13 “ Putto con panno annodato”
26. Calamaio semisferico
Bottega di Severo da Ravenna (Niccolò Calzetta?) 1510-1550
Fusione avvenuta nella bottega di Ravenna
Nota descrittiva:
altezza mm 59, larghezza mm 61; peso gr 182. Fusione in più parti d’ottone. Patina naturale e patinatura nera. Fratture e lacune.
Inv. 901: “Calamaio semisferico ornato di tre mensoline con volute,
maschere e zampe di leone. SecoloXVI”.
Come si legge nell’Inventario del Museo Bardini, il pezzo era destinato a fungere da calamaio. Tuttavia i contenitori per inchiostro venivano abitualmente avvitati alle basi dei bronzetti di maggiori dimen- sioni, che di solito rappresentano satiri o altre crea- ture mitologiche ed erano destinati a conferire all’insieme quel sapore antichizzante, ideale per garantirne la facile commercializzazione. La man- canza del foro per la vite nella parte più bassa dimo- stra che il calamaio non è applicabile a un altro bronzo, quindi in origine non faceva parte di un’opera composta da più sezioni. Non si conosco- no repliche.
Una serie di particolari consente di riferire questo bronzo alla bottega ravennate di Severo, che inven- tò un’innumerevole quantità di piccoli oggetti d’uso. I peducci felini, difatti, sono molto prossimi a quelli del Calamaio triangolare Bardini (inv. 926, cat. 25), che presenta anche simili volute in prossi- mità degli angoli. Le protomi leonine sono ricor- renti nelle opere fuse nella bottega del Calzetta, come il calamaio del Kunstgewerbemuseum di Ber- lino (Natur und Antike in der Renaissance, 1985, p. 525, scheda 242). Conferma l’attribuzione a quella bottega il pelame vermicolare delle criniere dei leoni e delle zampe feline, che è tipico delle opere fuse dal ravennate e dai suoi allievi.
Pur essendo di modeste dimensioni, il discreto livello qualitativo non esclude che sia stato fuso in un momento anteriore alla morte del maestro.
Repliche: non sono note. Bibliografia/cataloghi: inedito.
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Come indicano chiaramente i tre fori, posti l’uno sotto la bocca e gli altri due sotto le corna, questo mascherone grottesco era applicato a una superficie di un’opera di maggiori dimensioni e doveva confe- rirle quel sapore archeologizzante che caratterizza la maggior parte dei bronzetti fusi a Ravenna da Seve- ro Calzetta.
Una serie di particolari, come la barba e i capelli vermicolari, consente di attribuire il pezzo alla bot- tega del bronzista. Difatti l’espressione carica di
pathos ritorna in certe lucerne fuse nella sua botte-
ga, come il Busto su zampa di rapace del Bode- Museum di Berlino (V. Krahn, 2003, pp. 76-79) e la Lampada a forma di protome di fauno del Museo Nazionale del Bargello di Firenze, che abbiamo pro- posto di attribuire alla bottega di Severo (T. Rago, 2006-2007, pp. 302-307). Tuttavia quelle due opere superano qualitativamente e dimensional- mente il bronzo in esame, che sembra molto pros- simo ai mascheroni che fungono da peducci di certe basi, come quella dell’Atlante portacalamaio del Museo Jacquemart-André di Parigi, riferito da Lau- rence Varga alla bottega del maestro (in Donatello e
una “casa” del Rinascimento, 2007, p. 80, n. 2.10).
Anche le corna ritornano nelle lucerne a forma di protome satiresca, una delle quali si trova presso il Fitzwilliam Museum di Cambridge ed è stata ascrit- ta alla bottega del maestro (Bronze. The power of life
and death, 2005-2006, p. 77, fig. 23). Peraltro va
rilevato che il reticolato che decora la superficie delle corna ricompare sulla sommità della criniera di un cavallo conservato a Berlino (Bode-Museum), che Volker Krahn riconosce all’officina del ravenna-
27.Mascherone
Bottega di Severo da Ravenna (Niccolò Calzetta?) 1510-1550
Fusione avvenuta nella bottega di Ravenna Nota descrittiva:
altezza mm 54, larghezza mm 48; peso gr 44.
