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Note introduttive

Nel documento LA CITTÀ LABORATORIODI CITTADINANZA (pagine 96-99)

4. La partecipazione e la cittadinanza viste dai giovani: una ricerca a Pescara

4.1. Note introduttive

Dal Rapporto Caritas su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia (De Lauso e Nanni, 2017) è emerso che 2 milioni 309 mila giovani e soggetti di minore età (0-34 anni) versano in condizioni di povertà, cioè quasi la metà di tutti i poveri della nazione (48,7%). Il dato in controtendenza rispetto al passato riguarda l’andamento in-versamente proporzionale che segue il fenomeno della povertà, la quale diminuisce con l’avanzare dell’età, decretando bambini, ragaz-zi e giovani i soggetti più svantaggiati del paese. La crisi economica ha colpito tutti, eppure i giovani sembrano essere i più penalizzati: si tratta di una generazione che versa in uno stato di insicurezza più grave rispetto ai propri nonni e i figli saranno più poveri rispetto ai propri genitori (Devesconi, 2017).

Cosa significa nella vita quotidiana dei ragazzi e delle ragazze ita-liani essere tra i giovani più poveri d’Europa? Quali scenari futuri apre, quali orizzonti progettuali nutre, quali pratiche alimenta la con-sapevolezza di star peggio di chi li ha preceduti? La questione giova-nile è frequentemente al centro del dibattito politico e non solo. Già l’espressione “questione giovanile” chiarisce come ci si trovi di fron-te a un fron-tema problematico, sostanzialmenfron-te irrisolto. Effettivamenfron-te, come emerso tra gli altri dal Rapporto Caritas (2017), risulta evidente come il mondo giovanile sia attanagliato da una serie di problemati-cità effettive (dallo studio all’occupazione agli stili di vita) che finora

non hanno trovato soluzione nelle misure adottate, inasprendo le condizioni di vita dei giovani stessi.

Negli ultimi anni è inesorabilmente cresciuta l’attenzione, tanto nel mondo accademico quanto nel mondo sociale, culturale e politico tout-court, nei confronti della povertà educativa: si è presa coscienza della stretta correlazione che sussiste tra quest’ultima e la povertà materiale, andando a rintracciare le cause non solo nel sistema scola-stico, ma piuttosto guardando ai territori come possibili laboratori di democrazia e cittadinanza. Quest’attenzione crescente ha indubbia-mente il merito di aver rianimato il dibattito sulla condizione giova-nile e di conseguenza sulla scuola e sull’universo educativo in gene-rale. Nell’era della complessità il dibattito pedagogico risente ancora spesso di una polarizzazione non solo semantica tra scuola ed extra-scuola, ma finanche analitica e dunque prassica. Introiettare, al con-trario, il paradigma della complessità implica uno sforzo posturale nelle pratiche quotidiane di coloro che rivestono ruoli educativi ed esige una coscientizzazione che si può dire individuale, deontologi-camente determinata rispetto alla molteplicità di variabili che in-fluenzano il pensiero e le azioni. Individuale e deontologicamente determinata, dunque, perché riguarda in prima persona chi fa educa-zione, direttamente o indirettamente, in qualità di educatore o di amministratore pubblico; vuol dire interrogarsi, attivare processi di meta-riflessione costanti e instancabili sulle stereotipie inconsape-volmente agite, sui pregiudizi su cui si fonda la conoscenza del mon-do e di conseguenza la sua interpretazione. Quali intenzionalità pe-dagogiche guidano le offerte educative poste in essere? Per mantene-re fede alla complessità e rifuggimantene-re dal rischio delle derive particola-ristiche tanto care e spesso necessarie agli studi specialistici, ci sa-rebbe preliminarmente bisogno di recuperare uno sguardo problema-tizzante non tanto sulla condizione dei giovani, quanto piuttosto su chi siano realmente i giovani di oggi. Proprio la ricerca di compren-sione ha portato alla costruzione di una tassonomia tesa a descrivere i giovani di oggi, spesso declinata, inoltre, al negativo.

