3. L’amministrazione di sostegno
3.4. Ha ancora senso interdire?
55 C. M. BIANCA, Premessa, in L’amministrazione di sostegno, a cura di S. PATTI, 2005, p.
Ogni riforma deve misurarsi con l’applicazione da parte della giurisprudenza; solo così si può comprendere l’effettiva portata dei suoi contenuti.
Il legislatore del 2004, di fronte alla possibilità di abrogare gli istituti tradizionali e creare un nuovo strumento di protezione dei soggetti “deboli”, il quale andasse a disciplinare tutte le situazioni di disturbo psichico del soggetto, ha deciso di non scegliere, limitandosi ad aggiungere tale misura alle altre e a modificare queste ultime.
L’inerzia del legislatore ha attribuito alla giurisprudenza il compito di definire il ruolo centrale o residuo dell’amministrazione di sostegno, in altre parole il giudice si trova di fronte ad un bivio: applicare l’amministrazione di sostegno nei casi in cui difettino i presupposti dell’interdizione e
dell’inabilitazione, oppure applicare in via generale l’amministrazione di sostegno e in via residuale gli altri istituti.
Nonostante la mancata scelta del legislatore, è possibile, attraverso un’interpretazione sistematica delle norme in materia di amministrazione di sostegno, notare come la generalità dei presupposti (alla stregua dell’art. 404 c.c., della modifica della rubrica dell’art. 414 c.c.56, con il venir meno
dell’automaticità dell’interdizione in presenza di un’infermità mentale grave e abituale e con l’introduzione del criterio dell’adeguata protezione necessario per il provvedimento di interdizione57) siano indici di una trasversalità delle
56 La rubrica del vecchio art. 414 c.c. era: “ Persone che devono essere interdette”, mentre
l’attuale rubrica del medesimo articolo è “ Persone che possono essere interdette”.
57 L’art. 414 c.c. stabilisce che: “ Il maggiore d’età e il minore emancipato, i quali si trovano in
condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”.
misure protettive e di una tendenza a ritenere l’amministrazione di sostegno una tutela a carattere generale.
La possibile coincidenza dei tre istituti ha sollevato, in dottrina e in giurisprudenza, un dibattito circa il criterio da utilizzare al fine di stabilire quale sia la misura di protezione più idonea nei confronti del soggetto infermo di mente.
Nei primi anni dall’approvazione della legge n. 6, la giurisprudenza di merito ha adottato un criterio “quantitativo” basato sulla gravità dell’infermità di mente; i giudici di merito, in presenza di un’infermità di mente grave, abituale e irreversibile propendevano per l’interdizione, viceversa, in presenza di disturbi mentali lievi e recuperabili, l’amministrazione di sostegno era considerato l’istituto più idoneo.
Il Tribunale di Torino in una pronuncia del 2004 stabiliva che: “Il
destinatario del provvedimento di amministrazione di sostegno deve mantenere quanto meno in misura ridotta una propria autonomia e capacità: la Legge n. 6/04 riferendosi ai soggetti privi in tutto o in parte di autonomia
nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, presuppone non già un’incapacità, bensì un’impossibilità dei beneficiari di provvedere ai propri interessi(art. 404 c.c.) da cui di desume che il legislatore abbia avuto a mente fattispecie di impedimento a provvedere ai propri interessi non coincidenti con l’incapacità posta a fondamento dell’interdizione, e abbia quindi disciplinato interventi di sostegno alla persona e non di integrale sostituzione alla stessa (…)”58.
58 Trib. Torino 22.05.04, in Foro.it, 2004, fasc. 10, 8. Dello stesso avviso anche Trib. Roma
18.11.04, in Juris Data 2.05, dove si afferma il principio che “anche l’amministrazione di sostegno presuppone una residua capacità naturale che consenta di compiere autonomamente
Il criterio “quantitativo”, però, era criticato da una parte della dottrina e della giurisprudenza in quanto non rispettoso delle finalità della riforma del 2004 e di quella valorizzazione che la persona disabile aveva ottenuto.
