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Candeliere a forma di drago alato

Nel documento Il gusto internazionale per i bronzetti (pagine 57-61)

I bronzetti dal Quattrocento al Seicento

5. Candeliere a forma di drago alato

Severo da Ravenna e bottega 1510-1540

Fusione avvenuta nella bottega di Ravenna

probabilmente prima della morte di Severo (ante 1538)

Nota descrittiva:

altezza mm 229, larghezza mm 160; peso gr 1262.

Composto da tre elementi di fusione con leghe leggermente differenti, tutti con filetti a tre pettini. Patina naturale giallo-verde e tracce di patinatura nerastra.

Inv. 916: “Candeliere a forma di drago alato sopra una

zampa di gallo SecoloXVI. Riccio?”.

Il bronzetto funge da candeliere, è composto da tre parti fuse separatamente e poi unite insieme e rap- presenta un drago alato che volge la testa verso la parte posteriore del corpo. Due viti lo congiungono con il portacandela e con l’artiglio sottostante, che deve innalzare l’animale, e quindi la candela, per meglio illuminare la scrivania alla quale era destina- to. Il fatto che l’artiglio sia ottenuto da un calco tratto dal vero, vale a dire da un vero artiglio di rapace, testimonia che oggetti di questo tipo erano richiesti dagli umanisti dell’epoca, intenti nello stu- dio diretto della natura.

Nel 1956 il Weihrauch (p. 72), studiando l’esem- plare del Bayerisches Nationalmuseum di Monaco di Baviera, ha citato, tra le repliche, i tre esemplari fiorentini (si veda il prospetto in fondo al testo) e ha considerato il bronzo di Monaco un’opera di pro- venienza padovana dell’inizio del Cinquecento. Giovanni Mariacher, prima nel 1968 (n. 7) e poi nel 1971 (p. 31, n. 89), ha attribuito alla bottega del Riccio l’esemplare del Museo Correr di Venezia. Tuttavia, anche se quell’opera è stata esposta nel 2008 alla mostra Rinascimento e passione per l’antico con la prudente attribuzione a “Bottega padovana” (K. Malatesta, in Rinascimento e passione per l’anti-

co, 2008, pp. 384-385), chi scrive ritiene doveroso

riferire questi bronzi alla bottega del Calzetta. Difatti le squame del drago si ritrovano pressoché invariate in alcuni dei mostri marini del ravennate, che fungono da calamai oppure accompagnano la

statuetta di Nettuno: cito, a titolo d’esempio, il

Nettuno sul mostro marino del Bargello (inv. Bronzi,

1879, n. 106) e il calamaio del Museo Cristiano di Brescia (G. Mariacher, 1971, pp. 30-31, nn. 86, 87b). Il fogliame che ricopre il corpo del drago alato richiama quello della Base per candelabro del Bargello (inv. Carrand, n. 266), un’opera che ho già proposto di attribuire a Severo da Ravenna (T. Rago, 2006-2007, pp. 257-262), e nel muso del- l’animale ritornano certi caratteri dei mostri ferini della sezione inferiore di quella base. L’attribuzione alla bottega di Severo di questo gruppo di draghi è anche confermata dal fatto che uno dei due esem- plari del Bargello (inv. Carrand, n. 262) presenta una base triangolare, ricorrente nelle opere fuse dallo scultore, sorretta da tre peducci che caratteriz- zano la maggior parte delle opere prodotte nella sua bottega (si veda T. Rago, 2006-2007, pp. 228-237). Anche l’artiglio, che è simile a quello della Nereide del Kunstmuseum di Düsseldorf (Natur und Antike

in der Renaissance, 1985, p. 513, n. 226), un bron-

zetto fuso nella bottega del ravennate, conferma questa attribuzione.

Il fatto che il Mariacher nel 1971 (p. 31, n. 89) abbia attribuito alla bottega del Riccio l’esemplare del Museo Correr non esclude che queste opere provengano in realtà da quella del Calzetta, dal momento che negli anni settanta non era stata ancora delineata l’attività del maestro e la maggior parte delle sue opere erano attribuite al Briosco.

Nel 1985 Luciana Martini (pp. 77-78), studiando un drago diverso da quello in esame, conservato nel Museo Nazionale di Ravenna, ha avanzato l’attri- buzione alla “Scuola padovana attorno al Cinque- cento”, specificando che “è possibile considerare il pezzo nell’ambito dell’opera di Severo” (p. 78). Il drago di Ravenna, anche se è diverso da quello Bar- dini, presenta la stessa torsione della testa. Entram- be le opere sono il frutto della cultura padovana amante di mostri e draghi, che, come sostiene giu- stamente la Martini (1985, p. 78), venivano fusi nella bottega del Calzetta in quantità cospicua. Tut- tavia sappiamo che la sua bottega continuò l’attivi- tà anche dopo la morte di Severo (Ravenna, ante 1538), per quasi tutto il Cinquecento (J. Warren, in Donatello e il suo tempo, 2001, p. 142). È quindi probabile che il drago ravennate sia stato fuso più recentemente di quello in esame, forse in un momento posteriore alla morte del maestro. Sem- bra confermare questa mia ipotesi Jeremy Warren che sostiene: “Un consistente numero di opere, ora conservate al Museo Nazionale di Ravenna, di estrema rozzezza, proviene probabilmente da ciò che rimaneva della bottega all’epoca della sua chiu- sura avvenuta in qualche data verso la fine delXVI

secolo” (in Donatello e il suo tempo, 2001, p. 142). Il drago alato del Museo Bardini è stato rifinito con maggiore cura rispetto all’esemplare soprammen- zionato; tale caratteristica, che denota un livello qualitativo superiore, lascia intravedere l’intervento del maestro nell’opera in esame, rendendo quindi molto probabile una datazione in un periodo ante- cedente alla sua morte (ante 1538).

Repliche: Firenze, Museo Nazionale del Bargello,

(due esemplari: inv. Carrand, n. 262, I.B. Supino, 1898, pp. 88-89, e A. Pettorelli, 1926, fig. 204; inv. Carrand, n. 263, I.B. Supino, 1898, p. 89); Roma, Museo di Palazzo Venezia (H.R. Weihrauch, 1956, p. 72); Venezia, Museo Civico Correr, (K. Malate- sta, in Rinascimento e passione per l’antico, 2008, pp. 384-385); Basilea, Historisches Museum (H.R. Weihrauch, 1956, p. 72); Monaco di Baviera, Baye- risches Nationalmuseum (H.R. Weihrauch, 1956, p. 72).

Non si tratta di un portapenne o di un calamaio, come si legge nell’Inventario Bardini, ma della sezio- ne inferiore di un candeliere, originariamente com- posto da alcune parti fuse separatamente e poi sovrapposte. Per quanto concerne la composizione dell’opera, l’artista potrebbe essere stato ispirato dai piedistalli bronzei di Alessandro Leopardi in Piazza San Marco a Venezia (B. Jestaz, 1982, p. 26). Que- sta ipotesi potrebbe anche fornirci un termine post

quem (1505) per datare l’opera in esame. Lo stem-

ma, riconducibile alla famiglia veneziana dei Conta-

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