94 Cass. 26.06.01, n. 8740, afferma che: “il giudice non può limitarsi a tener presente l’età
dell’autore del fatto, ma deve anche considerare lo sviluppo intellettivo, quello fisico, l’assenza di eventuali malattie ritardanti, la capacità del minore di rendersi conto della illiceità della sua azione e la capacità del volere con riferimento all’attitudine di autodeterminarsi”.
95 A tal proposito A. DE CUPIS, Il danno: teoria generale della responsabilità civile, Vol. 1,
Per chiarire quale sia il rapporto tra imputabilità e colpevolezza è opportuno fornire alcune brevi considerazioni generali sulla funzione delle norme di responsabilità civile.
Le norme in materia di responsabilità civile sono state a lungo
influenzate dalla legislazione penalistica, pertanto nei primi anni di vigenza del codice civile la loro funzione era sanzionatoria.
L’intento del legislatore era quello di punire la condotta del danneggiante in ossequio al principio del neminem laedere.
L’entrata in vigore della Costituzione e il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo hanno provocato un ribaltamento di prospettiva; infatti ai fini del risarcimento del danno viene meno l’aspetto sanzionatorio della
condotta del danneggiante e assume rilievo la riparazione del danno ingiusto patito dal danneggiato.
Tale “rivoluzione copernicana” ha inevitabilmente provocato anche un mutamento della funzione della responsabilità civile; infatti da una funzione sanzionatoria si è passati ad una funzione riparatoria96.
Il cambiamento della funzione ha inciso in maniera significativa sul concetto di colpa, quale fondamento della responsabilità stessa, e sul suo rapporto con l’imputabilità.
La colpa, il principale criterio d’imputazione della responsabilità civile, può essere considerata in una duplice prospettiva:
colpa soggettiva (o psicologica) colpa oggettiva (o normativa)
96 In proposito C. SALVI, op. cit., 2005 e F. D. BUSNELLI, voce Illecito civile, in Enc. giur.,
Giova rammentare che la colpa soggettiva è “lo stato d’animo
riprovevole dell’autore del danno, il quale, per difetto o carenza sotto il profilo intellettivo o volitivo, abbia cagionato un pregiudizio altrimenti prevenibile”97.
La concezione psicologica della colpa, fortemente legata alla visione sanzionatoria della responsabilità civile, è stata, per molti anni, quella
predominante; infatti, “lo stato d’animo difforme da quello che suole ricorrere
negli individui provvidi ad evitare i danni”98 integrava gli estremi di un
comportamento colposo.
La colpa era la capacità in concreto che doveva essere accertata caso per caso nei confronti di chi non aveva ancora raggiunto un’età che
comportasse un minimo di raziocinio o chi, di fatto, era manifestamente incapace d’intendere e di volere e non poteva essere considerato responsabile del fatto commesso.
Le trasformazioni della società, il suo progresso da un punto di vista scientifico e tecnologico e l’emergere di nuove situazioni di danno bisognose di risposte giuridiche hanno contribuito ad elaborare il concetto di colpa oggettiva.
Infatti, autorevole dottrina ha affermato: “Ricondotta la colpa ad una
nozione oggettiva, quale non conformità ad un obiettivo modello di
comportamento diligente, deve invece ammettersi che anche il comportamento dell’incapace è suscettibile di essere qualificato colposo”99.
97 U. RUFFOLO, Colpa e responsabilità, in Trattato di diritto civile, a cura di N. LIPARI e P.
RESCIGNO, IV, 2009, p. 68.
98 A. DE CUPIS, op. cit., 1979, p. 140.
Oggi è largamente prevalente la concezione che deduce la colpa non da un giudizio di riprovevolezza soggettiva del comportamento dell’agente ma dal rapporto tra il comportamento dannoso verificatosi e quello richiesto in via generale dall’ordinamento nelle medesime circostanze100.
La concezione normativa della colpa ha consentito di estendere la responsabilità anche a soggetti che prima venivano automaticamente esclusi da ogni tipo di risarcimento dei danni.
L’elaborazione della concezione normativa della colpa è anche la causa principale del rapporto di reciproca autonomia tra imputabilità e colpevolezza.
Per chiarire il rapporto tra imputabilità e colpevolezza sono state elaborate tre teorie:
teoria che identifica l’imputabilità con la colpa;
teoria che considera l’imputabilità come l’attitudine (o il presupposto) della colpa;
rapporto di reciproca autonomia tra l’imputabilità e la colpevolezza.
I fautori della prima teoria sostengono che il comportamento dannoso tenuto da un soggetto non imputabile non può essere qualificato come colposo, in virtù della concezione psicologica della colpa.
La conseguenza pratica è che non ci sono casi di soggetti che versino in colpa ma non siano imputabili; “l’imputabilità non sarebbe altro che
l’attribuibilità ad un determinato soggetto di una condotta colposa”101.
100 I c.d. standards di condotta.
101 M. ROSSETTI, Commentario al codice civile, sub. Art. 2046, a cura di E. GABRIELLI,
L’identificazione tra imputabilità e colpevolezza comporta una
tendenziale esclusione di quest’ultima nelle ipotesi in cui l’evento dannoso sia commesso da un’incapace d’intendere e di volere, in virtù della semplice mancanza dell’imputabilità.
