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La capacità contributiva, l’equità orizzontale e il confronto tra gli individu

LA TASSAZIONE SUGLI IMMOBILI 1 Il sistema impositivo italiano

3. I criteri di ripartizione del carico tributario

3.5. La capacità contributiva, l’equità orizzontale e il confronto tra gli individu

Dal principio della capacità contributiva si deduce che tutte le persone che hanno la medesima capacità contributiva devono pagare la stessa imposta; posto però che l’eventualità in cui tutti gli individui siano nella stessa identica condizione economica, rappresenta un’ipotesi del tutto irreale, è necessario innanzitutto riflettere in merito a cosa effettivamente significa avere la medesima capacità contributiva.

                                                                                                                         

146 Leccissotti M. (2007), op.cit., p. 86. 147 Cosciani C. (1990), op.cit., p.393. 148 Cosciani C. (1990), op.cit., p. 393.

Si dovrebbe, in altri termini, identificare un unico indice, un parametro idoneo a misurare e confrontare detta capacità, onde realizzare l’idea del trattamento uguale per soggetti uguali postulata dal principio dell’equità orizzontale.

Il significato di capacità contributiva è innanzitutto generalmente interpretato come capacità con riferimento alle disponibilità monetarie, probabilmente perché anche la stessa imposta è pagabile in moneta; ma si riconosce che non è questo il solo indice immaginabile della capacità149. Al fine di identificare un parametro idoneo alla misurazione e al confronto, gli indici generalmente accettati sono il reddito, il consumo e il patrimonio150, ma sorgono delle difficoltà tecniche di stima nel caso in cui tutti gli individui non avessero combinati questi tre elementi nella medesima proporzione, sia pure a livelli diversi.

Ci si chiede cioè come si debba identificare il peso da attribuire a ciascuno di questi indici (reddito, consumo, patrimonio) per ottenere un unico metro da impiegare nella comparazione.

Tale questione è stata in parte superata dal riconosce che la scelta dell’indice di detta capacità contributiva è strettamente legata allo stato di sviluppo del sistema economico ed all’organizzazione della società. Perciò si può affermare che dallo sviluppo della società capitalistica, in seguito all’accresciuta importanza del reddito da lavoro o da impresa rispetto a quelli derivanti da proprietà, l’indice della capacità contributiva in misura prevalente è stato individuato nel reddito.

Ma se anche si assume come indicatore della capacità contributiva il reddito, la questione dell’identificazione di un corretto indice non è risolta, in quanto si presenta il problema della sua definizione.

Nel dettaglio quindi si ritiene che il concetto ed i limiti del reddito imponibile, sul quale si commisura l’imposta, sono considerati un metro destinato a misurare la capacità contributiva del soggetto, nel senso che se detta capacità di un soggetto consiste nella sua possibilità di soddisfare un certo tenore di vita, si deve ritenere che un determinato processo economico                                                                                                                          

149 Stamp J.,(1934), op.cit., p. 399 150 Cosciani C.(1990), op.cit., p. 394.

(flusso derivante da una fonte produttiva, plusvalore patrimoniale, arricchimento occasionale, ecc.) concorra a formare o meno il reddito imponibile a seconda che influisca o meno (e nei limiti in cui influisce) sulla capacità contributiva, cioè sul benessere dell’individuo151.

In definitiva, posto che il concetto di reddito imponibile “è strettamente legato a criteri di equità”, ne consegue che la sua definizione è funzione dei criteri di equità dominanti in un certo momento e pertanto si può affermare che la concezione di reddito da assumere quale base imponibile per la qualificazione della capacità contributiva degli individui dipende da giudizi arbitrari e mutevoli come qualsiasi giudizio di valore.

È da questa considerazione che derivano sia le numerose discussioni tra gli economisti, sia la varietà delle soluzioni legislative adottate, circa il concetto e la definizione di reddito.

Una prima precisazione vede la contrapposizione tra il concetto di reddito effettivo (ovvero “il reddito che il contribuente ha nella realtà conseguito152) e quello di reddito normale (o medio, che “un individuo può ottenere”153). Tuttavia, la concezione di reddito come entrata o consumo, inteso quale indice della capacità di un individuo di contribuire alla spesa pubblica, sembra riflettere in maniera più soddisfacente l’incremento di potere di un individuo di soddisfare i propri desideri in un determinato periodo; tale idea di reddito, infatti, indica l’incremento in un determinato periodo nel potere di un individuo di soddisfare i propri desideri154.

In altre parole il concetto di reddito come entrata è dato dalla differenza tra il valore patrimoniale di tutti i cespiti posseduti da un soggetto all’inizio del periodo economico ed il valore patrimoniale di tutti i cespiti posseduti alla fine del periodo stesso, differenza aumentata dell’ammontare dei consumi avvenuti nel periodo stesso155.

Esiste poi nella letteratura e nella pratica un contrasto tra quanti preferiscono tassare, in una forma più o meno completa, l’incremento nella ricchezza di un individuo in un certo lasso di tempo, quello effettivo o                                                                                                                          

151 Cosciani C.(1990), op.cit., p. 444.

152 Leccissotti M., Bernasconi M.(1994), op.cit., p. 341. 153 Leccissotti M., Bernasconi M. (1994), op.cit., p. 341. 154 Leccissotti M. (2007), op.cit., p.91.

quello potenziale (ovvero normale), e quanti ritengono, invece, più equo e giusto tassare il consumo di beni, e cioè la spesa.

In quest’ultimo caso si parla quindi di reddito consumato inteso come quel reddito determinato esclusivamente dal consumo effettuato nel periodo d’imposta”156; tale concezione di reddito viene presa in considerazione nella determinazione della base impositiva, in ragione del fatto che si ritiene che l’imposta sulla spesa può costituire un miglior indice della capacità contributiva, che in tal senso viene intesa come capacità di spesa, e cioè la capacità o potere che un individuo ha di soddisfare i propri bisogni.

Pertanto, da un lato si osserva che un’imposta basata sulla spesa effettiva valuta la capacità di spesa di un qualsiasi individuo secondo l’unità di misura che egli applica a se stesso; dall’altro si puntualizza che la spesa offre un indice altrettanto arbitrario della capacità di spesa di un soggetto, in quanto l’equità orizzontale sarebbe rispettata da un’imposta sulla spesa soltanto qualora la spesa fosse proporzionata alla capacità di spesa157. Esiste infine una questione che riguarda il patrimonio inteso come “il valore attuale dei redditi futuri”; data questa definizione reddito e patrimonio rappresenterebbero essenzialmente “due facce della stessa medaglia”.

Tuttavia appare logico ritenere che il patrimonio offra di per se’ stesso un indice della capacità contributiva, in aggiunta al reddito poiché esso arrecherebbe una utilità indipendentemente dai redditi che produce, per il potere, il prestigio e l’immediata disponibilità di cui gode il proprietario. L’evoluzione storica e concettuale della nozione di reddito e il contrasto esistente in merito a quale sia l’indice da assumere quale base imponibile, rappresentano un chiaro indice che il concetto di capacità contributiva non ha un contenuto costante nel tempo ed unanimemente accolto, ma al contrario varia in maniera sensibile sia nella legislazione e nel comune modo di intendere, sia fra gli studiosi.

                                                                                                                         

156Leccissotti M., (2007), op.cit., p. 91 157Leccissotti M., (2007), op.cit., p. 92.

3.6. La capacità contributiva, l’equità verticale e