Inoltre, sia l’art. 404 c.c. sia l’art. 427, 1° comma, c.c.59, modificato
dalla riforma, il quale nel disciplinare gli effetti dell’interdizione, esclude l’incapace d’agire dal compimento di qualsiasi atto di natura patrimoniale, ad eccezione di quegli atti di ordinaria amministrazione autorizzati dal giudice con sentenza d’interdizione o provvedimento successivo, non lasciavano
intravedere una prevalenza dell’interdizione nonostante la presenza di un’infermità grave e abituale60.
Altra parte della dottrina e della giurisprudenza ha adottato in passato un criterio basato sulla consistenza e complessità del patrimonio, sostenendo l’applicabilità dell’amministrazione di sostegno tutte le volte in cui la gestione del patrimonio fosse particolarmente complessa; viceversa, nel caso di gestioni
quantomeno gli atti necessari al soddisfacimento delle esigenze di vita quotidiana; di conseguenza l’assoluta incapacità di provvedere autonomamente alle proprie necessità per totale incapacità d’intendere e di volere dovuta ad abituale infermità compromettente le facoltà mentali rende necessaria l’adozione di un provvedimento d’interdizione”.
59 L’art. 427, 1° comma, c.c. stabilisce che: “ nella sentenza che pronuncia l’interdizione o
l’inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell’autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore”.
60 La stessa giurisprudenza di merito in alcune pronunce evidenziava già il ruolo residuale
dell’interdizione, vedi ad esempio Trib. Modena 15.11.04, in Juris Data 2.05., dove si affermava che: “dopo la costituzione della figura dell’amministratore di sostegno,
l’interdizione della persona inferma di mente è divenuta facoltativa e va adottata da parte del giudice solo quando è necessario per assicurare la adeguata protezione dell’infermo di mente, quale rimedio meramente residuale, limitato ai casi in cui l’amministrazione di sostegno delle persone non in grado di provvedere ai propri interessi sia inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario”. Negli stessi termini Trib. Messina 14.09.04.
In Trib. Venezia 13 ottobre 2005, cit.: “La pericolosità della persona non può di per sé essere ritenuta causa di esclusione aprioristica dalla possibilità di utilizzazione preferenziale dell’amministrazione di sostegno anziché dell’interdizione”.
complesse e problematiche l’interdizione, nata come strumento di tutela patrimoniale, risultava la tutela più idonea61.
Il criterio patrimoniale aveva il pregio dell’“oggettività” e della facilità di accertamento da parte dei giudici; il problema, tuttavia, è che la condizione patrimoniale svolgeva il ruolo di criterio discriminante in riferimento anche ai c.d. atti personali62.
L’esclusione dal compimento di tali atti personali, travolti dalla condizione patrimoniale, risultava contraria al principio di uguaglianza sostanziale63.
In alcune decisioni più recenti, la giurisprudenza ha optato per un criterio fondamentalmente basato sulla pregiudizialità della conservazione della capacità d’agire in capo al disabile.
La scelta tra le varie misure protettive, secondo tale orientamento giurisprudenziale, si fonda sui diversi effetti che le due misure comportano nei riguardi del disabile; l’interdizione, anche a seguito delle modifiche
intervenute, considera sempre il disabile incapace d’agire, mentre
61 Secondo parte della dottrina “di fronte ad una situazione patrimoniale particolarmente
florida, e che richieda una gestione svolgentesi in una molteplicità di direzioni (beni immobili, titoli obbligazionari, partecipazioni sociali) lo strumento di tutela più adeguato resterebbe l’interdizione”, R. CATERINA, Le persone fisiche, 2012, p. 55.
Il criterio della consistenza del patrimonio è stato utilizzato anche in giurisprudenza, vedi ad esempio Trib. Roma 10.2.05, dove tra i motivi dell’applicazione dell’amministrazione di sostegno vi è l’attività di gestione del patrimonio poco complessa.
62 In breve per quanto attiene il compimento degli atti personali, l’incapace d’agire a seguito
della sentenza di interdizione veniva escluso dal compimento di questi e con lui anche il suo rappresentante, viceversa, a seguito del provvedimento di amministrazione di sostegno, il beneficiario capace d’agire era legittimato a compiere tali atti, i quali erano in linea alla valorizzazione e al riconoscimento del disabile come persona “normale”.
