• Non ci sono risultati.

UN CAMPUS UNIVERSITARIO “DIFFUSO”

Maria Argenti

Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale

Fabio Cutroni

Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale

Maura Percoco

Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale

Giulia Santarelli

Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale

Parole chiave

Campus diffuso, infill, densità, Roma, Pigneto

Abstract

Whereas - as claimed by Giancarlo De Carlo - the integration of university residences and services with the city could be an opportunity for the students, but also a benefit for the entire settled community, and believing that today it would be necessary to reverse the trend of the continuous and uncontrolled building sprawl that characterizes the frayed margins of urban and metropolitan peripheral areas, this study is intended to verify the practical possibilities linked to the regeneration of consolidated urban districts through densification strategies, proposing a new “scattered” university campus model.

In opposition to the pervasive occupation of land, related - especially in Italy - to the predominantly speculative interests that were gradually grafted on an urban development governed by too abstract separation (zoning) of functions, we want to prove the effectiveness of a strategy of “saturation” of already established neighborhoods, whose redevelopment may be entrusted to a network of isolated design operations, aimed at mending the chipped mesh of the twentieth-century urban expansion, bridging those gaps - even small - remained harnessed inside the chaotic and disorderly growth of a modern city disputed between planning and illegal building, or as the never healed result of traumatic war events.

In particular, this research presents the Pigneto district in Rome as a case study and a field of design application. Pigneto is an urban district developed since the end of 19th century between Casilina and Prenestina streets, near some important industrial and productive centers such as the Pantanella factory, the Serono Pharmacological Institute, the Porta Maggiore trams depot and the SNIA Viscosa factory.

Spontaneous or even precarious residential and productive buildings have been gathering without rules between the planned residential sectors intended for railway and tramway workers - made of high intensive blocks or low extensive housing - generating the fragmented and incoherent urban texture that even today widely characterizes the neighborhood, further weakened by the wounds caused by the bombing of the summer of 1943. The idea of a “scattered” university campus, therefore, aims to rehabilitate a laddered urban district and, at the same time, to encourage social regeneration and integration, within a highly degraded neighborhood, through the injection of residences and services for students - already in place for its proximity to the Sapienza University - widespread in the district and open to the public.

Il presente lavoro di ricerca si fonda sul presupposto teorico che – riprendendo le tesi sostenute e attuate da Giancarlo De Carlo ad Urbino negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso – la presenza di residenze e servizi universitari all’interno della città consolidata, la loro integrazione con la realtà sociale locale, oltre a rappresentare un’opportunità per gli studenti, possa innescare un processo positivo per l’intera comunità urbana. Un processo evolutivo virtuoso, teso a contrastare – se non addirittura ad invertire – la tendenza alla continua e incontrollata dispersione edilizia che caratterizza i margini sfrangiati delle aree periferiche urbane e metropolitane, verificando invece la possibilità di rigenerazione dei tessuti urbani esistenti attraverso strategie di densificazione, dalle quali abbia origine un nuovo modello di Campus universitario “diffuso”.

I luoghi delle Università

In una città complessa come Roma le nuove Facoltà e i nuovi Atenei, così come gli ampliamenti e le espansioni di quelli più antichi – con l’eccezione della Seconda Università di Tor Vergata, isolata nell’estrema periferia sud-est e pensata sul modello dei campus anglosassoni – sono sorti occupando o ri-occupando spazi residuali ed edifici in disuso, al di fuori del recinto ormai troppo angusto della storica Città Universitaria della Sapienza, oggi intasata con nuovi corpi, dall’apparenza spesso provvisoria e casuale, incastrati tra gli edifici di Gio Ponti e Michelucci, di Pagano, Capponi e Minnucci.

