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BRESCIA E IL MONASTERO DI SAN SALVATORE – SANTA GIULIA

Nella zona del bresciano, il più antico insediamento è attestato al V secolo a.c. Durante il principato di Augusto “la città ottenne il titolo di colonia e un assetto urbanistico organico, con mura e impianto viario”163. La città nella quale entrarono i Longobardi

nel 569 d.C. era assolutamente diversa dalla città di epoca romana; la caduta dell'Impero Romano d'Occidente aveva provocato un lento declino dell'organizzazione urbana. Con la dominazione longobarda, Brescia divenne uno dei centri nevralgici della resistenza contro le minacce di Bizantini e Franchi; l'importanza di questo centro è testimoniata dal grande peso della sua classe dirigente, che svolse un ruolo di primo piano nelle intricate vicende del regno (i due sovrani Rotari e Desiderio, provenivano da Brescia). Con l'ascesa al trono di Desiderio e di sua moglie Ansa, la città e la zona del bresciano raggiunsero un prestigio e splendore mai raggiunti prima; ciò è testimoniato dalle fondazioni del monastero di San Salvatore – Santa Giulia e del monastero di Leno, in cui confluirono beni di grande valore.

“Il più antico documento conservato, un diploma del gennaio 759 […], ricorda la fondazione da parte di Desiderio e Ansa di un monastero, affidato alle cure della figlia Anselperga e dedicato al Salvatore e ai santi Michele e Pietro. Nell'ambito del monastero, vi erano più chiese e claustra eretti dai fondatori su beni donati dal re Astolfo. Possedeva, oltre all'area di insediamento monastico, anche la corte suburbana di Cerropicto, anch'essa donata dal re”164. La data della fondazione del Monastero di

163 Ibidem, p. 119.

164 Cfr. G.P. BROGIOLO, “Desiderio e Ansa a Brescia: dalla fondazione del monastero al mito” in C. BERTELLI e G.P. BROGIOLO op. cit., 2000, p. 143.

San Salvatore – Santa Giulia (bene inserito nella WHL) è certamente anteriore al 756,

anno in cui il duca Desiderio divenne re dei Longobardi; come confermato dal documento di cui sopra, il monastero femminile benedettino fu edificato nel 753 su beni fiscali donatigli dal re Astolfo, a testimonianza di un preciso disegno politico: rafforzare il potere e il prestigio personale nella propria città di origine. In un diploma regio del 760, compaiono tre autori: Desiderio, la moglie Ansa e il figlio Adelchi; questo sottolinea il grande coinvolgimento di tutta la famiglia reale nella fondazione del monastero (la direzione era stata affidata alla figlia Anselperga), tutto ciò teso al consolidamento della dinastia. Su questa scia vennero effettuate altre donazioni, tra le quali gli arredi liturgici, parte iniziale di quello che la tradizione considera come il tesoro di Santa Giulia. Il titolo peculiare al Salvatore, che nella tradizione pavese era indissolubilmente associato alle chiese palatine, e il cenobio che venne posto sotto la protezione regia, sottraendolo alla giurisdizione dei funzionari locali, riporta alla mente l'esempio di Agilulfo con il monastero di Bobbio. Nella fondazione bresciana si manifestava un mutamento rispetto alla tradizione monastica della Langobardia maior di tutta la prima metà dell' VIII secolo; l'edificazione del monastero di San Colombano (ed il suo intrinseco significato) era rimasto un avvenimento isolato per domini Longobardi del Nord Italia, a differenza delle varie esperienze di cenobi benedettini del Centro-Sud, quali Montecassino, San Vincenzo al Volturno o Farfa.

Nel monastero di San Salvatore l'evergetismo regio si manifestò nella grandiosità dell'architettura e nell'assoluta raffinatezza di tutto l'apparato decorativo. Il complesso si inserisce in contiguità spaziale e strutturale con importanti preesistenze di età romana, rinvenute in occasione di quello che è a tutt'oggi il più completo scavo urbano medievale. La chiesa in questione rappresenta una delle testimonianze più importanti dell'architettura religiosa altomedievale165 conservata in alzato; si sono susseguite varie

fasi edilizie, di cui un primo luogo di culto longobardo databile alla seconda metà del VII secolo.

La chiesa desideriana, di dimensioni maggiori rispetto alla prima fondazione, è articolata in tre navate scandite da colonnati (fig. 7); l'utilizzo di strutture costituite da materiale di reimpiego di provenienza bizantina o di età classica, rappresentano la viva testimonianza della volontà di affermazione dei Longobardi. I capitelli e le colonne166

165 Per una chiara analisi dell'architettura del Monastero vedi G. PAVAN, in G.C. MENIS op. cit., pp. 252-253.

166 Per una chiara disamina sulle sculture della Chiesa vedi G. PANAZZA e A. TAGLIAFERRI (a cura di), La diocesi di Brescia, Spoleto, Centro di Studi Italiani sull'Alto Medioevo, Spoleto, 1966, pp. 121-139, e M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, “La scultura” in G. C. MENIS, op. cit., pp. 303-305.

sono diversi nella decorazione come nel materiale, alcuni realizzati appositamente per la fondazione, altri provenienti da spoliazioni di edifici precedenti. Da segnalare i due capitelli “a paniere”167, che si possono distinguere nel colonnato nord (fig. 8), di chiara

matrice bizantina, probabilmente giunti da Ravenna dopo la conquista della città. La decorazione interna con stucchi ed affreschi assolutamente integrati tra loro, rappresenta insieme al Tempietto longobardo di Cividale, uno degli esempi più ricchi e meglio conservati di tutto l'Alto Medioevo; il ciclo di affreschi iniziava con raffigurazioni dipinte sopra gli archi della navata centrale. Nella zona superiore a nord con l'Annunciazione, a cui seguiva l'Andata a Betlemme. Proseguiva con la Natività, il