63 La situazione che si veniva a creare era la seguente: di fronte a condizioni patrimoniali
particolarmente floride il soggetto veniva interdetto ed escluso dalla possibilità, ad esempio di contrarre matrimonio, viceversa, in situazioni opposte l’amministrazione di sostegno non comportava tale esclusione.
l’amministrazione di sostegno parte dal presupposto che il disabile sia sempre capace.
In conseguenza di tali effetti, se la conservazione della capacità d’agire del disabile comporta il rischio che questi sia sottoposto al compimento di una serie di atti a sé pregiudizievoli, la misura protettiva più idonea è senz’alcun dubbio l’interdizione, che dunque diventa una sorta di protezione “passiva” dell’incapace; viceversa, quando l’attività giuridica residua è minima il giudice opta per l’amministrazione di sostegno, rappresentata come una misura
“attiva”, diretta al compimento di tutta una serie di atti individuati dal giudice tutelare.
Il criterio discretivo dei vari istituti dunque è la pericolosità dei danni derivante dal mantenimento della capacità d’agire residuale nel disabile64.
Constatata la molteplicità dei criteri adottati dalla dottrina e dalla giurisprudenza e il problema della delimitazione dei confini tra le varie misure protettive, occorre soffermarsi sulla soluzione fornita dalla Corte
Costituzionale, con la sent. 440 del 2005, in quanto chiarisce la portata effettiva dei vari istituti a tutela dei soggetti c.d. “deboli”.
La Corte Cost. afferma due principi fondamentali:
il principio di gradualità degli istituti di protezione
64 U. ROMA, Commento alla sent. N. 440/2005 della Corte Cost., in N.G.C.C., p. 875,dove si
afferma: “in altri termini, l’ablazione totale o puntuale della capacità di agire non può fondarsi unicamente ( e quasi automaticamente) sulla constatazione della totale compromissione delle facoltà mentali e della titolarità, in capo al disabile, di un complesso patrimoniale più o meno esteso, ma deve conseguire all’accertamento in concreto della <<pericolosità>> che
comporterebbe la conservazione della capacità legale”.
Dello stesso avviso Trib. Pinerolo, 4.11.2004.: “Poiché al centro dell’istituto
dell’amministrazione di sostegno vi sono i bisogni e le aspirazioni della persona (…) nonché le esigenze di protezione della medesima (…), può affermarsi che il beneficiario
dell’amministrazione di sostegno, ove abbia perso la naturale capacità d’intendere e di volere, può sempre conservare la capacità legale d’agire per tutti gli atti il cui compimento, non essendo in concreto attuabile e prospettabile, non può neppure essere pregiudizievole”.
il principio di residualità dell’interdizione e dell’inabilitazione La gradualità delle misure a tutela degli incapaci è rinvenibile
direttamente negli artt. 404, 414 e 415 c.c.
I presupposti ampi e generali dell’amministrazione di sostegno, uniti alla facoltatività dell’interdizione e all’introduzione del criterio dell’adeguata protezione, sono indici della generalità dell’applicazione dell’amministrazione di sostegno anche in presenza di un’infermità di mente grave e abituale65.
La trasversalità sulla quale si collocano le misure protettive deve essere in qualche misura regolata dai giudici e graduata in riferimento alle finalità della legge del 200466, in particolar modo alla dignità e ai diritti fondamentali
della persona.
La gradualità tra interdizione e inabilitazione invece era già prevista all’art. 415 c.c.67, e la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la portata
applicativa delle due misure.
La Cassazione con varie sentenze ha ritenuto che l’inabilitazione è uno strumento da applicare sia nei casi in cui il disabile, in presenza di una
65 In linea alle valutazioni della Corte Cost., vedere Cass. 29.11.06, n. 25366, in Giur. it., 2007,
che riporta il principio della Cass. 12.06.06., n. 13584, ovvero che “il nuovo istituto ha la finalità di offrire a chi si trovi nell’impossibilità, anche parziale e temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minore misura possibile la capacità d’agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti di protezione, quali appunto l’interdizione e la inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla l. n. 6 del 2004. Rispetto a tali istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno” … “va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado d’infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa”.
66 L’art. 1 della legge n. 6/04 stabilisce: “la finalità di tutelare, con la minore limitazione
possibile della capacità d’agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.
