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La capacità del beneficiario

La condizione di imputabilità del beneficiario dell’amministrazione di sostegno consiste nella verifica della sussistenza della capacità d’intendere e di volere al momento della commissione del fatto dannoso.

L’art. 2046 c.c. stabilisce che “non risponde delle conseguenze del fatto

dannoso chi non aveva la capacità d’intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa”.

Occorre in via preliminare soffermarsi sul significato di tale capacità, sul ruolo che questa svolge all’interno dell’ordinamento e i suoi rapporti con la capacità legale d’agire.

La capacità d’intendere e di volere74 è “quel minimo di attitudine psichica ad agire e valutare le conseguenze del proprio operato, necessario affinché, secondo la comune coscienza, sia possibile ritenere che il fatto dannoso è conseguenza di una libera scelta dell’autore, con riferimento sia alla sfera intellettiva che a quella volitiva”75.

Le menomate condizioni psichiche, anche momentanee, in cui versa il soggetto o qualsiasi altra causa che comporti un’alterazione delle sue facoltà intellettive e volitive sono i presupposti per la situazione d’incapacità naturale.

La situazione di fatto in cui versa l’incapace fa sorgere in capo

all’ordinamento un’esigenza di protezione nei suoi confronti e un’esigenza di tutela nei confronti della controparte impossibilitata a conoscere le sue menomate condizioni.

74 La capacità d’intendere è “l’attitudine del soggetto a conoscere ciò che si svolge al di fuori

di lui”, ma anche “la capacità di rendersi conto del valore sociale dell’atto che si compie”; la capacità di volere è “l’attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo, resistendo agli impulsi”, R. CATERINA, Le persone fisiche, 2012, p. 20.

75 C. SALVI, La responsabilità civile, II, in Trattato di diritto privato, a cura di G. IUDICA E

L’art. 428 c.c.76 contiene la disciplina generale in materia di incapacità

d’intendere e di volere, realizzando “una soluzione di compromesso, in cui

l’obiettivo di proteggere il disabile come tale da eventuali pregiudizi risulta temperato dalle esigenze di tutela degli affidamenti e, quindi, in definitiva della speditezza del traffico giuridico77”.

L’incapacità d’intendere e di volere si contrappone all’incapacità legale d’agire, legata a presupposti fissati dalla legge, quali la minore età, la sentenza d’interdizione o di inabilitazione.

La capacità legale d’agire78 è definita come “l’attitudine del soggetto di diritto a svolgere attività giuridica relativa alla personale sfera di interessi tramite manifestazioni di volontà (acquisto ed esercizio di diritti, assunzione di obblighi) in grado di incidere, modificandola, sulla propria situazione

giuridica79”.

Il legislatore ha scelto di ancorare ad un dato di carattere meramente formale il riconoscimento in capo alla persona della capacità di porre in essere negozi giuridici e, pertanto, di obbligarsi, optando per un criterio astratto (il compimento dei diciotto anni) in luogo di altro concreto (l’accertamento volta

76 L’art. 428 c.c., ai primi due commi, stabilisce: “gli atti compiuti da persona che, sebbene non

interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore. L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente”.

77 V. MAURINI, L’incapacità naturale, 2002, p. 13.

78 L’art. 2 c.c. non contiene una definizione di capacità legale d’agire, contiene solamente i

requisiti per il suo acquisto.

per volta degli atti rispetto ai quali il soggetto è in grado di orientare il proprio dovere).

La capacità legale d’agire realizza una “rigida cesura”80 tra soggetti

capaci e incapaci d’agire, “spezza la vita umana in due periodi drasticamente

contrapposti”81, il tutto per soddisfare una logica di certezza.

Gli autori parlano di “rigido apriorismo”82 poiché indipendentemente

dalle effettive condizioni psichiche del soggetto, l’ordinamento assegna l’“etichetta” di capace legale al raggiungimento della maggiore età, salvo i casi, oramai divenuti marginali, di interdizione e inabilitazione.

La logica di certezza sottesa alla capacità legale d’agire risponde ad una duplice garanzia: assicura una protezione al minore, all’interdetto e

all’inabilitato escludendo tali soggetti dal compimento di atti che potrebbero risultare a loro pregiudizievoli e allo stesso tempo consente ai terzi di

conoscere a priori le condizioni soggettive in cui versa l’altro contraente. Infatti, chiunque a priori è in grado di conoscere la situazione di questi soggetti a prescindere da un esame concreto del giudice della capacità

intellettiva e volitiva del soggetto.