Contestualmente alla crescita e alla moltiplicazione di Atenei e Corsi di Laurea, negli ultimi decenni intere aree e quartieri di Roma hanno integrato, e in parte sostituito, i loro abitanti con una popolazione studentesca costituita in prevalenza da fuorisede e stranieri. La città è così cambiata, si è popolata di altre facce, a volte spaesate, straniere, con il loro carico inespresso di problemi, di solitudini, a volte allegre e spensierate. Una moltitudine di giovani che interagisce stabilmente con i nostri spazi e con le nostre storie. A questo incremento e affollamento di abitanti-studenti, non è tuttavia corrisposta un’adeguata previsione e realizzazione di alloggi. I nuclei residenziali predisposti dall’ADISU sono pochi, insufficienti a far fronte alla domanda attuale. L’osservazione e l’analisi di tale condizione di disagio costituisce la premessa necessaria a legittimare l’opportunità e la possibilità di proporre un abitare per studenti diverso, sovrapposto, intrecciato con le realtà dei quartieri romani. Un abitare che sappia inserirsi in modo “leggero”, quasi impercettibile, in aree anche centrali della città, recuperando i cosiddetti “vuoti urbani”, ricomponendo le maglie slabbrate delle espansioni novecentesche – i tanti spazi residuali ancora oggi irrisolti – colmando quelle lacune, grandi e piccole, rimaste imbrigliate nella caotica e disordinata crescita di una città moderna contesa tra pianificazione e abusivismo, ovvero risultato traumatico di eventi bellici mai sanati.

Progetto per un Campus “diffuso” al Pigneto

La ricerca prende le mosse dall’osservazione e dalla mappatura delle numerose aree interstiziali lasciate in stato di degrado e di abbandono, quasi dimenticate, all’interno del quartiere romano del Pigneto – non lontano dalla Città Universitaria – presentato quindi come caso di studio e ambito di applicazione progettuale. In particolare, tale agglomerato urbano si è sviluppato a partire dalla fine dell’800, tra le vie Casilina e Prenestina, attorno ad alcuni importanti poli industriali e produttivi tra i quali il pastificio Pantanella, l’Istituto Farmacologico Serono, il deposito tranviario di Porta Maggiore e lo stabilimento della Snia Viscosa. Nelle pieghe degli eterogenei comparti residenziali inizialmente pianificati – alcuni a carattere intensivo, altri a villini – destinati principalmente alle famiglie di ferrovieri e tranvieri, si è andata poi addensando un’edilizia spontanea, spesso precaria e senza regole, che ha generato il tessuto frammentato, incoerente e congestionato ancora oggi caratterizzante estesi settori del quartiere, ulteriormente sfibrato dalle lacerazioni procurate dai bombardamenti dell’estate del 1943.

Figura 1. Il quartiere romano del Pigneto è caso di studio e luogo di applicazione progettuale della ricerca. Si tratta un brano di città emblematico della complessità, casuale e per certi versi sfrontata, di alcuni settori di Roma. Peculiarità del suo tessuto urbano è il susseguirsi ed intrecciarsi di realtà diverse: presenze archeologiche di epoca romana, modeste casette, imponenti blocchi popolari degli anni ’20 e ’30, sporadici villini liberty, intensivi degli anni ’50 e ’60, complessi industriali di fine ’800 primi del ’900 ormai dismessi o trasformati. Questo tessuto incoerente è attraversato da una molteplicità di vuoti urbani evidenziati graficamente nella planimetria.

Si tratta di un brano di città emblematico della complessità, casuale e sfrontata, di alcune parti di Roma. Si è costruito su un susseguirsi ed intrecciarsi di realtà diverse: presenze archeologiche di epoca romana, modeste casette e imponenti blocchi popolari degli anni ’20 e ’30, sporadici villini liberty, intensivi degli anni ’50 e ’60, importanti complessi industriali – realizzati tra la fine dell’800 e i primi del ’900 – ormai dismessi o profondamente trasformati.

Un “pezzo” di Roma fatto di presenze discordi, di protagonisti e comparse che includono tra loro degli

Figura 2. Casuali, irrisolti, spesso in stato di degrado e di abbandono, i vuoti interstiziali evidenziati in questa vista del Pigneto compongono un sistema di spazi da riqualificare che fa emergere la potenzialità della proposta di un “Campus diffuso”: fornire abitazioni e servizi a supporto delle università e, al tempo stesso, rigenerare il quartiere.

