36 “Ornato con volute” (contenitore per l’inchiostro)
38. Galata morente (Gallo morente del Campidoglio)
Bronzista veneto (?). Ambito o imitatore di Agostino Zoppo (?) (Padova, 1520 ca.-1572)
XVIoXVIIsecolo.
Nota descrittiva:
altezza mm 58, larghezza mm 112; peso gr 198.
Fusione unica in lega di rame. Frattura nella coscia destra e nel corno, qualche difetto di fusione nello stinco/polpaccio sinistro. Leggermente consunto, patinature nerastre alternate a buona patina naturale. All’interno della figura è presente una colatura di colofonia mista a cera d’api applicata a caldo. Al piano traccia di due saldature a stagno.
Inv. 887: “Statuetta riproducente il Gallo morente del Campidoglio.
SecoloXVI”.
Il modello originale, non pervenuto, databile tra il 230 e il 220 a.C., era probabilmente bronzeo e fu commissionato da AttaloIdi Pergamo forse a Epi- gono, uno scultore della città che operò nelIIIseco- lo a.C. (primoellenismo/medio ellenismo). Rappre- senta un Gallo morente nudo che avrebbe dovuto celebrare la vittoria di AttaloIcontro i Galati. Una illustre copia romana marmorea del Campidoglio, rinvenuta probabilmente agli inizi del Seicento durante gli scavi di Villa Ludovisi, si trova a Roma nei Musei Capitolini, ma, dal momento che esisto- no anche altre copie, non è escluso che il modello fosse noto anche nel Cinquecento (si veda F. Haskell, N. Penny, 1984, pp. 327-333, n. 48). Il bronzetto è vicino stilisticamente a opere di Ago- stino Zoppo, come i Telamoni dello Stiftmuseum di Klosterneuburg (M. Leithe-Jasper, in Donatello e il
suo tempo, 2001, pp. 254-255) e l’Ercole del Monte infernale dello Szépmüvészeti Múzeum (Diparti-
mento della Scultura) di Budapest (J. Eisler, in
Donatello e il suo tempo, 2001, pp. 258-259; si veda
anche G. Bodon, in Rinascimento e passione per l’an-
tico, 2008, pp. 332-333), ma dal momento che il
modello antico fu scoperto solo nei primi anni del Seicento, è assai arduo riferire l’opera allo scultore che morì nel 1572 (M. Leithe-Jasper, in Donatello e
il suo tempo, 2001, pp. 248-251). Tuttavia possiamo
ipotizzare che il bronzetto sia stato realizzato in area veneta, sotto la sua influenza.
Non sono state pubblicate repliche di questo pezzo, tuttavia dal Sei al Novecento furono fusi molti bronzetti raffiguranti il Galata morente, come l’esemplare del Museo Nazionale del Bargello di Firenze di Antonio Susini (B. Paolozzi Strozzi, 1989, pp. 32-33, fig. 31) e quello delle Collezioni d’Arte Statali di Kassel, ascritto al Settecento (Natur
und Antike in der Renaissance, 1985, p. 583, n.
334).
Repliche: non sono note. Bibliografia/cataloghi: inedito.
Si tratta della base di un candeliere composto da più sezioni non pervenute. Presenta lo stemma epi- scopale della famiglia veneziana Contarini, che pre- sumibilmente appartiene a Gaspare, nato nel 1483 a Venezia e morto a Bologna nel 1542. Il Contari- ni studiò a Padova e fu vescovo di Belluno, nel 1535 venne elevato cardinale da PaoloIII(R. Cessi, in Enciclopedia italiana, 1949,XI, p. 228). Su tutti e tre i lati appaiono iscrizioni moraleggian- ti: nell’uno il motto di Orazio “DULCE DECUS MEUM” (Odi I, 1, 2), che significa “dolce onor mio”, nell’altro “NOBILIS”, che probabilmente si riferisce alla nobiltà d’animo, che potrebbe essere simboleggiata dal cavallo, fuoriuscito dall’elmo, che si oppone al peccato originale, rappresentato, inve- ce, dal serpente sull’albero, e ancora “OY KAIEI”, che ritorna in una moneta di Domenico Poggini del Museo Nazionale del Bargello di Firenze, dove un fulmine colpisce un vaso di fiori e compaiono le iscrizioni “D. LUDOVICUS DOMENICHIUS. R. ANA∆E∆OTAI KAI OY KAIEI” (J.G. Pollard, 1984-1985, II, pp. 728-729, n. 381, e F. Vannel Toderi, G. Toderi, 2005, p. 88, n. 763, tav. 174). Lodovico Domenichi (Piacenza 1515-Pisa 1564) tradusse le opere di Paolo Giovio (Como 1483- Firenze 1552) sulle imprese militari (J.G. Pollard, 1984-1985, II, pp. 728-729, n. 381) ed ebbe una vita colma di sventure, essendo anche sospettato di eresia (B. Cestaro, in Enciclopedia italiana, 1949,
XIII, p. 114); è quindi probabile che il vaso di fiori
39.Base triangolare
Vincenzo (Vicenza, 1493-Padova, 1577/1578) e Gian Gerolamo Grandi (Padova, 1508-1560) 1530-1535
Nota descrittiva:
altezza mm 74, larghezza mm 123; peso gr 714.
