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di V ittorio Lannutti e Dasantila Hoxha

6.1 Politiche sociali e buone prassi

Lo spirito che sta alla base della Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali è quello di far leva sulle capacità delle persone, valorizzando e attivando le loro relazioni umane, per favorire la costruzione di reti. La direzione verso cui tendere dovrebbe essere quella di un welfare sociale e comunitario nel quale si attivino gli operatori e gli attori del territorio, in modo che tutti possano mettere al servizio della collettività le proprie capacità”1. Per raggiungere questi obiettivi bisogna attivare azioni di “buon governo” per l’inserimento dei cittadini stranieri finalizzate a: a) la lotta all’esclusione sociale; b) la costruzione di relazioni positive tra cittadini italiani e immigrati; c) la garanzia dei diritti di cittadinanza connessi alla residenza in un dato luogo. Si tratta di offrire “buone pratiche”, ossia “progetti esemplari” (azioni, metodologie, strumenti) in grado di risolvere i problemi o le aree problematiche di inciampo all’inserimento degli immigrati.

Una buona pratica deve soddisfare precisi requisiti, che sono: - l'efficacia nel raggiungimento dei risultati attesi;

- la sostenibilità e l'efficienza nel tempo;

- l'innovazione, vale a dire la capacità di produrre soluzioni nuove o di re- interpretare in modo creativo soluzioni già sperimentate;

- la riproducibilità in altri contesti geografici e/o settoriali;

- la corrispondenza e la coerenza rispetto alla formulazione progettuale; - il mainstreaming, ossia la presenza di elementi concreti che possono contribuire alla riformulazione e al miglioramento delle politiche settoriali e di programmazione;

- la disponibilità di informazioni in forma chiara, omogenea, affidabile e sintetica.

Le “buone prassi” per i migranti vanno inquadrate nella cornice del welfare italiano divenuto sempre più localistico negli ultimi anni. In seguito

1 Turco L. (2012), “Prefazione, Alleanza come chiave di uno sviluppo locale efficace e

condiviso”, in Piperno F, Tognetti Bordogna M. (a cura di) (2012), W elfare transnazionale. La frontiera esterna delle politiche sociali, Ediesse, Roma, pp. 11 - 14.

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alla riforma delle autonomie locali (l. 142/1990) le politiche sociali hanno perso l'organicità e la programmazione centralizzata, ed oggi vi sono forti differenziazioni sia nell'efficienza sia nell'offerta dei servizi sociali tra le regioni italiane e tra due macro-aree: il Centro-Nord ed il Meridione, quest’ultimo maggiormente penalizzato2. Ciò si riflette anche nei percorsi di inserimento dei migranti nei contesti di ricezione3. Nei contesti in cui gli enti locali hanno attivato servizi pertinenti a favorire l'inserimento dei migranti, è probabile che venga mantenuta salda la coesione sociale. Al contrario, se l'ente locale si disinteressa dei fenomeni migratori, è improbabile che tra nuovi cittadini e autoctoni si instaurino rapporti pacifici e reciprocamente arricchenti. Negli ultimi anni all'interno del welfare localistico (in Italia come nel resto dell'Europa mediterranea) è cresciuta l'importanza e l'autorevolezza del Terzo Settore, a cui è stata affidata gran parte della gestione dei problemi che vivono i migranti4.

I campi d’intervento delle associazioni che operano a favore degli immigrati riguardano prevalentemente:

- corsi di lingua italiana e di formazione interculturale;

- diffusione di informazioni utili al positivo inserimento nella società di approdo (diritti e doveri, opportunità di integrazione e crescita personale e comunitaria);

- conoscenza e valorizzazione delle espressioni culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose degli stranieri soggiornanti in Italia e ogni iniziativa di informazione sulle cause dell'immigrazione e di prevenzione delle discriminazioni razziali o della xenofobia;

- convenzioni per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, in qualità di mediatori interculturali;

2 Cfr. Ascoli U. (a cura di) (2011), Il welfare in Italia, il Mulino, Bologna.

3 La letteratura parla di modello “mediterraneo” di gestione dei fenomeni migratori,

legato proprio alle caratteristiche del welfare state che nel sud Europa ha la caratteristica di essere residuale, familistico, frammentato e categoriale. Cfr. King, R. (a cura di) (2002), Migration in Southern Europe: new trends and new patterns, in “Studi emigrazione”, 145, numero monografico; Pugliese, E. (2002), L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Il Mulino, Bologna; Baldwin-Edwards, M. (2005), Migration into Southern Europe: non-legality and labour markets in the region, Mediterranean Migration Observatory Working Papers, 6; Ferrera, M. (1996), The «Southern Model» of Welfare in Social Europe, in “Journal of European Social Policy»”, 6, 1, pp. 17-37; Andreotti, A., Garcia, S.M., Gomez, A., Hespanha, P., Kazepov, Y., Mingione, E. (2001), Does a Southern European Model Exist?, in “Journal of European Area Studies”, 9, 1, pp. 43- 62.

4 L'atteggiamento passivo ha avuto un risvolto legislativo con la l. 40/1998 “Disciplina

dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, che ha dato piena legittimazione al mondo dell’associazionismo e del volontariato nella stessa gestione delle politiche per i migranti.

- organizzazione di corsi di formazione, ispirati a criteri di convivenza in una società multiculturale e di prevenzione di comportamenti discriminatori, xenofobi o razzisti;

- progetti di accoglienza e corsi di lingua italiana per gli studenti neo arrivati.

Questi interventi sono stati possibili grazie al ricorso a fondi pubblici provenienti da ministeri italiani, enti locali, dall'Unione Europea, attraverso i FEI (Fondi Europei per l'Integrazione dei Cittadini dei Paesi Terzi), lo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) o il FSE (Fondo sociale Europeo).

6.2 Alcuni buoni esempi

Negli ultimi anni in Abruzzo e in provincia di Chieti si sono attivati diversi interventi a favore dei migranti, ma, come si è visto precedentemente, accanto a situazioni e territori che si stanno muovendo nella giusta direzione, ve ne sono altre che non sono in grado di attivarsi, oppure che sono ancora in fase di decollo, per cui stentano e non hanno ancora le risorse, le capacità e le competenze, per offrire interventi ben strutturati. Questo è il caso soprattutto delle scuole, settore in cui a parte quelle che con difficoltà applicano i piani di accoglienza, gli esempi di buone prassi sono ancora troppo pochi.

Caso 1 Scheda anagrafica di buona prassi nella scuola