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I Bilanci Partecipativi: la democrazia partecipativa da Porto Alegre in poi

Nel documento LA CITTÀ LABORATORIODI CITTADINANZA (pagine 35-41)

1.6. Dalla crisi del welfare state tradizionale al welfare ge- ge-nerativo

1.6.2. I Bilanci Partecipativi: la democrazia partecipativa da Porto Alegre in poi

Un caso ben noto di democrazia partecipativa, che coinvolge di-rettamente la cittadinanza nei corsi d’azione decisionali e politici, è quello dei bilanci partecipativi.

Negli anni Ottanta, Porto Alegre, una delle grandi città del Sud del Brasile, è stata attraversata da una grande ondata di movimenti socia-li. Il Partido dos Trabalhadores (PT), capitanato da Lula, era molto radicato politicamente: culturalmente il partito si rifaceva alle lotte sindacali e alle correnti cristiane progressiste organizzate in comunità ecclesiastiche ispirate alla teologia della liberazione (Sintomer e Al-legretti, 2009). Il PT, vinte le elezioni amministrative del 1988, si è trovato a governare una maggioranza di colori opposti, poiché il si-stema presidenzialista brasiliano prevedeva che gli organi dell’esecutivo e le assemblee elettive fossero votate separatamente a suffragio universale diretto (Sintomer e Allegretti, 2009). Per fron-teggiare questa situazione, e con l’obiettivo di attuare un programma radicale, la nuova giunta ha optato per la creazione di una struttura partecipativa che coinvolgesse direttamente i cittadini non eletti nelle decisioni in materia di bilanci (Sintomer e Allegretti, 2009): è nato così il bilancio partecipativo, che ha ereditato gli ideali della tradi-zione rivoluzionaria marxista e ha trasposto i “soviet” dalle fabbriche ai quartieri (Sintomer e Allegretti, 2009). Alle organizzazioni della società civile è stato lasciato ampio spazio decisionale circa le istan-ze da presentare e promuovere e, inoltre, esse hanno costituito un anello di congiunzione tra le associazioni e l’esecutivo municipale.

Dal 2001, anno del primo Forum Sociale Mondiale svoltosi pro-prio a Porto Alegre, i bilanci partecipativi hanno cominciato a dif-fondersi anche in Europa, spesso differenziandosi molto dal modello a cui erano inizialmente ispirati, tanto che quelli che in alcuni luoghi vengono definiti bilanci partecipativi non sarebbero considerati ugualmente in altri. È difficile, pertanto, fornire una definizione em-pirica di bilancio partecipativo, in ragione del fatto che non rende-rebbe giustizia alla diversificazione insita alle molteplici declinazioni del modello (Sintomer e Allegretti, 2009). I primi problemi, addirit-tura, si sono riscontrati già dalla traduzione dalla lingua originaria al-le lingue europee: vi è stata a lungo un’indecisione tra “bilanci

parte-cipati” e “bilanci partecipativi” e alla fine ha prevalso la seconda scelta per via della processualità che evoca, sottintendendo il coin-volgimento attivo dei cittadini in tutte le fasi del processo e non una semplice apertura del percorso alla consultazione, come nel primo caso (Sintomer e Allegretti, 2009).

Il bilancio partecipativo, secondo la definizione di Sintomer e Alle-gretti (2009), è un dispositivo che consente ai cittadini non eletti di partecipare alla ripartizione delle risorse pubbliche. Esso poggia su due dimensioni principali: una spaziale, secondo cui ogni territorio identifica delle priorità e ne discute con i vicini, e l’altra tematica, per cui a ogni ambito di intervento settoriale di competenza amministrati-va coincidono delle riunioni e dei comitati ad hoc. Nell’interrelazione che lega i contesti e i temi si crea una trasversalità che dal micro-locale si dipana verso il macro-locale della città nella sua interezza. A livello di quartiere si tengono diversi incontri volti all’identificazione dei bi-sogni della popolazione; a livello distrettuale, poi, si svolgono assem-blee generali annuali e forum partecipativi permanenti, la cui finalità è coordinare le priorità e garantire – monitorando – l’attuazione dei pro-getti votati; su scala cittadina, ancora, più volte al mese si riunisce il Consiglio del Bilancio Partecipativo che ha il compito (attraverso i consiglieri dei vari quartieri e dei forum tematici) di realizzare un la-voro di sintesi delle proposte emergenti nei vari territori e di negoziare con l’amministrazione la proposta complessiva di gerarchizzazione delle priorità (Sintomer e Allegretti, 2009). Inoltre durante l’anno si susseguono eventi concatenati tesi a favorire la qualità degli scambi, il monitoraggio delle decisioni e la mobilitazione dei cittadini (Sintomer e Allegretti, 2009). Il peso dei cittadini nel bilancio partecipativo è im-portante, poiché essi godono di una consistente autonomia procedurale (dalla revisione di regole ai criteri tecnici e redistributivi), seppur il processo co-decisionale tra l’esecutivo e il corpo partecipativo in meri-to agli investimenti vari a seconda dell’argomenmeri-to (Sinmeri-tomer e Alle-gretti, 2009).

