CAPITOLO IV BRADAMANTE NELL’ORLANDO FURIOSO
IV. 3 2 BRADAMANTE FOLLE
Dopo l’estenuante attesa, il mancato soddisfacimento delle aspettative conduce l’eroina alla pazzia ed è questa la medesima causa della follia del conte Orlando. Diversi sono però i procedimenti e gli esiti: Bradamante, letta la lettera in cui Ruggero le promette di essere di ritorno in massimo venti giorni, inizia ad aspettare, «e passò intanto / il termine aspettato da lei tanto. / Il termine passò d’uno, di dui, / di tre giorni, di sei, d’otto e di venti».249 Si apre allora uno dei più lunghi lamenti della dama, che verranno presi in esame nel paragrafo seguente, e nella gelosia che ella manifesta la svolta decisiva è rappresentata dall’arrivo di un cavaliere guascone che le riporta la notizia – falsa – delle imminenti nozze tra Marfisa e Ruggero.
Proprio qui sta lo scarto tra l’insanabile squilibrio del conte e la furia della dama: «se il tradimento di Ruggero è frutto di dicerie, reale è invece l’unione di Angelica con Medoro»,250 perciò l’errore di Bradamante consiste nello scambiare la fantasia con la realtà. Al contrario Orlando nega progressivamente ciò che è avvenuto e che si concretizza man mano sotto i suoi occhi: le scritte sugli alberi e sulle pareti della grotta, il racconto del pastore, fino all’ineluttabile
247 Ivi, XI, 2-3.
248 Villa, Tra “inchiesta” e “profezia”, cit., p. 148. 249 Orlando furioso, XXXII, 16-17.
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prova del bracciale. Quando il contatto con la realtà si fa brusco e palese Orlando impazzisce, mentre Bradamante rinsavisce. Dunque se «la passione di Orlando per Angelica ha uno svolgimento tutto solitario, cresce e dilaga nello spazio chiuso della mente, là dove nascono le fantasie e i sogni e i pensieri possono trasformarsi in ossessioni»,251 al contrario la donna «non si costruisce delle difese razionali, ma è portata a riflettere sulla propria condizione e in modo opposto finirà per abbracciare l’“opinione” del volgo, credendo al guascone e negando la propria fiducia nell’amato, fondata sull’“esperienza” degli accordi presi con Ruggero e delle promesse di quest’ultimo».252 Per entrambi l’autore ci presenta la medesima reazione, un dolore incontenibile che il personaggio tenta di far tacere, senza riuscirvi:
Celar si studia Orlando il duolo; e pure quel gli fa forza, e male asconder pòllo: per lacrime e suspir da bocca e d’occhi
convien, voglia o non voglia al fin che scocchi.253 E senza disarmarsi, sopra il letto,
col viso volta in giù, tutta si stese, ove per non gridar, sì che sospetto di sé facesse, i panni in bocca prese; e ripetendo quel che l’avea detto il cavalliero, in tal dolor discese, che più non lo potendo sofferire, fu forza a disfogarlo, e così a dire.254
Bradamante è colma «di gelosia, d’ira e di rabbia» e anche nel caso di Orlando il dolore passa rapidamente all’odio: la differenza sta però nella consapevolezza interiore che consente alla guerriera di superare autonomamente il momento di crisi. Tale coscienza è resa palpabile nell’armatura, che è il segno dell’identità cavalleresca e diviene ora il simbolo del possesso delle proprie capacità: la guerriera non disarmandosi evita di perdere completamente il contatto con la realtà ed è proprio questo ad impedirle il suicidio, conducendola verso propositi diversi; invece il conte scaglia lontano da sé ogni arma, disgregando in tal modo la psiche e l’individualità del proprio personaggio. Inoltre si osservi che il contesto dei due brani è antitetico: Bradamante sfoga la propria disperazione in un ambiente che connota tipicamente la dimensione femminile, la camera da letto, un luogo privato e protetto che le consente di approfondire, scavare ed esternare i propri sentimenti in tutta sicurezza, ovvero salvaguardando il suo onore; mentre la scenografia della follia di Orlando è il bosco e a questo terribile spettacolo assistono dei pastori.
251 Ibid.
252 Villa, Tra “inchiesta” e “profezia”, cit., p. 153. 253 Orlando furioso, XXIII, 121.
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La guarigione di Bradamante è per tali motivi più rapida e assai più semplice, non c’è bisogno di recuperare il suo senno sulla luna, giacché quando la donna si presenta nuovamente in pubblico agisce secondo le convenzioni del ruolo che ella riveste, quello di cavaliere, incanalando la propria ira nelle regole cortesi del duello con cui intende sfidare Marfisa. Ancora una volta l’armatura media il suo rapporto con l’esteriorità e se prima il suo colore era il bianco, ora la donna sceglie una sopravveste diversa, descritta in un’intera ottava:
Era la sopraveste del colore in che riman la foglia che s’imbianca quando del ramo è tolta, o che l’umore che facea vivo l’arbore le manca. Ricamata a tronconi era, di fuore, di cipresso che mai non si rinfranca, poi c’ha sentita la dura bipenne: l’abito al suo dolor molto convenne.255
Non è questo il primo luogo del poema in cui si utilizzano metafore vegetali: la foglia ora ingiallita indica la perdita della speranza, tradizionalmente verde, in pieno accordo con il sentimento della dama che pensa di essere tradita. Inoltre il fatto che sia imbiancata perché staccata dal ramo potrebbe alludere alla verginità appassita, poiché non colta. Il desiderio suicida provato in precedenza dalla donna si trasferisce sull’iconografia del cipresso: l’albero rimanda al mondo dei morti in diverse culture, ma si aggiunga a ciò il fatto che la pianta è qui raffigurata sfrondata, ed è nota sin dall’antichità la sua proprietà di non rigenerarsi. Sempre sul piano vegetale si colloca un altro particolare: Orlando preso dal furor sradica un pino (XXIII, 134), mentre per Bradamante il cipresso «risulta connesso anche alla guarigione dalla gelosia. Infatti un boschetto di soli cipressi, unicum in tutto il poema ed estraneo al gioco di variazioni che caratterizza il locus amoenus, circonda l’avello di Atlante e fa da sfondo all’episodio dell’agnizione tra Marfisa e Ruggero»256 che pone fine all’insana gelosia dell’eroina.