8. Il dopo Hochschild
8.1. Bolton e Boyd e il superamento del concetto di emotional labour
Bolton e Boyd (2003) si collocano nel gruppo di autori che han-no criticato l’approccio della Hochschild. Le autrici, hanhan-no pub-blicato (2003) sulla nota rivista Work, Employment and Society un articolo intitolato Trolley Dolly or Skilled Emotion Manager? Moving on from Hochschild’s Managed Heart, nel quale hanno evidenziato i pregi e i punti deboli dell’elaborazione teorica della Hochschild.
All’inizio dell’articolo riconoscono alla Hochschild il merito di aver cercato di comprendere a fondo la gestione delle emozioni nei contesti di lavoro analizzando nel dettaglio il controllo azien-dale che viene attuato nei confronti delle emozioni e dei senti-menti di ciascun dipendente.
Dopo averne sottolineato i meriti presentano però quelle che se-condo loro sono le principali debolezze nel ragionamento della sociologa americana, convinte del fatto che la vita di un indivi-duo all’interno di un contesto lavorativo non possa essere sem-plicemente ricondotta ad un’entità omogenea. Le due autrici ri-conoscono un errore nella concettualizzazione della definizione di emotional labour, poiché a loro parere, seppur la Hochschild
ab-bia identificato l’esistenza di due tipi di recitazione (la recitazione superficiale e la recitazione profonda) ha poi elaborato il concet-to di emotional labour che pecca di un determinismo “assolutista”
nella sua attuazione e nelle sue conseguenze.
Secondo le due autrici l’uso dei termini emotional labour e emotion work ha riscosso un enorme successo tra gli studiosi che, dopo la Hochschild, si sono apprestati a studiare le emozioni nelle orga-nizzazioni perché la sociologa americana ha utilizzato delle sem-plici frasi descrittive e ad impatto per spiegare dei processi com-plicati.
Le due autrici avanzano poi due critiche ben articolate. Innanzi-tutto denunciano lo scarso valore euristico della divisione propo-sta dall’autrice tra la gestione delle emozioni nella dimensione pubblica e in quella privata poiché secondo la Hochschild nella vita organizzativa non c’è alcuno spazi di resistenza e di respon-sabilità per i lavoratori, tutte le emozioni sono trasmutate e non appartengono ai lavoratori.
In secondo luogo, non condividono l’equiparazione tra lavoro fi-sico e lavoro emotivo, poiché, nel lavoro fifi-sico gli operai non possiedono i mezzi di produzione mentre coloro che svolgono un lavoro emotivo detengono i mezzi di produzione e di conse-guenza la possibilità di regolare e controllare i sentimenti coin-volti in un incontro dipende dai lavoratore stessi.
Dopo aver analizzato quelli che, a parere delle due autrici, sono i punti deboli dell’argomentazione della Hochschild, propongono una loro interpretazione al processo di gestione delle emozioni nel luogo di lavoro, dopo aver condotto uno studio sulle assi-stenti di volo.
Le autrici dopo aver condotto delle ricerche nel 1996/1998 e 1999 sulle assistenti di volo vanno oltre l’argomentazione della Hochschild e dimostrano che le emozioni dei lavoratori sono ge-stite e controllate sia dai dipendenti stessi sia dal management.
Propongono una tipologia quadripartita, costituita da quattro dif-ferenti tipi di gestione delle emozioni sul posto di lavoro che, se-condo Bolton e Boyd, potrebbe contribuire alla decostruzione del complesso tema delle emozioni nelle organizzazioni. Utiliz-zando una tipologia in alternativa al termine emotional labour, le au-trici dimostrano che molti fenomeni che comunemente si fanno ricadere sotto tale concetto, esulano in realtà dal fenomeno pre-sentato dalla Hochschild perché solo una parte delle emozioni ri-cadono sotto il dominio delle organizzazioni.
Bolton e Boyd (2003) suddividono il processo di gestione delle emozioni in quattro distinti tipi di autogestione emotiva nel luo-go di lavoro: pecuniary emotion management, prescriptive emotion mana-gement, presentational emotion management e philantropic emotion manage-ment. Il primo tipo di gestione emotiva coincide con il concetto di Hochschild di emotional labour, mentre il terzo con quello di emo-tion work. A ciascun segmento di questa tipologia corrisponde un preciso set di feeling rules: commerciale, professionale e sociale, come riportato nella tabella (cfr. Tab 8.1.1), che di volta in volta i lavoratori possono utilizzare. L’idea delle due autrici è che in una stessa giornata lavorativa un lavoratore gestisca le sue emozioni attingendo a tutti i quattro i modelli individuati, passando da pe-cuniary emotion management, prescriptive emotion management, presentatio-nal emotion management e philantropic emotion management in uno stes-so scambio stes-sociale.
La tipologia di gestione delle emozioni elaborata da Bolton e Boyd (2003) mostra come gli attori, pur vincolati dalle strutture organizzative, siano ancora in grado di possedere “sé multipli [Goffman, 1967 cit. in Bolton e Boyd, 2003]”.
Tabella 8.1.1. A tipology of emotion management
Fonte: BOLTON S. C., BOYD C. (2003), Trolley Dolly or Skilled Emotion Man-ager? Moving on from Hochschild’s Managed Heart, in Work, Employment and Socie-ty, vol. 17, n. 2, 295
Dall’analisi effettuata dalle due autrici emerge come non tutte le emozioni e i sentimenti che emergono sul posto di lavoro sono incanalati nel rapporto economico con la clientela e solo una par-te delle inpar-terazioni sul posto di lavoro cade sotto il concetto di emotional labour, quella del pecuniary emotion management.
Lo studio sulle assistenti di volo condotto dalle due autrici ha fat-to emergere che al di là di presentational e philantropic emotion mana-gement esistono degli spazi non gestiti (unmaged space) di azione, di libertà e resistenza all’interno dei quali i lavoratori sono liberi di muoversi.
Gli unmaged space non sono necessariamente delle aree fisicamente delimitate alle quali i clienti non possono accedere ma possono essere realizzati anche “momenti di estasi, un sorriso scambiato o una piccola gomitata, che indicano quanto gli attori siano in gra-do di essere presenti e non presenti in certe occasioni [Goffman, 1967]. Né vuol dire che questi spazi siano sempre luoghi di resi-stenza o di cattivo comportamento; l’attività non gestita può
spesso lavorare a favore dell’organizzazione. Ciò vale in partico-lare per l’equipaggio di cabina degli aerei, dove il lavoro di squa-dra e il sostegno dei colleghi sono considerati “lifelines” per far fronte alle diverse esigenze del lavoro [Bolton e Boyd, 2003: 297-298]”.
L’assenza di questi stessi spazi favorisce la creazione di emotional labour e quindi di spazi di natura alienante.
Con l’utilizzo di questa tipologia le autrici hanno evidenziato come soltanto una piccola parte della gestione delle emozioni ri-cada sotto il dominio delle grandi organizzazioni. Tale argomen-tazione consente di avere un’idea concreta della vita nelle orga-nizzazioni, mostra come la richiesta organizzativa di una gestione
“pecuniaria” delle emozioni non nega le soggettività individuali dei dipendenti, ed infine ha dimostrato che i lavoratori eseguono una gestione delle emozioni “presentazionale” o “filantropica”
secondo le regole sociali con cui hanno familiarità [Bolton, Boyd, 2003: 296].
8.2. Korczynski e il tentativo di ricondurre all’unità le