Francesco Vitola
Politecnico di Milano, Area Tecnico Edilizia - SDA- Bocconi, PREM Lab
Remo Dalla Longa
SDA- Bocconi, PREM Lab
Ciro Pisano
SDA- Bocconi, PREM Lab
Parole chiave
Partenariato pubblico privato, gestione immobiliare
Abstract
Projects of development and public real estate management, such as university residences, can be attributed among the so called “complex operations”, and represent the present and the near future of the national works and public services. Analyzing the data relating to both current spending and capital expenditure in the public works and services, we see how the “capex” has been reduced in half during the last economic crisis, while the current spending, contrary to all expectations, is constantly rising.
A deep analysis about the sustainability of public works is required, both if they are made entirely with public funding or even if they are supported through innovative public-private partnership models. Starting from these considerations, the strategic planning is called to outline models for the execution of complex operations that should place the emphasis on the complete life cycle of the building and not only on the design and construction phases. As a matter of fact, design & construction assume in this scenario an ancillary role compared to the primary goal of sustainability. Consequently, the necessary actions to implement the strategy must be able to tie together the typical targets of project management, such as the respect of the time for the execution, estimated costs and the desired quality in terms of architecture, completed builds and services provided, and above all the compliance with the objectives of sustainability.
Therefore, the preferable choice will be a contractual formula through which the private operator takes responsibility not only of the construction risk, but also about the availability risk and, in some cases about the market risk. Taking advantage of the considerable possibilities offered to public entities such universities by the new EU Directives on public contract and concessions, the new public management should adopt procedural solutions that allow, not only to identify the best contractor but to create a partnership that is able to support the client through the entire life of the complex operations. In addition, contracts with the successful contactor should be modulated as a function of several variables, endogenous and exogenous (offer/ demand of accommodation places), which could affect the sustainability of the initial investment. The challenge for the new public committee should be found in the assumption of the concept of partnership: while a service can be purchased, the partnership relation should be built.
Premessa
La realizzazione di residenze universitarie ha rappresentato, e rappresenta ancora tutt’oggi, un ambito operativo “nuovo” per le università. Le residenze infatti, a differenza dei laboratori, degli uffici e delle aule per la didattica, non sono mai state storicamente considerate come parte integrante delle infrastrutture universitarie. Lo stesso processo dell’ospitalità rispetto al quale le residenze sono strumentali, non era, e ancora oggi non è, contemplato tra i processi “core” dell’università, da sempre focalizzati sulla didattica e la ricerca. Questa rappresenta una visione arretrata e riduttiva rispetto a una globalizzazione in cui la ricerca, la produzione di conoscenza, lo sviluppo di innovazioni e tecnologie richiedono sempre più attrattività, anche internazionale.
Come documentato da nuovi approcci ed analisi che hanno origine nella prima parte di questo secolo (Florida, 2002, 2005a, 2005b, ma anche in senso più lato Amin-Thrift, 2001 e prima ancora Porter, 2001), l’attrattività globale di imprenditori, erogatori e fruitori del sapere, e quindi l’accrescimento del vantaggio competitivo per la didattica, passa attraverso un’organicità e un’integrazione sistemica e creativa tra i luoghi di erogazione del sapere, i luoghi di ricezione e di soggiorno. Il processo di globalizzazione dei mercati, la caduta di molti dei confini – alcuni non solo metaforici – che avevano in precedenza caratterizzato le università e incentrato sulla uniformazione più che sulla differenziazione, e la diffusione di un sistema globale di comparazione non più solo basato sui temi della didattica e della ricerca, ha in parte spinto i governi e gli atenei a seguire, a riconsiderare le proprie posizioni in tema di ospitalità, individuando quest’ultima come attività funzionale per innalzare il livello di attrattività delle singole istituzioni universitarie in una prospettiva di internazionalizzazione.
In tale logica strategica deve essere letta la Legge 338 che ha portato a realizzare circa un miliardo di euro [Catalano, 2013] di investimenti per la realizzazione di residenze universitarie. Una legge la cui efficacia si è dovuta spesso misurare rispetto alle deficienze del sistema dei contratti pubblici e, a volte, dall’inadeguatezza degli operatori della filiera del mondo delle costruzioni chiamato a dare concretezza alle iniziative cofinanziate.