Battesimo o forse con l'Adorazione dei magi, il tutto terminato con due miracoli non

identificati. Le storie di Cristo continuavano sulla parete opposta e probabilmente erano dedicate alla Gloria e alla Passione. Nel registro inferiore della parete meridionale possiamo distinguere l'abbandono di una città da parte dei suoi cittadini e di una donna condotta via con la forza, e la deposizione di una santa; come affermato in studi recenti

168, si trattava di Santa Giulia condotta via da Cartagine. Alla base delle storie vi erano

delle iscrizioni, tra cui, sulla parete sud della navata centrale sono leggibili le parole: “Regnantem Desiderium”. I lacerti della decorazione ad affresco della parete meridionale, che sono arrivati fino ai giorni nostri, mostrano scene di paesaggio e anche di architetture di una certa complessità, eseguiti con una vivace policromia, che possiamo riscontrare in un linguaggio tipico della pittura dell'Italia settentrionale, come gli affreschi del muro meridionale della navata centrale nella chiesa di Castelseprio (di cui parleremo più avanti). Tutto il programma degli affreschi “associava alla vita del Salvatore la passione dei martiri, rendendo evidente la tesi di Sant'Ambrogio secondo la quale i martiri rappresentano la continuazione della passione di Cristo […]. La necessità di estese superfici da dipingere nasceva anche dalla densità di storie da narrare. Infatti, oltre a Santa Giulia, il monastero si trovava ad ospitare le reliquie di altre quattro martiri, queste ultime importate da Roma: Sophia con le sue figlie Helpis, Agape e Pistis”169.

Anche gli stucchi avevano un'importanza notevole all'interno dell'apparato decorativo, perché andavano a completare sia l'architettura sia le storie affrescate, seguendo modelli romani (San Paolo Fuori le Mura) e modelli ravennati (Sant'Apollinare in

167 Ibidem, p. 125.

168 C. BERTELLI, “Testimonianze epigrafiche e pittoriche del culto delle sante di Brescia” in G. ANDENNA (a cura di) Arte, cultura e religione in Santa Giulia, Brescia, Grafo edizioni, 2004, pp. 45-55.

Classe); i diversi motivi decorativi (gigli stilizzati alternati a foglie, girali, nastri ad intreccio, rosette, archetti intrecciati, cornici con ovoli e fusarole) erano disposti con grande simmetria e rivestivano i sottoarchi (fig. 9). I vari elementi floreali, come nel Tempietto di Cividale, “erano impreziositi da piccole ampolle di vetro colorato inserite al centro dei petali di fiori”170.

La basilica è arricchita da mensole, formelle e cornici in terracotta, esempio degno di nota ma comunque isolato per la produzione longobarda coeva; inoltre, per avvalorare la tesi secondo cui la chiesa era stata pensata come mausoleo dinastico, nella parete sud dell'edificio venne realizzata una tomba privilegiata ad arcosolio per il/la fondatore/fondatrice171. L'iscrizione che faceva capolino sulla tomba “Ansa regina,

regis Desiderii uxor”, la posizione di grande preminenza su tutto il resto della struttura,

fanno supporre che la tomba appartenesse alla regina Ansa. Dato che la costruzione della chiesa era stata avviata prima dell'ascesa al trono di Desiderio, è molto probabile che il monastero in questione dovesse fungere da mausoleo ducale.

Dopo l'arrivo delle reliquie di Santa Giulia nel 761, alla chiesa si aggiunse una cripta, che subì enormi trasformazioni nel corso dei secoli, soprattutto in età romanica. Dopo la caduta di Desiderio, la chiesa continuò ad avere una funzione preminente anche durante il regno di Carlo Magno, subendo nel corso dei secoli interventi architettonici che ampliarono la struttura desideriana. All'età rinascimentale risalgono il chiostro settentrionale e la Chiesa di Santa Giulia, e grazie ai vari interventi di conservazione e di rifunzionalizzazione attuati negli ultimi cinquant'anni, il complesso monastico è oggi museo di sé stesso e sede del Museo della città.

Il complesso rievoca in maniera parziale i modelli architettonici e decorativi impiegati a Cividale e nella capitale Pavia; sono state riconosciute oltre alle già citate influenze bizantine e ravennati, anche altre di matrice nordeuropea (britannica e alemanna). Desiderio cercava di creare una struttura ben organizzata ma assolutamente indipendente dai poteri locali, come premessa per farne un centro di potere politico- economico172 gestito dalla famiglia ducale; le stesse intenzioni che aveva Arechi II duca

di Benevento, che sposò la figlia di Desiderio, divenne il suo primo alleato, e ne imitò il progetto politico nella c.d. Langobardia minor, fondando a Benevento la Chiesa di Santa Sofia.

170 Cfr. Dossier di candidatura, p. 129.

171 G.P. BROGIOLO, in C. BERTELLI e G.P. BROGIOLO op. cit., p. 152.

172 Per un'analisi dettagliata sulle peculiarità economiche, sul grande patrimonio del monastero si veda G.P. BROGIOLO, in C. BERTELLI e G.P. BROGIOLO op. cit., pp. 149-150.

4. CASTELSEPRIO TRA FORTIFICAZIONE E SANTA MARIA FORIS PORTAS