Una seconda teoria afferma invece che l’imputabilità è l’attitudine o il presupposto della colpa102.
I fautori di tale teoria distinguono all’interno della colpa due
componenti: una oggettiva che attiene alle deviazioni dalle regole di condotta e una soggettiva che coincide con la nozione di imputabilità.
L’imputabilità è dunque considerata un elemento intrinseco della colpa, senza il primo non si verificano gli estremi di un comportamento colposo.
Alla base di tale teoria vi è senza dubbio la concezione psicologica della colpa, pertanto un soggetto incapace d’intendere e di volere non può tenere comportamenti colposi.
Come è stato autorevolmente sostenuto, invero,“tra capacità
(d’intendere e di volere) e colpa si suole individuare un nesso di
pregiudizialità, affermando che la colpa esiste solamente se il soggetto, essendo capace d’intendere e di volere, sia passibile di un giudizio di riprovazione morale”103.
102 Di attitudine alla colpa parla A. DE CUPIS, op. cit., 1979, mentre di presupposto della colpa
G. QUAGLIARIELLO, Sulla responsabilità da illecito nel vigente codice civile, 1957. M. COMPORTI, op. cit., in riferimento all’attitudine alla colpa parla di “comportamento contrario al canone di diligenza richiesto nei settori delle attività umane”, mentre con riferimento al presupposto della colpa afferma che l’imputabilità sia una “qualificazione personale che condiziona la responsabilità piena dei soggetti per i danni ingiusti prodotti”.
All’interno della colpa rimane soltanto l’elemento oggettivo, ovvero il collegamento materiale tra l’azione e l’evento, perché “il soggetto non ha
voluto in quanto non poteva volere o ha voluto ma non ha preveduto perché non poteva prevedere”104.
La Cassazione in una sentenza del 2005 ha affermato che “la colpa (…)
presuppone l’imputabilità”105, dunque sembrerebbe possibile ritenere che tale
teoria non sia del tutto superata.
In realtà, oggi si tende ad accogliere la terza teoria che afferma un rapporto di reciproca autonomia tra imputabilità106 e colpevolezza.
L’imputabilità non si risolve nella colpevolezza “sotto un duplice
profilo e cioè per la diversa funzione che assolvono nel meccanismo normativo e perché il loro abbinato non costituisce una costante del nostro sistema legislativo civile”107.
Per stabilire la natura colposa di un comportamento rilevano elementi oggettivi, quali la natura dell’attività lesiva e del bene, ma anche elementi soggettivi, quali le caratteristiche personali dell’agente al fine di evitare di paragonare i comportamenti tenuti dai soggetti “deboli” con quelli di un soggetto c.d. “normale”.
104 G. QUAGLIARIELLO, op. cit., 1957, p. 25. 105 Cass. 10.02.2005, n. 2704, in Danno e resp., 2005.
106 C. SALVI, op. cit., p. 157, dove si afferma che il giudizio sulla colpevolezza mira ad
accertare “la difformità oggettiva del comportamento concreto da un parametro di valutazione sociale”, mentre l’indagine sull’imputabilità è necessaria “al fine di ricondurre il
comportamento medesimo alla sfera soggettiva di chi lo ha posto in essere”.
107 M. COMPORTI, op. cit., p. 62. Vedi anche L. DEVOTO, L’imputabilità e le sue forme nel
Per giustificare tale tesi è stata elaborata la nozione di colpa oggettiva, quale difformità da una regola generale di condotta; infatti anche un soggetto non imputabile può tenere comportamenti difformi dagli standards previsti in via generale dall’ordinamento108 e versare in colpa.
La Cassazione con numerose pronunce ha oramai adottato tale
principio, che può essere riassunto nella massima di una sentenza del 2006: “la
non imputabilità non esclude la colpevolezza”109.
Concludendo, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in alcune situazioni essere un’incapace d’intendere e di volere, pertanto in conseguenza di un fatto dannoso che produce un danno ai terzi, non è corretto parlare di illecito, poiché il disabile non è imputabile; nonostante ciò il suo comportamento può essere qualificato come colposo, alla stregua
dell’autonomia che caratterizza l’imputabilità e la colpevolezza.
La non imputabilità del beneficiario fa sorgere l’interrogativo di chi sia il soggetto responsabile nei confronti dei terzi.
L’ordinamento stabilisce, ai sensi dell’art. 2047, 1° comma, c.c., la responsabilità del sorvegliante dell’incapace naturale, pertanto occorrerà dimostrare se l’amministratore di sostegno, tra i suoi compiti attinenti alla cura della persona e del patrimonio del beneficiario, potrà essere considerato un sorvegliante dell’incapace.
108 M. COMPORTI sottolinea tuttavia come sia possibile giustificare la teoria che considera
l’imputabilità come attitudine alla colpa anche optando per la concezione normativa della colpa, poiché “anche la concezione oggettiva della colpa come inosservanza dei parametri di diligenza misurati secondo criteri sociali e tecnici nelle varie attività, determina comunque una imputabilità morale dell’agente, in relazione ai suoi doveri di condotta ed al comportamento che egli avrebbe dovuto tenere per evitare il danno. Ed è evidente che se il soggetto non aveva la capacità naturale, egli non era in grado di autodeterminare le proprie azioni”, in Fatti illeciti: le responsabilità presunte, 2012, p. 66.