Verso un nuovo paradigma per l’opera pubblica
L’approccio alle opere pubbliche è andato, negli ultimi vent’anni, notevolmente modificandosi, evolvendo verso una nuova cultura riconducibile al public real estate management. Tale innovazione considera il patrimonio immobiliare come un elemento economico strategico inserito in un proprio ciclo di vita e al cui interno devono essere organizzati gli apporti (di risorse, di conoscenza, del “saper fare”) guidati da logiche integrate tipiche del project management. La centralità un tempo ricoperta dalle fasi iniziali del processo edilizio, ha progressivamente ceduto il passo ad una visione più amplia, estesa all’intero ciclo di vita dell’opera. In precedenza la cultura esclusiva era di una progettazione strumentale alla sola costruzione, ovvero alla fase del processo edilizio che si riteneva assorbisse le maggiori risorse economiche.
Il binomio ritenuto fondamentale per la realizzazione di un’opera di qualità vedeva l’attuarsi di un dialogo virtuoso tra l’architetto, sintetizzatore delle esigenze del committente e promotore della sperimentazione tecnologica, e il costruttore, ovvero il detentore della “cultura del fare” [Periccioli, 2010]. Complice anche la cattiva progettazione, la scarsa qualità delle opere realizzate e, al contempo, la maggiore selettività di un utente finale sempre più esigente, oltre che una maggiore consapevolezza diffusa circa la restante – e più lunga e onerosa [Tronconi, 2010] – parte del ciclo di vita dell’opera, da circa un decennio la gestione immobiliare è stata riconsiderata dagli operatori di mercato.
Oggi è possibile definire un nuovo paradigma cui le opere pubbliche dovranno sempre più rifarsi: la sostenibilità nel tempo. Il termine “sostenibilità” è la sintesi di diverse culture: quella economico- finanziaria, quella tecnica, quella ambientale e ancora quella sociale, procedurale e amministrativa.
Tale nuova visione comporta una rivalutazione di alcune fasi del processo edilizio in precedenza
sottovalutate quale le analisi di fattibilità e la progettazione della gestione dell’opera1. In questo nuovo
paradigma il dialogo sarà non più tra due, bensì tra quattro soggetti: il committente, il progettista, il costruttore e il gestore immobiliare. L’accresciuta complessità di mezzi, risorse e culture che nell’opera pubblica trovano sintesi, fanno ritenere che i processi di produzione che portano alla realizzazione della stessa siano annoverabili tra i progetti complessi. In virtù di ciò, la necessità che tali progetti siano governati da un project manager atipico [Paganin et al, 2015], unico per tutte le fasi dalla pianificazione alla gestione immobiliare, individuato dalla normativa sui lavori pubblici, già dalla Legge quadro del ’94, nel responsabile unico del procedimento. L’opera pubblica, intesa come manufatto per la cui realizzazione e gestione è necessario l’impiego di risorse pubbliche, è stata storicamente trattata dalle stazioni appaltanti con un approccio settoriale: fino al 2006, la progettazione e la costruzione sono state oggetto di norme ad hoc, diverse da quelle per i servizi e le forniture.
La prassi diffusa prevedeva, e prevede tutt’ora: l’affidamento della progettazione in parte all’interno e
in parte all’esterno della stazione appaltante2; l’affidamento dei lavori a operatori economici qualificati
su criteri che non comprendevano valutazioni reputazionali ex post dei committenti pubblici; l’affidamento degli arredi e allestimenti ad operatori economici diversi dal costruttore e dal gestore immobiliare, spesso chiamati a formulare offerta in assenza di progetti dettagliati; la direzione lavori e i collaudi tipicamente affidati all’interno della pubblica amministrazione anche in barba ai necessari requisiti di terzietà; la gestione immobiliare frammentata attraverso appalti di servizi, contratti di fornitura (in special modo per energia e utenze) e lavori di manutenzione (la maggior parte dei quali realizzati secondo la formula dei lavori in economia).
Con l’avvento della Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, e conseguentemente con il Codice De Lise, si è concretizzata, almeno a livello normativo, una spinta verso un approccio integrato di
lavori, forniture e servizi. Salvo però alcuni casi3 tale integrazione non si è poi trasposta sul piano
contrattuale nè si è diffusa come prassi ricorrente, dimostrando l’assenza di una visione unitaria. L’assenza dell’integrazione fa sì che prevalgano gli obiettivi dei singoli process owner interessati ad una specifica fase del progetto rispetto quelli più complessi e di più amplia durata di cui è responsabile il project manager dell’opera pubblica.