1.6.2.1. Il caso di Siviglia: quali risvolti educativi nei bilanci par-tecipativi?8

L’esperienza di bilancio partecipativo del Comune di Siviglia, è stata avviata nel 2004 da una giunta di centrosinistra. Attualmente, con il cambiamento di colore politico, i bilanci partecipativi sono ca-duti in disuso, eppure quel che si è fatto negli anni ha lasciato un se-gno tangibile nei processi decisionali democratico-partecipativi della capitale andalusa.

In generale, secondo il regolamento sivigliano ogni quartiere ave-va i suoi “gruppi motori”, costituiti dai cittadini e guidati dai modera-tori, che individuavano le priorità e organizzavano il processo, stabi-lendo l’ordine del giorno, approntando le campagne pubblicitarie e stilando i formulari attraverso cui la popolazione poteva trasmettere le proprie proposte. Nel Manuale del Bilancio Partecipativo di Sivi-glia, elaborato tra gli altri dalla Delegazione alla partecipazione citta-dina del comune, si dichiarava che questo strumento affrontava prin-cipalmente la questione della ripartizione del denaro e allo stesso tempo prendeva in esame i temi della creazione di nuovi spazi di par-tecipazione decisionale e del rafforzamento democratico a livello lo-cale. L’accento veniva posto prioritariamente sul processo partecipa-tivo inteso come possibilità dell’esercizio del potere decisionale da parte dei cittadini in merito a questioni di rilevanza collettiva. Il pro-cesso, così organizzato, doveva garantire alcuni vantaggi: la maggio-re traspamaggio-renza ed efficienza della gestione municipale, la migliomaggio-re comunicazione tra le istituzioni e i cittadini, la generazione di spazi di confronto, lo svolgimento auto-regolato a garanzia della grande auto-determinazione di cui godevano i partecipanti, incoraggiando la riflessione, la solidarietà e le relazioni comunitarie. Il regolamento, scritto e approvato dagli stessi abitanti, rappresentava il tassello ne-cessario al pieno funzionamento dei bilanci partecipativi: i temi in

8 Per ulteriori approfondimenti, si veda: Maia E. (2019), Bilanci partecipativi: il caso di Siviglia. Implicazioni educative e sociali della democrazia partecipativa, in Cerrocchi L., Ladogana M., D’Antone A., a cura di, Educare alla vivibilità nella famiglia e nella scuola. Riflessioni, esperienze e pratiche educative, Zeroseiup, Bergamo

esso contenuti riguardavano i principi basilari (tra cui gli obiettivi perseguiti dalla democrazia partecipativa in generale e dai bilanci partecipativi in particolare), l’organizzazione delle assemblee della città e gli organi attraverso i quali si strutturava il bilancio partecipa-tivo (ad esempio i gruppi di lavoro) e, infine, identificava le priorità.

Il “gruppo motore”, uno degli organi principali dei bilanci parte-cipativi, era costituto da un gruppo di abitanti volontari che animava-no il quartiere affinché la gente partecipasse attivamente alle assem-blee. Esso aveva la possibilità di accedere a tutte le informazioni ri-guardanti ogni singola fase del bilancio, in modo da garantire la tra-sparenza e la partecipazione. Tali gruppi potevano essere di zona, dunque territoriali, e tematici.

Le assemblee, invece, costituivano il massimo organo decisionale dei bilanci partecipativi e ve ne erano tre all’anno: la prima, durante la quale si votava l’Autoregolamento, era informativa; nel corso della seconda si identificavano le priorità e si votavano i delegati di zona; la terza era finalizzata a chiarire le direzioni che il processo aveva in-trapreso fino ad allora. I delegati eletti nell’assemblea formavano il Consiglio di Quartiere e il Consiglio della Città, le cui funzioni era-no: ordinare le priorità votate durante le assemblee, elaborare una li-sta definitiva di investimenti, manutenzione e programmi delle attivi-tà da realizzare, consegnare la lista definitiva al gruppo di gestione (subordinatamente alla realizzazione dello studio della sua fattibilità legale ed economica per il suo definitivo inserimento nel bilancio municipale). Il controllo dell’esecuzione delle proposte, infine, era un momento di cruciale importanza nel processo democratico e la Commissione di Controllo, oltretutto, rappresentava uno spazio di apprendimento importante per la piena conoscenza del funzionamen-to dell’amministrazione locale, formata da personale tecnico e fun-zionario e dai rappresentanti politici.