Come si è già detto, infatti, è molto diffusa l’analisi stigmatizzan-te, sostenuta da coloro che ritengono che le giovani generazioni si ca-ratterizzino per un nichilismo imperante, totalmente chiusi nella loro individualità e sordi ai richiami ideologici e comunitari che avevano avvicinato le generazioni precedenti e che le aveva riunite intorno a

una causa, una lotta. Galimberti (2007), tra gli altri, afferma che oggi ai giovani manca il pensiero sul futuro. A suo parere essi soffrono di un male che non sanno nominare, complice anche la diminuzione della lettura e con essa la contrazione della facoltà mitopoietica, che si ripercuote sulla costruzione dell’immaginazione e del pensiero. A tal proposito, l’VIII Atlante dell’infanzia a rischio (Cederna, 2017) denuncia, in merito alla deprivazione culturale e ricreativa dei sog-getti di minore età, che il 58,1% dei bambini e dei ragazzi tra 6 e 17 anni non gode delle condizioni economiche familiari adeguate al soddisfacimento della lettura di almeno un libro durante l’anno. Un dato che chiama in causa le istituzioni e la scarsità di servizi territo-riali a sostegno delle famiglie in difficoltà. Tuttavia, al riguardo, è indispensabile chiedersi quanto manchino un certo tipo di servizi e quanto, invece, manchi la cultura dei servizi stessi, cioè la conoscen-za del territorio di appartenenconoscen-za, la consapevolezconoscen-za delle risorse in esso presenti e la capacità di usufruire dell’esistente. La più grave ca-renza, da questo punto di vista, è certamente educativa e sollecita a travalicare i tradizionali luoghi dell’educazione, come la scuola, per affiancare a essi una solida alleanza con tutti gli attori del territorio, in sinergia tra loro, affinché sia possibile contrastare le situazioni di disagio e promuovere percorsi di agio.

Oltre che mancare il pensiero sul futuro, allora, sembra piuttosto che siano venuti meno i presupposti del sogno, dell’aspirazione, la-sciando un vuoto di senso in una progettualità ancora tutta da costrui-re. Le deprivazioni accorciano gli sguardi, gli orizzonti si restringo-no, si lasciano cadere le aspirazioni, crollano ponti e si erigono muri, crescono le solitudini. Gli adulti, nel mezzo di questa contrazione an-tropologica, dipanano narrazioni che li assolvano (Laffi, 2014), alla ricerca di una salvezza che non trovano dentro di sé e che appare più facile cercare al di fuori, abdicando alle proprie responsabilità educa-tive: «mai si vide uno spettacolo più ripugnante di una generazione di adulti che, dopo aver distrutto fin l’ultima possibilità di un’esperienza autentica, rinfaccia la sua miseria ad una gioventù che non è più capace di esperienza» (Agamben, 2001, p. 8). È quanto mai urgente, allora, ribaltare i termini della discussione rispetto alle gio-vani generazioni, a partire dallo stravolgimento semantico: parole nuove, che liberino piuttosto che consacrarsi come invettive impri-gionanti, fondate su altre visioni della problematicità, superandola

fino alla liberazione. Ciò abiliterebbe i giovani a un esercizio del quotidiano affacciato costruttivamente al pensiero sul futuro, mentre gli adulti potrebbero recuperare le proprie funzioni educative, facen-dosi facilitatori e co-costruttori di una rappresentazione altra della complessità.

Nello scenario appena delineato, il compito delle scienze pedago-giche è duplice:

- ravvalorare l’ascolto, riscattandone il principio originario di prati-ca democratiprati-ca agita quotidianamente in quanto costitutiva dell’àntropos, e contribuire – in ottica interdisciplinare – alla ri-formulazione del progetto stesso di città, nel quale l’ascolto oriz-zontale e reciproco accada tanto spontaneamente quanto struttu-ralmente, in luoghi e tempi destinati al confronto e alla crescita; - recuperare la reciprocità dello scambio attraverso il

riconoscimen-to della dignità e del valore della cultura giovanile, profilando i capisaldi di un nuovo modello educativo, frutto della ridefinizione degli obiettivi educativi e di un rinnovato archetipo di umanità, la cui determinazione dipenderà da una scelta etico-sociale, risultato di una mediazione complessa e storicamente fondata riguardante aspirazioni e motivazioni individuali e di gruppo e, in rapporto al-le quali, possano costruirsi valori e quadri di riferimento nuovi (Bertin, 1976).

Nel documento LA CITTÀ LABORATORIODI CITTADINANZA (pagine 96-99)