Come nell’incapacità naturale anche nell’incapacità legale rilevano le esigenze di protezione dell’incapace e il bisogno di sicurezza dei traffici giuridici.

80 F. GIARDINA, Commentario al codice civile, sub. Art. 2., a cura di E. GABRIELLI, 2012,

p. 361ss.

81 Ibidem. 82 Ibidem.

La natura delle due situazioni di incapacità è però diversa: infatti se l’incapacità d’intendere e di volere è una situazione di fatto, l’incapacità legale d’agire è una situazione di diritto.

La diversa natura delle due capacità incide oltretutto sul ruolo che la persona svolge nell’ordinamento.

Il diritto civile fin dall’entrata in vigore della Costituzione considerava l’individuo come un soggetto di diritto, il centro d’imputazione di interessi al quale attribuire la titolarità di situazioni giuridiche soggettive (capacità giuridica) e la possibilità di compiere validamente atti giuridici (capacità d’agire).

Con l’entrata in vigore della Costituzione e l’affermazione dei diritti della personalità la visione precedente viene ribaltata, la persona diviene “il

nucleo centrale di un rinnovato disegno, ispirato all’irrinunciabile rispetto della <<personalità>> dell’uomo”83.

La capacità d’intendere e di volere assegna rilevanza giuridica a tutte quelle situazioni concrete che sfuggono alla logica astratta e formale della capacità legale d’agire, accompagna la persona verso un riconoscimento della sua personalità a prescindere da qualsiasi valutazione aprioristica.

Anche la giurisprudenza si è soffermata sul significato da attribuire all’espressione <<persona incapace d’intendere e di volere>> contenuta nell’art. 428 c.c.

In un primo momento i giudici hanno adottato un criterio restrittivo; “le

cause di alterazione, anche transitorie, compromettevano le facoltà personali, sì da legittimare, ove protratte nel tempo, l’interdizione del soggetto”84.

La giurisprudenza tendeva ad assimilare le condizioni richieste per l’incapacità d’intendere e di volere a quelle previste all’art. 414 c.c., per l’interdizione85.

Oggigiorno invece la tendenza della giurisprudenza è quella di utilizzare un criterio elastico; infatti l’incapacità naturale deriva da qualsiasi causa, persino momentanea, la quale determini un’alterazione psichica tale da “impedire o ostacolare una seria valutazione dei propri atti e la formazione di

una volontà cosciente”86.

L’incapacità naturale risulta pertanto svincolata sia dai presupposti dell’interdizione sia dal concetto di malattia mentale e si insinua, come eccezione, nelle maglie di quel binomio capacità-incapacità d’agire efficacemente rappresentato dagli istituti di interdizione e inabilitazione.

La legge sull’amministrazione di sostegno non è andata ad alterare né la possibile situazione d’incapacità naturale del beneficiario né il binomio

84 V. MAURINI, op. cit., p. 22.

85 V. MAURINI, op. cit., p. 22, dove si afferma che “nelle applicazioni concrete, la sfera di

operatività dell’art. 428 c.c. figurava confinata nell’ambito delle ipotesi in cui lo stato

d’incapacità – qualificato per intensità e gravità ed originato da un’infermità mentale – avrebbe potuto dar luogo ad una dichiarazione d’interdizione se fosse stato connotato altresì

dall’elemento dell’abitualità(…). (…) la protezione dell’incapace naturale continuava ad essere intesa, da giudici e studiosi, quale applicazione del rimedio concesso all’interdetto”.

86 Cass., 8.08.1997, n. 7344, dove si afferma che “non è necessaria una malattia che annulli in

modo totale ed assoluto le facoltà psichiche del soggetto, essendo sufficiente un perturbamento psichico tale da menomare gravemente, pur senza escluderle, le capacità intellettive e volitive, anche se transitorio e non dipendente da una precorsa forma patologica, impedendo o

capacità-incapacità d’agire: semplicemente ha ribaltato il punto di partenza in riferimento alla condizione del disabile87.

La condizione di capacità d’agire del beneficiario rappresenta un momento di civiltà nella tutela delle persone deboli anche se non influisce sulla valutazione concreta delle sue facoltà intellettive e volitive.

La capacità d’agire riconosciuta al beneficiario, ai sensi dell’art. 409 c.c., non inficia sulla sua incapacità d’intendere e di volere; pertanto i vari disagi psichici o psicofisici, che investono i disabili, dovranno essere oggetto di un accertamento concreto del giudice, in linea all’approccio a posteriori che caratterizza sia la capacità naturale che l’amministrazione di sostegno.

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