spazi non edificati, a volte recintati, spesso occupati abusivamente, ancor più spesso abbandonati. Stratificazioni, intersezioni, riempimenti ed accatastamenti si annodano, si sovrappongono e si confondono con la storia di una Roma trascurata, poeticamente documentata dai numerosi film che, a partire dagli anni ’50, ritraggono – in pieno neorealismo – il quartiere come set cinematografico. Tra i più noti: Roma città aperta (di Roberto Rossellini), Bellissima (di Luchino Visconti), Il ferroviere (di Pietro Germi), L’audace colpo dei soliti ignoti (di Nanni Loy), Accattone (di Pier Paolo Pasolini), Una

vita difficile (di Dino Risi). Localizzato in uno snodo di margine tra la città storica e le espansioni di

epoca moderna lungo il tracciato della via Casilina, il Pigneto raccoglie ed accoglie una molteplicità di fattori, di dati diversi e contrastanti: dalla profonda cesura del vallo ferroviario, che solca e divide inesorabilmente il quartiere, alle tante piccole costruzioni precarie e abitazioni abusive; dalla tangenziale che tutto sovrasta, affondando i suoi colossali piloni metallici nelle poche aree rimaste libere (prima di raccordarsi alla quota urbana), alle alte case popolari senza identità; dalla recente pedonalizzazione di via del Pigneto, alla sempre più consistente chiusura dei locali commerciali o artigianali, soffocati dalle logiche del mercato immobiliare e dall’impatto della grande distribuzione. Insomma, un piccolo frammento di urbanità in continua trasformazione.

Da qui l’ipotesi di un progetto aperto, basato su un sistema puntiforme e diffuso di luoghi e funzioni a servizio degli studenti universitari – del resto già fortemente presenti per la vicinanza alla Città Universitaria – capace di ridare unità di senso ad un quartiere dall’identità attualmente indefinita e confusa; un progetto unico ma non unitario, diviso in più parti, “disperso” tra le case e le vie di ieri, tra le fabbriche e i depositi, tra la tangenziale e la ferrovia, tra gli spazi ibridi che nel tempo si sono sovrapposti o accostati tra loro; un progetto sparso e frammentato, in grado di restituire un’immagine organica e coerente ad un distretto urbano oggi privo di un carattere evidente e di un valore condiviso. Nello specifico, per progetto di un’unità dispersa o “diffusa” si vuole intendere un insieme fatto di parti, dislocate in più luoghi, divise ma unite da un filo che le ritesse a sistema, a dispetto della lontananza reale dei suoi frammenti. Si tratta – insomma – di un modello di implementazione “debole” della città, della rigenerazione di un intero quartiere a partire da un’analisi dei suoi “vuoti” abbandonati. Riprogettare queste aree non significa necessariamente “riempirle”, ma operare dei completamenti capaci di emergere, di distinguersi, di rendersi riconoscibili in quanto componenti di un insieme più esteso e complesso. Si tratta, in termini più generali, di ragionare su una rete di possibili innesti del nuovo sul vecchio.

Si tratta di capire e verificare in che modo una serie di microinterventi messi a “sistema” possa modificare un contesto in maniera radicale. Significa progettare oggi nel e sul tessuto “strappato” di una parte di centro densa di periferie. Cambiare senso e prospettiva ai pieni e ai vuoti preesistenti. Lavorare in un tessuto urbano cresciuto nel tempo, stratificato, dalla forte vocazione all’apertura. Considerare così un quartiere che si anima, prende vita proprio in quelle porzioni e in quei volumi non considerati, in quelle pause degradate dell’edificato urbano.

Questo è il tema sotteso, la questione principale.

La caratteristica fondamentale della proposta e l’interesse che essa riveste come caso di studio stanno appunto nel fatto che non si tratta di un complesso di residenze e servizi da collocarsi comunemente in un lotto vuoto, predisposto per tale uso, ma di un intervento più ampio e articolato, unico eppure frammentato, finalizzato soprattutto a rigenerare un luogo senza stravolgerlo, ma – allo stesso tempo – senza mimetizzarsi con esso.

“Le case di ieri” sono infatti la realtà quotidiana con la quale i progettisti più attenti e più colti – in maniera sempre più frequente ed esclusiva rispetto ai maestri italiani del ’900 che per primi hanno dimostrato una sensibilità verso le “preesistenze ambientali” – dovranno misurarsi nel futuro prossimo, cercando di elaborare il progetto con un’attenzione particolare al palinsesto esistente.

La ricerca, dunque, assume il valore di un paradigma, di una proposta innovativa per l’abitare studentesco, in grado anche di riqualificare, di rivalutare, di rivitalizzare una porzione di tessuto urbano, “diluendosi” nella trama bella e degradata, multietnica e aperta della città contemporanea. Le piccole e grandi lacune presenti nelle maglie dell’ordito edilizio, spesso percepite come spazi di risulta, sono quindi riconsiderate all’interno di un insieme fatto di parti – divise ma connesse – recuperando i tasselli sbrecciati o mancanti per ricomporre un mosaico urbano [Severino, 2005] più vasto e molteplice.

