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La partecipazione e le politiche giovanili

Nel documento LA CITTÀ LABORATORIODI CITTADINANZA (pagine 78-81)

3. Partecipazione e politiche giovanili: il riflesso di una cultura adultocentrica

3.3. La partecipazione e le politiche giovanili

Il dibattito sull’adolescenza è recente nelle scienze sociali e lo è ancor di più in ambito giuridico, in cui solamente negli ultimi decen-ni si è cominciato a guardare ai soggetti di minore età come a porta-tori di diritti specifici e inalienabili. Questa mancanza di considera-zione ha a lungo rispecchiato una rappresentaconsidera-zione sociale ben preci-sa dell’infanzia e dell’adolescenza: ai ragazzi si guardava come a de-gli adulti in miniatura, esseri incompleti e in divenire, che avrebbero potuto trasformarsi in persone solo attraverso un percorso educativo ad hoc. Altresì le discipline psicologiche, pedagogiche e sociologi-che, mediante il paradigma dello sviluppo le prime due e attraverso il concetto di socializzazione l’ultima, hanno contribuito a diffondere un’immagine del minore quale essere limitato e incompetente (Ta-gliaventi, 2006). Questi approcci hanno inciso fortemente sugli inter-venti legislativi indirizzati ai soggetti di minore età, rispecchiando le concezioni sottese alle differenti epoche storiche.

Il XX secolo ha rappresentato un punto di svolta nel riconosci-mento dei bisogni e nella conquista dei diritti dei bambini, dei ragaz-zi e dei giovani, stabilendo l’acquisiragaz-zione di una rinnovata consape-volezza e aprendo la strada a insolite e diverse rappresentazioni dell’adolescenza che, a loro volta, hanno significativamente inciso sulla legislazione in materia di diritti e di agentività di queste perso-ne. Al riconoscimento di diritti nuovi, sono corrisposti campi d’azione e di esperienza originali per gli stessi adolescenti, nuovi contesti dedicati alla condivisione e all’ascolto di opinioni e punti di vista che diventano assolutamente imprescindibili se si guarda ai più giovani come parte integrante del tessuto sociale, nonché risorsa per la comunità. Si è passati da politiche cui era sottesa una logica di tipo assistenziale a politiche che mirano più specificatamente alla promo-zione della partecipapromo-zione delle giovani generazioni, guardando a es-si come cittadini a tutti gli effetti (Tagliaventi, 2006).

Le politiche per l’adolescenza si trovano a cavallo tra quelle de-stinate all’infanzia e quelle dede-stinate ai giovani e le misure adottate virano verso l’una o l’altra categoria a seconda delle caratteristiche territoriali e delle misure previste. Il 9° Rapporto di aggiornamento

2015-2016 sull’attuazione della Convenzione del 1989 in Italia ha

suggerito, allineandosi alle direttive europee, di accorpare le politi-che per l’adolescenze a quelle giovanili, al fine di garantire una mag-giore chiarezza operativa e una migliore efficacia delle azioni intra-prese.

L’analisi condotta dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza dal titolo Disordianiamo! La prima fotografia delle

istituzioni centrali e delle risorse nazionali dedicate all’infanzia e all’adolescenza (2015) ha evidenziato che la stima finale della spesa

per minorenne, al netto dei costi del personale, è di 4 miliardi nel 2014 e di 4,2 miliardi nel 2015, quindi in crescita nell’arco di tempo considerato. Una spesa che rappresenta lo 0,2% del PIL, poco meno di 400 euro per bambino o ragazzo al di sotto dei 18 anni, una cifra assolutamente esigua. Questi costi sono distribuiti specialmente a due dicasteri (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; Ministero delle Politiche Sociali) e a tre missioni (Istruzione scolasti-ca; Diritti sociali, politiche sociali e famiglia; Politiche previdenziali) (Gruppo CRC, S.d.).

3.3.1. Politiche giovanili e modelli di welfare

Il report Study on the state of young people and youth policy in

Europe, redatto a cura della Commissione Europea per l’Educazione

e la Cultura e coordinato dall’Istituto di Ricerca IARD (2001), evi-denzia la presenza di due differenti tipologie di retorica alla base del-la formudel-lazione delle politiche giovanili dei vari paesi: da un del-lato, del-la visione dei giovani come problema sottintende la rappresentazione del giovane come soggetto vulnerabile, bisognoso di protezione in quanto fortemente esposto al rischio e all’emarginazione sociale; dall’altro, la visione dei giovani come risorsa attribuisce all’età gio-vanile un potenziale da esplorare e promuovere. Mentre il primo dei due approcci è maggiormente diffuso nelle nazioni che hanno una lunga tradizione di politiche giovanili e orientano perlopiù le azioni all’integrazione sociale, il secondo è diffuso in quei paesi in cui le politiche giovanili sono relativamente nuove e la partecipazione co-stituisce un elemento integrante delle stesse politiche sviluppate.

A partire dai differenti approcci a fondamento delle politiche, si possono individuare due macro-aree interpretative che orientano le programmazioni sociali e politiche: 1) la partecipazione come finali-tà, in cui le misure previste sono tese alla formazione e all’occupazione dei giovani appartenenti a fasce sociali problemati-che e bisognose di integrazione per il pieno soddisfacimento dello status di cittadinanza; 2) la partecipazione come principio, una pro-spettiva che supera la concezione della partecipazione come mero obiettivo e in cui assumono rilievo il processo e l’acquisizione di competenze e conoscenze (Dipartimento di Psicologia, Sezione di Sociologia dell’Università degli Studi “A. Moro” di Bari, 2010).

La ricerca Iard-Report (2001) individua quattro categorie europee di politiche giovanili, che corrispondono ad altrettanti modelli di welfare. Il primo è il modello scandinavo: esso è abbastanza recente e comprende nella categoria “giovani” gli adolescenti e i post-adolescenti fino ai 25 anni di età. Quest’approccio considera le gio-vani generazioni non solo come una risorsa, bensì come un valore in sé, perciò le misure adottate sono finalizzate all’acquisizione dell’autonomia e dell’indipendenza. Il secondo è il modello protetti-vo dell’Europa centrale e affonda le sue radici nel periodo tra le due guerre mondiali, quando i giovani – includendo in questa categoria

anche i bambini e le giovani famiglie – hanno cominciato a essere considerati come un vero gruppo sociale. La filosofia sottesa a questo modello interpreta le giovani generazioni come bisognose di atten-zioni e cure, in quanto soggetti vulnerabili, a cui destinare misure di prevenzione e integrazione, e allo stesso tempo ne promuove la par-tecipazione. Nonostante le politiche facciano riferimento al governo centrale, si registra una forte cooperazione tra lo stato e la società ci-vile al fine di implementare le politiche giovanili. Il terzo modello è il community-based, sviluppatosi nel Regno Unito all’interno di un regime di welfare minimo e le cui politiche sono focalizzate sulla prevenzione dell’esclusione sociale e destinate perlopiù ai gruppi svantaggiati. Il quarto e ultimo modello è quello centralizzato, diffu-so tra i paesi mediterranei. Negli ultimi vent’anni il primato della Chiesa e della famiglia nella responsabilità dei giovani ha consentito che si affermasse una forma centralizzata. Il gruppo di riferimento ha un’età compresa fra i 15 e i 25/30 anni e combina entrambe le inter-pretazioni, “giovani-risorsa” e “giovani-problema”, perciò le misure sono destinate sia alla prevenzione del disagio, sia alla promozione dell’autonomia e dell’indipendenza, pur permanendo di fondo una predilezione per i gruppi svantaggiati.

3.4. Le normative a sostegno del protagonismo di

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