Fusione in lega di rame composta da più elementi assemblati. In patina naturale, conserva tracce di una patina artificiale.
Iscrizioni: “DULCE DECUS MEUM – NOBILIS–OY KAIEI”.
Inv. 914: “Calamaio triangolare con spigoli smensolati con zampe di
leone e stemmi su ciascuna faccia. Gli stemmi sono ornati di fogliami e nastri sui quali sono motti ‘DULCE DECUS MEUM–NO ILLIS–
OY KAIEI’. SecoloXVI”.
simboleggi il bello offerto da Dio alla vita umana: “quantunque” (OY KAIEI) sia colpita da eventi avversi (il fulmine) non perde la sua bellezza (il vaso resta integro e colmo di fiori). È rilevante che que- sta interpretazione si addica anche al bronzo in esame dal momento che era destinato a un com- mittente religioso. Una serie di dettagli, riscontrabi- li in opere che Francesca de Gramatica ha riferito a Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi, consentono di ascrivere anche il pezzo di Stefano Bardini ai due artisti. Difatti i fiori del vaso sono molto prossimi, nella resa, ai frutti dell’albero del Secchiello del Castello del Buonconsiglio di Trento (F. de Grama- tica, in Rinascimento e passione per l’antico, 2008,
127
pp. 392-393), così come i nastri srotolati che termi- nano in elementi simili a teste di serpenti richiama- no quelli del Campanello del Museo Civico di Rove- reto (F. de Gramatica, in Donatello e il suo tempo, 2001, pp. 284-285). Anche le tre cornici ovali che delimitano la parte centrale dei tre lati ricordano le lesene piatte della sezione superiore del Candeliere dell’Ashmolean Museum di Oxford (F. de Gramati- ca, in Donatello e il suo tempo, 2001, pp. 278-279), che terminano in riccioli identici a quelli dell’estre- mità superiore del bronzetto in esame. Peraltro è rilevante che il motivo dell’animale che fuoriesce dall’elmo ritorni nel Campanello di Girolamo Rocca-
bruna, che si trova a Trento nel Castello del Buon-
consiglio (F. de Gramatica, in Donatello e il suo
tempo, 2001, p. 282). Come sembrerebbe indicare
lo stemma vescovile, è presumibile che il bronzetto debba essere datato ai primi anni del quarto decen- nio del Cinquecento, quando Gaspare Contarini non era stato ancora eletto cardinale. Del resto anche il Secchiello di Trento è stato datato da Fran- cesca de Gramatica intorno al 1535 (in Rinascimen-
to e passione per l’antico, 2008, pp. 392-393), men-
tre il Candeliere di Oxford tra il quarto e il quinto decennio del Cinquecento (in Donatello e il suo
tempo, 2001, pp. 278-279): la datazione sembrereb-
be quindi confermare l’attribuzione (e viceversa).
Repliche: non sono note. Bibliografia/cataloghi:inedito.
Si tratta di un candeliere a pianta circolare, ricor- rente in analoghi esemplari veneti, come i due del Museo Correr di Venezia (A. Augusti, in Rinasci-
mento e passione per l’antico, 2008, pp. 408-409),
con un fusto a forma di anfora non ansata, fuso con una lega diversa da quella della base. La chiara dif- ferenza qualitativa tra la sezione superiore e quella inferiore, finemente modellata, ornata con splendi- di mascheroni e con un’ampia serie di elementi vegetali e animali, lascia supporre che la prima sia più recente ed è quindi presumibile che sostituisca una parte originale non pervenuta. Oggetti d’uso come i candelieri furono prodotti a carattere seriale in Veneto nel Cinquecento e anche il gusto anti- quario che contraddistingue il pezzo in esame aiuta a contestualizzarlo in un’area geografica influenzata dalla cultura padovana. Tuttavia una serie di parti- colari permette di riferire il bronzetto a Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi, due artisti di famiglia vicentina ma di origine lombarda, che operarono a Padova e a Trento (per la loro vita si veda F. de Grammatica, in Donatello e il suo tempo, 2001, pp. 260-269). Difatti l’opera dimostra una prossimità stilistica con il Bruciaprofumi del Fitzwilliam Museum di Cambridge, riconosciuto ai due sculto- ri (F. de Grammatica, in Donatello e il suo tempo, 2001, p. 276). Ritornano in entrambi i bronzi i festoni, i mascheroni grotteschi con la bocca spa- lancata, i nastri che terminano in elementi quasi circolari, e un fregio a baccellature.