Lega di rame. Placchetta a ‘fornimento’ modellato nella cera, quasi privo di lavorazione a freddo. Patina naturale bruna.
Inv. 605: “Mascherone cornuto. Piastra di maniglia. SecoloXVI”.
te (2003, pp. 232-235). Per quanto concerne la datazione, il discreto livello qualitativo lascia sup- porre che il pezzo sia stato fuso prima della morte del maestro o, al massimo, pochi anni dopo.
Repliche: non sono note. Bibliografia/cataloghi: inedito.
Il bronzo era destinato a fungere da maniglia, come indicano i ferri della parte posteriore, che avrebbero dovuto fissarlo al portone di un’abitazione signorile. È stato esposto all’asta nel 1902 (tav. 4, n. 69 o 77), con una replica non pervenuta.
Il mascherone presenta una serie di elementi deco- rativi, come le foglie di acanto e le volute, che gli conferiscono un carattere antichizzante e grottesco. Difatti l’elemento vegetale contamina quello umano: ne deriva una figura irrazionale, che se fosse stata esposta a Padova probabilmente avrebbe susci- tato le critiche del Gaurico. Nel De Sculptura del 1504 l’umanista di certo avrebbe inserito il suo artefice tra quegli scultori “presi dal rappresentare satiri, idre, chimere e altri mostri che in realtà non hanno mai visto” (ed. 1999, pp. 40-41). Una serie di particolari consente di riferire questo maschero- ne alla bottega di Severo e di aprire una nuova que- stione dal momento che maniglie, picchiotti e bat- tenti non sono mai stati attribuiti allo scultore o alla sua officina. In particolar modo l’opera richiama stilisticamente una lucerna protomiforme del Kunstgewerbemuseum di Berlino, fusa nella botte- ga del Calzetta (V. Krahn, 2003, p. 79). La mani- glia di questa opera è incisa nel mezzo come le volu- te e le foglie che decorano la parte superiore del pezzo in esame. Gli occhi ammandorlati con le pupille incise, l’espressione patetica e il naso schiac- ciato caratterizzano entrambi i bronzi.
Il mascherone presenta elementi decorativi vegetali prossimi alle squame della testa del mostro marino che si trova al Kunsthistorisches Museum di Vien-
28.Mascherone
Bottega di Severo da Ravenna (Niccolò Calzetta?) 1510-1550
Fusione avvenuta nella bottega di Ravenna
Nota descrittiva:
altezza mm 132, larghezza mm 117; peso gr 992. Fusione in rame che ingloba una staffa in ferro. Patinatura artificiale composta da prodotti di corrosione verdi, probabilmente intenzionale per invecchiarlo.
Inv. 923: “Mascherone fogliato, con volute e chioccioli. SecoloXVI”.
na, in gruppo con un piccolo Nettuno (J. Warren, in Donatello e il suo tempo, 2001, pp. 156-157), che ugualmente terminano all’esterno in punte poco acuminate e ricoprono le guance delle due creature. La lingua fuori dalla bocca è ricorrente nelle lucer- ne protomiformi di Severo come ad esempio quella del Bode-Museum di Berlino, che il Krahn ascrive alla bottega del maestro (2003, pp. 80-81). Il bronzo deve essere datato dopo il ritorno di Seve- ro a Ravenna, come dimostra la prossimità con le opere menzionate, delle quali Jeremy Warren e Vol- ker Krahn propongono una datazione successiva al 1510. Peraltro non possiamo escludere che sia stato fuso dopo la morte del maestro ravennate.
Repliche: una replica dispersa, appartenuta al Bardini,
compare nel catalogo del 1902 (tav. 4, n. 69 o 77).
29.Picchiotto
Bottega di Severo da Ravenna (?) Decenni centrali del Cinquecento
Nota descrittiva:
altezza mm 133, larghezza mm 151; peso gr 978. Fusione in lega di rame. Consunto con patina naturale e depositi nerastri.