L’atipicità di quest’ultimo [Vitola et al, 2015] risiede proprio nel fatto che, a differenza del classico project manager, è chiamato a presidiare obiettivi di più lungo periodo, che non si limitano ai tempi e costi di realizzazione o alla qualità attesa, bensì abbracciano la sfera della sostenibilità.
A tale asincronia tra gli obiettivi si aggiunge inoltre il fatto che la norma4, laddove tratta l’appalto di
lavori, predilige un modello che con il tempo si è potuto riscontrare poco performante5 e basato sul
1 Da declinarsi in termini di requisiti di manutenibilità, durabilità, comportamento energetico, fruibilità e utilizzo e di
caratteristiche dei servizi che dovranno essere erogati all’interno dell’opera.
2 Il report [OICE, 2015], stima che circa il 75% dei servizi di ingegneria sia affidato in house da parte delle pubbliche
amministrazioni e circa 1/3 degli stessi riguardi la progettazione.
3 Il riferimento è al modello “codificato” dalla normativa sui contratti pubblici della concessione di costruzione e gestione. 4 Il riferimento è sia alla L. 109/94 che al D.Lgs. 163/2006.
5 L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nelle proprie relazioni al parlamento del 2011 (da pagina 42 e 2013
(pag. 103), afferma che circa nel 73% degli appalti di lavori si verifica almeno una variante che compromette i tempi di realizzazione e determina un incremento dei costi. Tale percentuale si riduce (circa al 40%) laddove sono tra loro combinati l’appalto di progettazione e costruzione e la procedura ristretta aggiudicata secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Di contro, il ricorso alla variante in corso d’opera si approssimerebbe al valore del 73% dei casi laddove si preveda l’affidamento, mediante procedura aperta da aggiudicarsi con il criterio del massimo ribasso, di un appalto di sola costruzione. Quest’ultima combinazione di oggetto dell’appalto, procedura di affidamento e criterio di aggiudicazione, è comunque quella maggiormente codificata dal D.Lgs. 163/2006 e maggiormente impiegata a livello nazionale (sempre secondo i dati AVCP la cui fonte è sopra citata).
connubio di appalto di sola costruzione, affidato mediante procedura aperta e aggiudicato secondo il criterio del massimo ribasso.
Oltre l’assenza di un approccio integrato, la normativa e la prassi nazionale in tema di opere pubbliche è afflitta anche da altre problematiche. La prima riguarda il presupposto su cui si basa tutta la normativa dal ’94 ad oggi, ossia la sussistenza di un progetto esecutivo perfetto.
Tale elevato grado di rigidità, inserito in un modello, quello dell’appalto di sola costruzione, altrettanto rigido, e il ricorso “massivo” al criterio del massimo ribasso, ha comportato un frequente ricorso alla variante in corso d’opera (circa nel 73% degli appalti) oltre che ad un elevato contenzioso nell’esecuzione del contratto. La seconda criticità riguarda il sistema dei controlli qualità, siano essi relativi alla progettazione che alla costruzione, nella maggior parte dei casi formali e non sostanziali. La terza criticità, intimamente correlata alla prima, riguarda i tempi di realizzazione delle opere pubbliche. A titolo esemplificativo, per opere di piccola dimensione, i tempi di realizzazione hanno
un incremento medio del 50%6.