Il “Laboraforo”

Nell’ambito dei bilanci partecipativi di Siviglia, a partire dal 2004, è stato realizzato un lavoro congiunto tra Delegazione alla partecipa-zione cittadina del comune e il gruppo di ricerca Educación de

di lavoro, dotato di autonomia propria, si coordinava contempora-neamente con altri gruppi di ricerca, afferenti alle facoltà di antropo-logia, scienze sociali e comunicazione della medesima università. È nato così il Laboraforo (Equipo de los Presupuestos Participativos

con l@s niñ@s, chaveles/as y jóvenes de Sevilla), diretto dalla

Prof.ssa Dolores Limón Dominguez, afferente al Dipartimento di Teoria e Storia dell’Educazione e Pedagogia Sociale dell’Università di Siviglia.

L’esperienza del Laboraforo, che si era rifatto al pensiero di Frei-re, Muñoz e più in generale nella pedagogia libertaria e dell’emancipazione (Valderrama Hernández, 2012), perseguiva l’obiettivo di estendere il processo partecipativo ai soggetti di minore età, promuovendo i diritti di bambini e ragazzi, affinché essi potesse-ro esercitare il ppotesse-roprio ppotesse-rotagonismo. L’esperienza è stata sviluppata in rete con altri programmi municipali, tra cui scuole e centri educa-tivi, ed è stata sostenuta dalla creazione di materiale didattico apposi-to, al fine di colmare il vuoto bibliografico sul tema e orientare le pratiche dei soggetti coinvolti, tanto ragazzi quanto adulti (Ruiz Mo-rales, 2009).

I bilanci partecipativi di bambini, ragazzi e giovani erano articolati allo stesso modo del bilancio degli adulti: ogni quartiere aveva il pro-prio gruppo motore attraverso cui i cittadini, coordinati da moderatori, predisponevano il processo. Ugualmente, bambini e ragazzi, riuniti anch’essi in gruppi motori, partecipavano a laboratori in cui individua-re priorità e proposte insieme agli abitanti, votando nel pieno esercizio della propria cittadinanza. I rappresentanti dell’Assemblea dei bambini e dei ragazzi, successivamente, presentavano le iniziative elette alle assemblee insieme agli adulti, al pari di essi.

In generale, il valore aggiunto del processo partecipativo condotto insieme a bambini, ragazzi e giovani sivigliani sta nella costruzione del co-protagonismo decisionale e attuativo tra le “cinque cittadinan-ze”: i soggetti di minore età – generalmente lasciati al margine dei corsi d’azione politici, da un lato, e gli adulti (tecnici, rappresentanti politici, soggetti associati e non) (Ruiz Morales, 2009) dall’altro. Ciò è stato possibile grazie a una pratica di effettiva uguaglianza tra i cit-tadini, incarnata nella scelta metodologica che Ruiz Morales (2009) ha definito il focus “da-con”: da suggerimenti, interessi, dubbi,

deri di bambini ragazzi e giovani, con il sostegno di esperienze, desi-deri, interessi degli adulti.

Il nucelo metodologico del Laboraforo ha poggiato, nello specifi-co, su alcuni principi basilari (Valderrama Hernández, 2012), tra cui: - il principio della comunicazione: i compiti educativi, di animazio-ne e di investigazioanimazio-ne erano da considerarsi a tutti gli effetti un processo di comunicazione formale e informale;

- il principio dell’autonomia: i cittadini erano i veri protagonisti del processo di partecipazione;

- il principio dell’intervento globale e della collaborazione: i citta-dini non erano considerati isolatamente, quanto piuttosto all’interno di un quadro di riferimento più ampio. Da questa pro-spettiva, scrive Valderrama Hernández (2012), è emerso chiara-mente che i bambini, i ragazzi e i giovani dovessero oltrepassare le barriere dell’istituto scolastico e vedersi riconosciuta la dignità di cittadini in tutti gli ambiti del corpo urbano;

- il principio dell’attività e della costruzione della conoscenza: il processo ha implicato un coinvolgimento effettivo di tutta la citta-dinanza nel processo partecipativo, poiché la partecipazione – così come l’educazione – deve necessariamente generare sviluppo, produrre cambiamento, scarto;

- il principio della formazione continua e dell’autoformazione. In conclusione, la ricerca-azione condotta nell’ambito del Labora-foro ha portato al conseguimento di alcuni risultati rilevanti dal punto di vista educativo. Certamente, i più significativi tra questi hanno ri-guardato da un lato i processi di insegnamento-apprendimento svolti in ambito formale e non-formale, poiché ancorati allo studio del con-testo e dunque maggiormente significativi, e dall’altro la promozione del senso di responsabilità e appartenenza nei confronti del proprio quartiere, grazie a un processo di coscientizzazione facilitato dalla costruzione collettiva della conoscenza del proprio territorio (Ruiz Morales, 2009).

2. Cittadinanza attiva e partecipazione sociale:

Nel documento LA CITTÀ LABORATORIODI CITTADINANZA (pagine 35-41)