte d’Appello di Milano del 17/10/03-10/12/03.

La decisione della Suprema Corte165) è di natura processuale perché dichiara inammissibile il ricorso in quanto non è stata chiamata a partecipare al giudizio una parte processuale necessaria, individuata dalla Cassazione nel soggetto che, quale curatore speciale, avrebbe dovuto sostenere gli interessi dell’interdetta anche nei confronti del tutore in potenziale conflitto con l’assistita.

La Suprema Corte non è, quindi, entrata nel merito di tutte le questioni etiche e giuridiche prospettate nel ricorso dal padre di Eluana, nella sua qualità di tutore, ma in questo suo provvedimento ha, comunque, espresso delle considerazioni circa i limiti del “potere” di “cura” che compete a questo legale rappresentante dell’interdetta.

Ha osservato, al riguardo, la Cassazione che “il tutore, ritenendo che l’interdetta versi da moltissimi

anni in stato meramente vegetativo, nel quale a suo avviso è mantenuta mediante presidi sanitari, e che tale stato, in quanto escludente la dignità umana, fa escludere la ricorrenza della vita intesa nella sua portata minima imprescindibile, ha chiesto l’autorizzazione alla cessazione di questi presidi”, con conseguente decesso dell’interessata; che “premesso che costituisce questione di merito stabilire se l’azione esercitata, come sopra individuata, possa essere ricompresa nell’indicato potere del tutore, è di immediata evidenza che il provvedimento di autorizzazione richiesto, che il tutore afferma corrispondente all’interesse dell’interdetto, possa invece non corrispondervi”; che, infatti, “lo stabilire se sussista l’interesse (al provvedimento autorizzatorio) prima che l’attuabilità dello stesso giuridicamente, presuppone il ricorso a valutazioni della vita e

165)

Pubblicata su Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2006, I, 470-473, con nota di commento di A. Santosuosso e G.C. Turri, La trincea dell’inammissibilità, dopo tredici anni di stato vegetativo permanente di Eluana Englaro, ivi, 477-485.

della morte, che trovano il loro fondamento in concezioni di natura etica o religiosa, e comunque (anche) extragiuridiche, quindi squisitamente soggettive, con la conseguenza che giammai il tutore potrebbe esprimere una valutazione che, in difetto di specifiche risultanze, nella specie neppure analiticamente prospettate, possa affermarsi coincidente con la valutazione dell’interdetta”; che,

pertanto, deve trovare applicazione nella fattispecie l’art. 78 cpc che prevede la nomina di un “curatore speciale” quando vi è conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante.

Il provvedimento, in esame, sembra fondarsi dunque sulla prospettazione di un possibile, ma non certo, conflitto di interessi tra tutore e Eluana, che, quindi, secondo la Cassazione, necessita di essere rappresentata da un diverso soggetto individuato nel curatore speciale.

La Corte, peraltro, afferma anche che questo possibile conflitto non sarebbe ipotizzabile qualora la richiesta del tutore fosse fondata su una pregressa coincidente valutazione della situazione effettuata dall’interessata prima di divenire incapace, lasciando, quindi, aperto una spazio di discussione ad una qualche rilevanza delle D.A..

La motivazione della S.C. si sarebbe potuto fermare alle considerazioni sopra trascritte; la Cassazione, invece, ha ritenuto opportuno aggiungere a quanto precede anche altre considerazioni, relative ai poteri che l’ordinamento attribuisce al tutore, che appaiono in qualche modo in contraddizione con la precedente affermazione circa il fatto che costituisce “questione di merito”, da affrontare evidentemente dopo la risoluzione del problema di procedura inerente l’integrità del contraddittorio, la verifica dell’esistenza in capo al tutore del potere di esercitare l’azione in oggetto.

La Corte ha, quindi, affermato che le numerose norme esistenti nel nostro ordinamento “che

conferiscono al tutore specifici poteri in materie attinenti ad interessi strettamente personali, pur se di carattere non altrettante essenziale quale quello in esame,” del soggetto interdetto per infermità

“appaiono elementi sintomatici della non configurabilità, in mancanza di specifiche disposizioni,

di un generale potere di rappresentanza in capo al tutore con riferimento ai cc.dd. atti personalissimi”.

In questo modo, come evidenziato anche da Santosuosso e Turri,166) la S.C. sembra esprimere anche una sorta di anticipazione di giudizio su una questione che stricto iure non doveva essere affrontata in quella sede.

Questi Autori, che sono molto critici rispetto a questa ordinanza della Corte di Cassazione, osservano che una contrapposizione di interessi può correttamente prospettarsi solo allorchè sia ravvisabile in capo al tutore un interesse, diverso e divergente da quello di Eluana, fondato, ad esempio, su suoi personali motivi economici ovvero morali. In mancanza di concreti elementi al riguardo, la S.C. avrebbe dovuto, quindi, entrare nel merito dell’istanza del tutore e decidere se il provvedimento richiesto, cioè la sospensione di alcuni trattamenti di sostegno vitale, fosse o meno nel miglior interesse di Eluana.

Aggiungono questi Autori che nell’ambito del potere di cura della persona di Eluana, attribuito in linea generale al tutore dall’art. 357 c.c., non possono non rientrare anche gli atti cd. “personalissimi” perché, altrimenti, questo soggetto in S.V.P. non potrebbe esercitarli in alcun modo, stante la sua irreversibile situazione di incapacità.