Inv. 584: “Picchiotto per porta con due delfini fogliati
abboccanti un mascherone. SecoloXVI”.
Il picchiotto è stato esposto all’asta del 1902 (tav. 4, n. 51) con un mascherone non pervenuto, che sem- bra prossimo a quello del battente di Casa Fossa ora Spalletti Trivelli di Reggio Emilia (A. Balletti, 1903, p. 121). Sebbene la consunzione, data dall’usura, renda impossibile avanzare un’analisi stilistica fon- data, una serie di particolari sembrerebbe indicare che sia stato fuso a Ravenna, nella bottega di Seve- ro Calzetta. Difatti delfini simili ritornano nei Dop-
pieri a forma di sirena, due dei quali, del Museo
Nazionale del Bargello di Firenze, sono stati rico- nosciuti alla bottega del ravennate da Patrick de Winter (1986, p. 109, fig. 86, e p. 135, nota 62). Anche i due elementi tubolari all’altezza del cardine sono prossimi alle cornucopie sorrette da alcune statuette raffiguranti Marco Aurelio, come l’esem- plare del Museo Nazionale di Ravenna, avvicinato alla bottega di Severo da Luciana Martini (1985, pp. 74-75, n. 6) e poi ascritto al maestro (si veda
Marco Aurelio, 1989, p. 151, fig. 105). Gli elemen-
ti sferici all’altezza del cardine richiamano quelli che decorano l’estremità inferiore dell’asta che si trova in mezzo alle tre zampe di alcune lucerne a forma di barca (si veda ad esempio quella conserva- ta presso il Museo Civico Amedeo Lia di La Spezia, C. Avery, 1998, p. 100), una tipologia avvicinata alla bottega del Calzetta per la prima volta da Patrick de Winter (1986, pp. 120-121). La consun- zione della protome non consente di rilevare in essa quei dettagli stilistici, come i capelli vermicolari, che contraddistinguono le opere fuse nell’officina del ravennate e ciò non permette quindi di confer- mare l’attribuzione. Tuttavia si può ipotizzare che la
fusione sia avvenuta nella bottega di Ravenna dopo la morte di Severo, quando i suoi eredi-allievi ave- vano già da tempo iniziato a produrre una innume- revole quantità di bronzetti economici destinati ad una clientela vasta ed eterogenea.
Repliche: non sono note.
Cofanetti simili venivano utilizzati per contenere gli strumenti da scrittoio (le penne e i calamai), ma generalmente erano più alti: è quindi ipotizzabile che questo fosse destinato ai fogli di carta oppure ad altri oggetti non connessi alla scrittura, come i gioielli. Originariamente il cofanetto prevedeva un coperchio, che apparentemente non può essere identificato nel Fregio del Museo Bardini (inv. 1722, cat. 31) dal momento che le dimensioni non coincidono: tuttavia in entrambi i pezzi si presenta il fregio con i fiori di loto nel bordo inferiore e ciò rende plausibile sostenere che fossero raccordati da un terzo elemento non pervenuto.
Sebbene si conosca una sola replica inedita, sono stati pubblicati numerosi esemplari simili nella forma all’opera in esame, ma più alti, tutti presu- mibilmente fusi nella bottega di Severo da Raven- na. Alcuni di questi sono decorati con busti all’an- tica e creature mitologiche (Centauri, Amorini e teste di Medusa), come l’esemplare del Museo Civi- co Medievale di Bologna (T. Rago, in Rinascimento
e passione per l’antico, 2008, pp. 390-391), altri
sono invece sorretti da quattro sfingi con un’unica zampa di leone e presentano un coperchio dalla forma piramidale, come quello del Museo Jacque- mart-André di Parigi (L. Varga, in Donatello e una
“casa” del Rinascimento, 2007, p. 76, fig. 21a). In
queste tipologie di cofanetto, che non possono esse- re considerate varianti di quello in esame, ritornano le stesse modanature delle cornici dei quattro pan-