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La natura della responsabilità e la prova liberatoria

5. Chi è il sorvegliante?

5.1. La natura della responsabilità e la prova liberatoria

Occorre ora soffermarsi anche sulla natura della responsabilità del sorvegliante e sul contenuto della sua prova liberatoria, necessaria per liberarlo dall’obbligo risarcitorio.

L’opinione maggioritaria sia in dottrina che in giurisprudenza è quella che individua nell’art. 2047, 1° comma, c.c., una fattispecie di responsabilità soggettiva per fatto proprio del sorvegliante, il quale può liberarsi dall’obbligo

risarcitorio, provando in giudizio l’assenza di culpa in vigilando nello svolgimento dei suoi doveri di sorveglianza.

I fautori di tale tesi pongono l’attenzione sulla condotta del

sorvegliante, affermando una sua responsabilità diretta, poiché “il sorvegliante

si libera fornendo la prova che il fatto dannoso non poteva essere impedito, malgrado il diligente esercizio della vigilanza impiegata”124.

Come affermato da un autore125, “la responsabilità del sorvegliante presenta tre caratteristiche: è diretta, colpevole e presunta”126.

Il fatto dannoso è compiuto materialmente dall’incapace naturale, tuttavia “sotto l’aspetto giuridico è da ricondurre al soggetto sul quale

incombe un obbligo di sorveglianza e omette“di adottare quelle particolari cure e cautele che si sarebbero invece rese necessarie”127.

Il sorvegliante è chiamato a rispondere di un fatto proprio, che consiste nella negligenza del suo dovere di sorveglianza: è dunque attraverso il

parametro della diligenza che viene valutato il suo comportamento128.

124 M. MANTOVANI, op. cit., p. 84; C. M. BIANCA, op. cit., p. 702; C. SALVI, op. cit., p.

191.

125 M. POGLIANI, Responsabilità e risarcimento da illecito civile, 1964. 126 M. POGLIANI, op. cit., p. 105.

127 Ibidem.

128 Cass. 18.06.1953, n. 1812, in Foro.it., 1953, I, 1432: la novità dell’art. 2047 c.c. non

consiste tanto nell’attribuzione della responsabilità al sorvegliante, dal momento che tale attribuzione “risponde ai comuni criteri per i quali chi ha per legge o per volontaria assunzione di obbligo il dovere di vigilanza e di sorveglianza su persona incapace versa in colpa ed è tenuto al risarcimento de omette o trascura la sorveglianza in guisa che l’incapace possa cagionare danni a terzi. La novità consiste invece nella generalità della presunzione legale di colpa per omessa vigilanza, vincibile soltanto con la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto”.

Negli stessi termini C. M. BIANCA, op. cit., p. 703, dove stabilisce che del fatto dell’infermo di mente risponderà “chi ne ha assunto l’assistenza personale, sempreché si tratti di un fatto ricadente nell’ambito della sorveglianza che risulti necessaria in relazione alle condizioni dell’incapace. La responsabilità del sorvegliante per il fatto dell’incapace è una responsabilità per fatto altrui. Si tratta infatti di una responsabilità che attiene ai danni provocati da persona

La responsabilità del sorvegliante è fondata su una presunzione legale

iuris tantum di colpa.

Pertanto, il danneggiato dovrà fornire in giudizio la prova dell’esistenza del dovere di sorveglianza, mentre incombe sul danneggiante la prova della sua assenza di colpa nell’esercizio dei suoi compiti129.

La colpevolezza consiste nella diligenza richiesta per valutare il

comportamento tenuto, mentre la presunzione di colpa consente al sorvegliante di liberarsi dall’obbligo risarcitorio, fornendo validamente in giudizio la prova liberatoria.

Un autore ha sottolineato come sia più corretto parlare di presunzione di responsabilità anziché di colpa, “dal momento che il sorvegliante è chiamato a

rispondere dei danni cagionati dall’incapace, a prescindere dalla propria colpa”130.

Una parte della dottrina ritiene invece che l’art. 2047, 1° comma, c.c., stabilisce una responsabilità per fatto altrui, poiché il sorvegliante, responsabile dell’obbligo risarcitorio, è chiamato a rispondere di un fatto dannoso cagionato da un soggetto diverso (l’incapace d’intendere e di volere).

diversa dal responsabile. Quest’ultimo risponde tuttavia per una propria colpa, ossia per non aver diligentemente sorvegliato l’incapace. Causa mediata del danno è quindi un fatto del sorvegliante, che però rileva solo in quanto abbia dato luogo al fatto obiettivamente illecito dell’incapace”.

129 Il sorvegliante deve dimostrare di non aver creato o lasciato situazioni di pericolo, tali da

permettere o agevolare il compimento di atti lesivi o di aver adottato tutte le misure necessarie a scongiurare il verificarsi del fatto dannoso.

La responsabilità del sorvegliante, secondo tale tesi, non discenderebbe da una sua colpa, valutata secondo il parametro della diligenza, ma deriverebbe dalla sua posizione o qualifica nei confronti dell’incapace naturale131.

Il sorvegliante è un soggetto “completamente estraneo al fatto

causativo”132 e risponde del danno altrui in virtù della presenza di un rapporto

materiale con l’incapace d’intendere e di volere.

La conseguenza pratica dell’accoglimento di tale tesi si riflette anche sul contenuto della prova liberatoria, che non rimanda al criterio della diligenza ma consiste nella dimostrazione dell’inevitabilità del fatto, della sua

imprevedibilità, alla luce delle circostanze del caso concreto133.

La prova liberatoria che il sorvegliante è tenuto a fornire in giudizio è dunque particolarmente rigorosa poiché “ai fini della responsabilità prevista

dall’art. 2047 c.c., per il danneggiato è sufficiente dimostrare che l’incapace d’intendere e di volere ha cagionato il fatto dannoso al di fuori della sfera di sorveglianza del soggetto ad essa obbligato, mentre incombe su questi l’onere di dimostrare che tale fatto si sarebbe comunque verificato anche se la

sorveglianza fosse stata esercitata e, quindi, che non vi è nesso di causalità tra l’omissione di essa e il fatto dannoso”134.

131 F. D. BUSNELLI, op. cit., parla di “obbligo legale di garanzia”.

132 M. FRANZONI, L’illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da M.

FRANZONI, 2004, p. 597.

133 M. FRANZONI, op. cit., p. 611, afferma che: “l’oggetto della prova (…) non consiste nella

dimostrazione della diligenza o della perizia espletata durante la vigilanza dell’incapace, bensì nella dimostrazione del fatto positivo dal quale è derivato l’evento di danno”.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte è giunto il momento di verificare se l’amministratore di sostegno presenta le caratteristiche proprie del sorvegliante dell’incapace naturale.

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