In sostanza, secondo questa tesi, certamente non è conferito dall’ordinamento un generale potere di “rappresentanza” del tutore (e dei genitori di un minore) rispetto agli atti civili cd. “personalissimi”, ma si deve ritenere “che il potere di cura operi al di fuori e a prescindere dal

potere di rappresentare”, anche perché questo potere, diversamente da quello di rappresentanza, “si

esprime nell’assunzione di decisioni e nel compimento di azioni che operano direttamente nella sfera della persona di cui si ha in cura”, procurando “la soddisfazione dei suoi bisogni materiali e immateriali”. Non ricollegando al potere di cura della persona, conferito al tutore (e ora anche

all’amministratore di sostegno), la potestà di prendere le decisioni inerenti le cure sanitarie e personali dell’incapace in S.V.P. e, per quel che interessa in questa sede di Eluana, si prospetterebbe

166)

una “negazione sostanziale dei suoi diritti fondamentali e la violazione del principio di

uguaglianza”, sancito dalla carta costituzionale (grassetto nostro).

Per i minori, per i quali la situazione di incapacità è temporanea, il potere di cura dovrebbe essere esercitato dai genitori solo fino a quando questi ultimi non conseguano una sufficiente capacità di discernimento e, quindi, di esercizio in via autonoma.

Qualora, come nel caso di Eluana, il potere di cura del tutore finisce con l’interferire con l’azione dello staff dei medici, è necessario un controllo giudiziario della congruità delle decisioni prese dal titolare della potestà di cura per verificarne la rispondenza agli interessi della persona assistita. In definitiva, secondo questa tesi, non sempre pienamente convincente, solo includendo nel potere di cura conferito al tutore anche l’esercizio di questi diritti personalissimi si può ritenere che il sistema ha una sua coerenza; altrimenti sarebbe necessario rimettere la questione alla Corte Costituzionale per verificare se non è in contrasto con il principio di uguaglianza negare a queste persone, ormai incapaci di farlo da sole perché in stato vegetativo irreversibile, il concreto esercizio attraverso terzi dei diritti personalissimi inerenti la cura della propria persona. Tra questi diritti rientra, con tutta evidenza, anche la possibilità di difendersi nei confronti dei sanitari e di coloro che le assistono con trattamenti che invadono il loro corpo in maniera non opportuna ovvero non confacente alla loro dignità.

Il limite al potere di rappresentanza, secondo questi Autori, non può essere utilizzato in modo paradossale per negare in radice la titolarità di questi diritti personalissimi in capo all’incapace che, altrimenti, resterebbe privo dell’effettiva possibilità di esercitarli, sia pure attraverso terze persone individuate, peraltro, dal legislatore.

Rimane la sensazione, espressa anche da questi Autori, di un oggettiva difficoltà da parte della magistratura di affrontare questo caso - che pone certamente problemi nuovi e un certo senso “terribili” perché si tratta di decidere sulla sospensione di trattamenti di sostegno vitale - “quasi

che fosse all’opera un blocco culturale e ideologico, se non religioso” che lo rende “non decidibile”

nel merito.

Critico nei confronti della decisione della Suprema Corte è anche il commento di Calò167) che osserva che il Collegio avrebbe potuto decidere nel merito, in base al precedente pronunciamento della stessa Corte n. 5652/89 che afferma che “gli istituti di protezione degli incapaci puntano

anche a proteggere interessi non patrimoniali”.

Rileva, inoltre, quest’Autore che mentre negli altri stati europei c’è un fermento normativo che, per esempio ha portato la Francia, sull’onda del noto caso Humbert, ad emanare la legge n. 2005-370 del 22/4/05 sui diritti dei malati in fin di vita, in Italia la situazione sembra bloccata da veti e timori di riflessi elettorali indesiderati, cosicché manca “una disciplina compiuta del consenso al

trattamento medico” e una normativa sul “testamento di vita o testamento biologico”, mentre il

legislatore non ha ancora ottemperato agli obblighi attuativi nascenti dalla Convenzione di Oviedo e il C.N.B. “non ha certo fatto di meglio col suo parere del 18/12/03 sulle Dichiarazioni anticipate di

trattamento, nel quale sono molte le posizioni ormai superate”.

In sostanza, per quest’Autore, il nostro ordinamento, in materia sanitaria e di cura della persona, “appare non solo caotico, ma anche obsoleto” (grassetto nostro).

È utile evidenziare che la nuova legge francese, che modifica il codice sanitario, consente, attraverso una decisione collegiale medica, anche “la limitazione o la sospensione del trattamento” suscettibile di porre in pericolo la vita del soggetto non in grado si esprimere la sua volontà (vedi, sul punto, l’art. L. 1111-4, riportato nella nota di Calò sopra citata) e prevede anche la sospensione consensuale degli atti di cura che “appaiono inutili, sproporzionati o non aventi altro effetto che il

solo mantenimento artificiale della vita” (vedi, sul punto, l’art. L. 1110-5, riportato nella nota di

Calò sopra citata).

167)

E. Calò, Richiesta di sospensione dell’alimentazione a persona in stato vegetativo : la Cassazione decide di non decidere, in Corriere Giuridico, 2005, 6, 790-792.

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