67 L’art. 415 c.c. stabilisce al primo comma che: “il maggiore d’età infermo di mente, lo stato
infermità mentale lieve, mantenga la capacità di compiere atti della vita quotidiana, la capacità di relazionarsi con l’esterno e di compiere atti di modesto contenuto patrimoniale, sia nei casi in cui l’infermità mentale lieve determini un’incapacità parziale a curare i propri interessi68.
L’interdizione, sempre secondo la Cassazione, deve essere applicata in presenza di un’incapacità a provvedere non solo ai propri interessi di natura patrimoniale, ma anche a tutti gli atti della vita civile69.
Il principio di gradualità delle misure protettive è direttamente collegato alla residualità dell’interdizione e dell’inabilitazione, infatti, anche se
l’amministrazione di sostegno è la misura protettiva capace di ricomprendere al suo interno un ampio ventaglio di situazioni di disabilità, vi sono dei casi in cui è l’interdizione la tutela più adeguata a soddisfare le esigenze degli infermi di mente.
La Corte Cost., partendo dall’assunto che l’interdizione è divenuta facoltativa e si applica solo laddove assicuri all’infermo di mente un’adeguata protezione, rigetta i vari criteri adottati dalla giurisprudenza, per adottare un criterio “aperto” di valutazione delle circostanze del caso concreto e un approccio casistico alle diverse situazioni che si possono presentare70.
68 Il riferimento è a Cass. 28.06.94, n. 6203, dove si applica l’inabilitazione nelle situazioni in
cui l’infermo di mente abbia “la capacità di provvedere alla cura della propria persona, di svolgere i propri rapporti personali e di compiere atti di modesto contenuto patrimoniale”; inoltre, in Cass. 11.02.94, n. 1388, l’inabilitazione viene preferita in presenza “di
un’alterazione delle facoltà mentali in un grado tale da determinare un’incapacità parziale di curare i propri interessi”.
69 Cass. 21.11.91, n. 11131, si afferma che l’interdizione deve essere applicata quando il
soggetto si trova nell’incapacità di provvedere “non solo agli affari di indole patrimoniale, ma anche a tutti gli atti della vita civile, sempre che si tratti di interessi suscettibili di essere pregiudicati attraverso atti giuridici”.
70 Cass. 22.04.2009, n. 9628, si afferma che il criterio adottato dalla giurisprudenza deve essere
composito, la scelta dipenderà non solo sulla tipologia di attività da svolgere o sull’entità del patrimoniale della gestione assistita, ma anche su criteri non predeterminabili in astratto, la cui
Insieme al rigetto del criterio “quantitativo” vi è l’adozione di un criterio “funzionale”; infatti la maggiore considerazione della persona e dei suoi valori prevista dalla legge del 2004, inducono a relegare ad un ruolo meramente marginale l’istituto dell’interdizione, senza che questa perda comunque la sua autonomia ed esistenza.
Anche il legislatore, tuttavia, aveva già sottolineato la residualità dell’interdizione, con riferimento all’art. 413 c.c.71 dove il giudice, quando
ravvisi l’inidoneità dell’amministrazione di sostegno a provvedere alla soddisfazione degli interessi del disabile, provvede ad una pronuncia di interdizione.
L’interdizione, dunque, nonostante la sua disapplicazione di fatto da parte dei giudici, non è del tutto scomparsa dall’ordinamento ma continua a svolgere un ruolo importante, seppur marginale, nella tutela della persona incapace d’agire72.
valutazione viene demandata di volta in volta al prudente apprezzamento del giudice in relazione alle concrete esigenze della persona.
71 L’art. 413, 4° comma, c.c., stabilisce che: “il giudice tutelare provvede altresì, anche
d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell’amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda”.
72 Cass. 29.11.06., n. 25366, afferma che: “ad un’attività minima, estremamente semplice, e
tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto, ed, in definitiva, ad una ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità dell’interessato, corrisponderà l’amministrazione di sostegno, che si fa preferire non solo sul piano pratico, in considerazione della maggiore snellezza della procedura, ma altresì su quello etico-sociale, per il maggior rispetto della dignità dell’individuo che essa sottende, in considerazione alle più invasive misure della inabilitazione e dell’interdizione, le quali attribuiscono uno stato d’incapacità, concernente, nel primo caso, il soggetto che, per essere interdetto, dovrebbe essere affetto da infermità mentale, che gli impedisca di provvedere ai propri interessi”.