Il campus universitario dislocato nel quartiere – la casa dello studente e i servizi collettivi “sparsi” nei vuoti del Pigneto – diventa così il pretesto di un ragionamento più ampio, una proposta di carattere metodologico che intende coniugare intervento di riqualificazione urbana e progetto architettonico, la grande scala con la piccola o media dimensione dei nuovi edifici.

Da un lato ci si propone di verificare la validità di tale strategia di saturazione dei quartieri già consolidati, affidandone la possibilità di rigenerazione ad una rete di operazioni progettuali puntuali, di piccoli, anche minimi “intarsi” architettonici complementari tra loro; dall’altro si vuole prospettare un’alternativa concreta al dilagante consumo di suolo, legato – soprattutto in Italia – agli interessi di carattere prevalentemente speculativo che si sono via via innestati su uno sviluppo urbanistico disciplinato da una troppo astratta e schematica separazione (zonizzazione) delle funzioni, in favore di una sistema integrato e sincronizzato di piccoli interventi, capace di concentrare e gestire contemporaneamente più funzioni in una stessa area urbana, nel solco di una tradizione e di un insegnamento che i nostri centri storici ancora oggi ci tramandano.

La ricerca e gli obiettivi del progetto

Lo studio è iniziato dall’osservazione della città nei suoi ambiti più reconditi, è stato portato avanti attraverso un’indagine sul campo, in un settore di Roma individuato e approfondito in continuità con una precedente ricerca di dottorato [Baglioni, 2012]. Passeggiando per le vie del Pigneto ci si perde e riperde. Si è sorpresi e incuriositi dal continuo andirivieni di persone, di età diverse, di diversi paesi. Il quartiere ci appare cresciuto in maniera disordinata, casuale, non pianificata, inglobando strati ed epoche differenti. Case vecchie e case nuove si accostano senza logica, si sovrappongono senza controllo, e tra queste si insinuano con noncuranza sconclusionati ampliamenti, precarie superfetazioni, proterve personalizzazioni.

L’obiettivo di questa ricerca progettuale è dunque quello di innescare e guidare un’inversione di tendenza, di ritrovare un senso e un’identità al quartiere modificando l’esistente attraverso un sistema di piccoli e medi interventi, piuttosto che – secondo una prassi che negli ultimi vent’anni ha alimentato l’affermazione delle grandi firme internazionali – attraverso l’imposizione di un edificio iconico, solo apparentemente risolutivo, spesso avulso dal contesto in cui viene calato e incapace di incidere realmente e intimamente nel suo tessuto edilizio e sociale.

La complessità e la storia urbana devono invece essere le matrici sulle quali impiantare ogni nuovo intervento, devono costituire la traccia materiale su cui sovrascrivere il testo attuale, così da fondare l’identità futura sulle sedimentazioni del proprio passato. Una volta individuati i vuoti disponibili, quindi, si può calibrare un programma preciso, nel quale, accanto alla funzione dominante delle residenze universitarie, prevedere anche gli indispensabili servizi collettivi di supporto e gli spazi comuni – disseminati in un sistema puntiforme – tramite i quali realizzare il progetto di un vero “vivere insieme”. La proposta individua una serie di scenari possibili, a partire dai vuoti densi di una potenzialità ancora inespressa, con ipotesi progettuali che verifichino la fattibilità dei presupposti teorici iniziali, in una sfida che arriva a misurarsi con lotti anche molto stretti e profondi, serrati tra le alte pareti cieche degli edifici confinanti.

Figura 3. Il progetto - sviluppato da Lorena Tedesco come tesi di laurea - satura sei diverse porzioni di vuoto (di dimensioni variabili fino alla più stretta di soli 5 metri) in uno stesso isolato. Temi progettuali comuni legano tra loro gli interventi nell’intento di realizzare un sistema, una rete di residenze per studenti e docenti, piccole attrezzature di supporto, che possano contribuire a riqualificare la realtà frammentata del quartiere. La soluzione si caratterizza per la permeabilità al piano terra che rende la corte interna fruibile e connessa all’intorno. Il volume di maggiori dimensioni, nell’area più grande (46x15m), è pensato per ospitare fino a 64 studenti in camere singole e doppie. Ad ogni livello della residenza sono presenti spazi culturali, didattici e servizi ricreativi. Una scansione orizzontale per fasce, che riprende nell’impaginato le linee degli edifici attorno, caratterizza il prospetto sulla via principale (via Braccio da Montone). Nella grande corte invece la presenza di volumi aggettanti, disposti apparentemente senza un ordine, identifica gli spazi comuni. Nel lotto più stretto si collocano le residenze per professori visitatori. Le ridotte dimensioni diventano occasione per sperimentare un’organizzazione interna dove gli ambienti delle abitazioni si incastrano uno nell’altro, sviluppandosi su quattro livelli.