Tali criticità nella fase di realizzazione, determina la circostanza per cui le opere, una volta ultimate, si rivelino addirittura “inadeguate” a causa del mutamento delle necessità del territorio intervenute nel frattempo [Lauria, 2012]. Non è da sottovalutare che, mediamente, opere pubbliche di valore economico compreso tra i 5 e i 10 milioni di euro, richiedono circa 8 anni per essere realizzate e che circa il 50% del tempo è ricondotto ai processi antecedenti l’affidamento [DSCE, 2014]. Ovviamente tale lasso di tempo è solo in minima parte dedicato alla progettazione mentre per il restante è impiegato per attività strumentali all’avvio delle operazioni e che, per loro natura, risultano essere molto dispersive. Infine, ma non per ultimo in termini di importanza, è l’impatto che la normativa e la
burocrazia hanno sui tempi dei processi di realizzazione di opere pubbliche. Secondo un recente studio7
tale aspetto è considerato anche una delle problematiche alle quali sono più sensibili gli investitori internazionali. A tale riguardo non va sottovalutata l’incertezza che dall’entrata in vigore della Legge
Merloni gravita sull’ambito dei contatti pubblici8 e che il nuovo codice dei contratti sembrerebbe
addirittura accentuare. Ulteriore aspetto che concorre a determinare la scarsa efficacia ed efficienza del processo di realizzazione dell’opera pubblica è dato dalla qualificazione degli operatori di mercato. Le committenze pubbliche sono poco attrattive per talenti e soggetti di alto profilo tecnico, mentre divengono spesso la meta di ripiego di professionisti mancati. Non è da sottovalutare che gli uffici tecnici delle stazioni appaltanti sono chiamati a ricoprire un ruolo nevralgico nella realizzazione delle opere pubbliche, presidiando processi rispetto ai quali da sempre la normativa nazionale conferisce loro una sostanziale esclusiva [Vitola et al, 2016]. A livello di offerta il sistema di qualificazione attuato attraverso le SOA, e che ha soppiantato il vecchio Albo Nazionale dei Costruttori istituito nel ’62, ha mostrato dal ’94 ad oggi tutti i suoi limiti. Più che il sistema di qualificazione in sé, certamente non orientato al miglioramento continuo ed estraneo a concetti quali aspetti reputazionali e performance, pesa la mancata internazionalizzazione che, su spinta comunitaria, si sarebbe dovuta attuare a livello
di Stati membri dell’Unione9.
L’internazionalizzazione mancata ha portato gli operatori nazionali a non beneficiare del confronto virtuoso con altre realtà europee. Il risultato è stato un consolidarsi di prassi operative che vedono
6 Fonte Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, relazione al parlamento anno 2011, Appendice A.
7 [WEF, 2016] (Box 3, http://reports.weforum.org - ultimo accesso 30.06.2016), secondo il quale nelle economie avanzate,
l’inefficienza della burocrazia dello Stato è percepita dagli investitori quale maggiore deterrente per gli investimenti.
8 Il Codice De Lise, in vigore durante il periodo dell’entrata in vigore del D.M. 42 del 22 maggio 2007 e del D.M. 26
dell’11 febbraio 2011, è stato modificato 597 volte, solo 114 articoli di 273 non hanno mai subito modifiche e, fino al 17 aprile 2016 solo il 42% degli articoli conservava il testo originario (fonte www.appaltiecontratti.it, 29 giugno 2016).
9 [CE, 2011] afferma che “Secondo studi recenti, soltanto l’1,6% degli appalti pubblici viene aggiudicato a operatori di altri
un’offerta incapace di operare in contratti con obbligazioni di risultato [AVCP, 2011], sovente incline al contenzioso e, nella maggior parte dei casi, incapace di gestire formule contrattuali evolute basate sulla partnership. Tali caratteristiche della domanda e dell’offerta sono ben sintetizzate nel contenzioso contrattuale che, di fatto, rappresenta uno dei sintomi più marcati di una patologia di sistema e dove
la pubblica amministrazione risulta soccombente nella quasi totalità dei casi10.
La sostenibilità delle residenze universitarie
Prima di avviare un’operazione complessa avente ad oggetto la realizzazione di una o più residenze universitarie è necessario condurre ex ante un’analisi di fattibilità che consenta di definire la migliore combinazione possibile tra localizzazione dell’intervento, dimensione, forma di finanziamento, modello di gestione (property e facility management), oggetto del contratto, procedura di affidamento, criterio di aggiudicazione, tecniche per l’esecuzione del contratto.
La sistematizzazione delle diverse variabili consente di definire il modello di realizzazione dell’operazione: questo si attuerà attraverso le fasi di pianificazione, programmazione, progettazione, affidamento, costruzione e gestione, tipiche del processo edilizio, e potrà essere valorizzato in termini di costi definendo il costo del ciclo di vita, inteso come somma di tutti i costi diretti e indiretti dell’opera per la durata di vita. Il costo globale è l’unico parametro economico serio per valutare il costo reale di un’opera [Maggi, 1994].