Il criterio per valutare l’adeguatezza della misura interdittiva deve essere necessariamente “aperto” spettando alla valutazione del caso concreto del giudice l’applicazione o meno della misura.
Successivamente alla pronuncia della Corte Cost. anche la giurisprudenza di legittimità ha provveduto ad allinearsi a tale sentenza, condannando senza appello il criterio “quantitativo” e propendendo per quello “funzionale” al soddisfacimento degli interessi del disabile con la minor limitazione possibile della sua capacità d’agire.
Una sentenza della Cass. del 200973 ha contestato anche il criterio della
pericolosità derivante dal compimento di atti giuridici da parte del soggetto capace d’agire, arrivando a stabilire come anche un provvedimento di
amministrazione di sostegno possa alla luce delle concrete circostanze risultare lo strumento più idoneo alla cura degli interessi della persona.
Alla luce delle considerazione fin qui esposte è possibile trarre alcune conclusioni finali; in primis è possibile notare come l’amministrazione di sostegno sia, per la maggiore snellezza della procedura e per il rispetto della persona disabile e della sua dignità, divenuto il principale strumento a tutela dei soggetti disabili.
In secondo luogo è possibile evidenziare come l’interdizione sia rimasta come extrema ratio di fronte a circostanze tali da non permettere di considerare sufficiente l’amministrazione di sostegno; infine, l’inabilitazione ha oramai
73 Cass. 22.04.09, n. 9628, dove si pone l’accento sulle potenzialità applicative
dell’amministrazione di sostegno, infatti, si dimostra l’idoneità di questa a far fronte a tutte le attività che il beneficiario deve compiere, chiarendo che non solo il tutore può essere investito di poteri idonei ad evitare al soggetto i pregiudizi di natura patrimoniale, ma che anche con il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno si può limitare il ventaglio delle iniziative negoziali autonome potenzialmente pregiudizievoli al soggetto capace d’agire.
perso la sua rilevanza, ed è comune opinione quella dell’opportunità di una sua abrogazione.
Per rispondere all’interrogativo in riferimento al significato da attribuire all’interdizione, è necessario constatare che nonostante l’interdizione sia ancora uno strumento che mantiene un suo ambito di applicabilità e una sua autonomia, è da auspicare un’abrogazione sia di questa che dell’inabilitazione, in quanto oggi sembrano maturi i tempi per poter procedere a quella scelta radicale che non è stata fatta dal legislatore del 2004.
L’amministrazione di sostegno: la
responsabilità civile per il danno cagionato
ai terzi
1. Premessa
La valorizzazione della persona bisognosa di protezione e il suo
riconoscimento come soggetto a pieno titolo sono le principali novità introdotte dalla legge n. 6 del 2004.
Tale legge presenta tuttavia alcune “note dolenti” con riferimento alla responsabilità civile del beneficiario per il fatto dannoso provocato ai terzi.
La bozza Cendon agli artt. 40 e 41, nell’ottica di nuove esigenze di protezione e di responsabilizzazione del beneficiario, auspicava una modifica delle norme codicistiche in materia di responsabilità extracontrattuale a seguito delle indicazioni provenienti dalla scienza psichiatrica.
La legge n. 6 del 2004 non recepisce tale proposta, crea una lacuna che viene colmata attraverso l’applicazione analogica degli artt. 2046 e 2047 c.c.
Al fine di correttamente analizzare l’ipotesi della responsabilità in capo al beneficiario dell’amministrazione di sostegno per un danno ingiusto nei
confronti dei terzi, è necessario partire dalla verifica della sua condizione di imputabilità, poiché qualora si dovesse ritenere imputabile, sarà lo stesso beneficiario ad essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2043 c.c.; viceversa la responsabilità potrà ricadere sul sorvegliante-amministratore, ai sensi dell’art. 2047, 1° comma, c.c.
Nell’ipotesi in cui si accerti la condizione di non imputabilità, occorrerà verificare se l’amministratore abbia tutti i requisiti necessari per essere
considerato un sorvegliante del beneficiario.
L’obiettivo del capitolo è quello di ricostruire la nozione di imputabilità per adattarla al beneficiario dell’amministrazione di sostegno e
successivamente accostare la figura del sorvegliante a quella