Figura 4. I progetti elaborati come tesi di laurea da Marco Mizzoni e Lorenzo Attorre completano il lotto d’angolo di un isolato alto e compatto che si affaccia sulla via Prenestina. Entrambi creano una corte interna pubblica su cui confluiscono attraversamenti pedonali che raccordano diverse quote urbane. Di fronte a questo blocco Martina Russo ridisegna invece un intero isolato più basso e articolato in sostituzione di un tessuto minuto e congestionato di costruzioni spontanee.

Figura 5. Questi progetti presentano tre diverse declinazioni per una stessa area composta di tre vuoti di dimensioni differenti. Nel lotto di dimensioni maggiori il primo progetto, di Eleonora Marchesini, prevede l’inserimento di un centro per le arti aperto al quartiere, in parte sollevato da terra a creare uno spazio pubblico coperto in continuità con la trama urbana esistente. Gli altri due progetti, di Paolo Serra e Angelo Cioppa, prevedono invece uno studentato con servizi collettivi al piano terra. Entrambi si misurano anche con la sfida di un infill di appena 5 metri dove, in modi diversi, inseriscono alloggi speciali per visiting professor.

Figura 6. Misurarsi con la densità di un isolato urbano reso impenetrabile dall’affastellarsi di costruzioni precarie è il dato problematico della tesi sviluppata da Fabio Faticoni. L’idea progettuale sovverte lo stato di fatto. Il disegno di slarghi e ambiti per attività all’aperto infrange la forma chiusa dell’isolato per far prevalere il vuoto. Due percorsi, longitudinale e trasversale, strutturano la composizione dei nuovi volumi di servizio: sala espositiva, cineforum, laboratori artigiani e negozi. Emerge il blocco fuori scala del nuovo Teatro Ateneo per 350 persone collocato nel quadrante d’angolo a presidio del sistema.

Il progetto di un sistema “diffuso” di luoghi a servizio degli studenti universitari – per abitare, studiare, incontrarsi, per lo svago o le attività sportive – di alloggi connessi quindi ad ambiti funzionali di supporto (reception/accoglienza, parcheggio biciclette, lavanderia, mensa, palestra, sale studio, sale conferenze ed eventi, spazi per la cultura e il tempo libero), si articola in una pluralità di interventi diversi, ciascuno collocato in un’area idonea, precedentemente selezionata, ponendo l’accento proprio sull’attiva possibilità d’interazione tra tema e contesto.

In particolare, i temi progettuali affrontati riguardano:

- residenza: intesa come “casa dello studente” e sistema di alloggi speciali, pensati per un’occupazione

temporanea (studenti erasmus, dottorandi, ricercatori e professori “visitatori”);

- formazione: biblioteca/mediateca, sala conferenze, laboratori, aule didattiche, sale lettura, ambiti

per lo studio e spazi multimediali, librerie specialistiche;

- tempo libero: cinema-teatro, emeroteca, caffetterie, palestre, spazi per l’arte e per la musica, luoghi

di incontro, scambio e socializzazione;

- servizi collettivi di supporto: accoglienza e orientamento, amministrazione, economato, mensa,

lavanderia, parcheggi, assistenza medica e sostegno psicologico, avviamento al lavoro.

La sperimentazione vuole sondare le potenzialità di lotti e aree libere – ovvero parzialmente o totalmente saturate da edifici precari o dismessi – che abbiano caratteristiche differenti per dimensioni, forma e, soprattutto, per condizioni “al contorno”. Gli interventi più cospicui, sia nel caso di una occupazione di lotti sostanzialmente vuoti, che in quello di una sostituzione edilizia – previo “diradamento” degli isolati soffocati da costruzioni abusive, spontanee o in stato di abbandono – intendono innanzitutto