Ovviamente, in relazione alle peculiarità di ciascuna operazione e in funzione dei diversi attori coinvolti, non è possibile definire un modello unico di riferimento: l’ente committente dovrà definire, e poi adottare, un modello dallo stesso praticabile in tutte le sue fasi, ponendo particolare attenzione all’obiettivo ultimo, la sostenibilità della residenza nel tempo, e presidiando i processi principali, e non delegabili, per l’attuazione dell’operazione, quali quelli di pianificazione, di programmazione, di affidamento, di monitoraggio e controllo, e circondandosi delle migliori competenze e professionalità operanti sul mercato per dare seguito alle restanti attività di progettazione, costruzione, allestimento e gestione immobiliare.
La sostenibilità delle residenze universitarie è determinata dalla concorrenza di diversi fattori. Alcuni sono da ricondurre alla sfera progettuale e riguardano, ad esempio, la massimizzazione degli spazi a reddito, quali quelli per la funzione residenziale, rispetto gli spazi di supporto, di servizio e collettivi che, seppur non a reddito, incidono sulla qualità dell’abitare, oltre che l’impiego di soluzioni ad elevata prestazione energetica, le soluzioni compositive e funzionali, la scelta dei materiali e delle dotazioni di arredo, etc.. Altre riguardano la qualità del costruito e i tempi di realizzazione delle iniziative, soprattutto laddove le stesse necessitino, per la loro realizzazione, dell’immobilizzazione di capitali. Altre ancora riguardano la sostenibilità dei costi di gestione in relazione al livello, all’adeguatezza e alla qualità dei servizi erogati.
Non per ultimi gli aspetti legati all’attrattività della residenza per il mercato che, assieme alle tariffe e ai servizi offerti, concorre a determinare il tasso di riempimento. In termini di ospitalità, se confrontato con alcuni dei Paesi maggiormente rilevanti per qualità del sistema universitario e numero di studenti iscritti e fuori sede, il nostro Paese detiene un primato alquanto infelice offrendo posti alloggio a meno del 3% dei propri studenti, contro il 10% circa della Gran Bretagna, il 15% della Francia e circa l’11%
della Germania11. Sul lato dell’offerta, seppur vero che l’Italia è uno tra gli ultimi Paesi comunitari
per percentuale di studenti che alloggia in residenze per studenti12, è anche vero che a fronte delle
10 L’AVCP parla di una soccombenza compresa tra il 95% (anno 2012) e il 99,98% (anno 2010). 11 Fonte MIUR 2012, rielaborazione Baratta A., anno 2015.
politiche di sviluppo del sistema universitario nazionale avviate verso fine secolo scorso, siamo oggi tra i Paesi europei con il più alto numero di studenti universitari che vivono in famiglia, a fronte di una scelta per la sede universitaria che, nell’80% dei casi, si concretizza all’interno della regione di residenza [Bellini et al, 2015].
Tale squilibrio, a cui alcuni autori e rappresentanti delle istituzioni riconducono anche l’insoddisfacente posizionamento degli Atenei italiani nei rankings internazionali [Iezzi et al, 2010], ha portato nel tempo i singoli operatori privati, spesso in forma non organizzata, a sostituirsi al vuoto creato nell’offerta da parte di operatori istituzionali e privati “strutturati”, offrendo sul libero mercato soluzioni abitative nella maggior parte dei casi non idonee alle esigenze degli studenti universitari e con tariffe spesso elevate e sottratte all’erario. La carenza di posti alloggio e strutture edilizie dedicate all’ospitalità di studenti universitari ha portato le università maggiormente attente a tale fenomeno a dare seguito a soluzioni tampone, sottoscrivendo convenzioni con soggetti pubblici e privati. In tale contesto è nata la Legge 338 la quale ha innescato una competizione virtuosa, basata sulla progettualità, tra gli Atenei nazionali e i territori maggiormente attenti alla problematica dell’ospitalità. Uno dei presupposti della Legge 338 era che le nuove residenze universitarie fossero realizzate secondo standard quali- quantitativi comuni, il cui rispetto era vincolante non solo per l’ottenimento del cofinanziamento, ma anche per il mantenimento dello stesso nel tempo.
Tale aspetto ha fatto sì che l’incremento dell’offerta di posti alloggio avvenisse secondo standard qualitativi comuni e riconosciuti. Seppur i primi decreti attuativi del 2001 e del 2007, a differenza dei decreti del 2011, obbligassero i richiedenti il cofinanziamento alla presentazione di un piano di fattibilità economica delle iniziative, è pur vero che tale tema risultava secondario rispetto a altri