LA TASSAZIONE SUGLI IMMOBILI 1 Il sistema impositivo italiano
1.1. Un quadro storico
Il sistema tributario è quell’insieme di norme e strumenti atti a disciplinare il pagamento dei tributi previsti dalla legge a favore dello stato o di un ente pubblico. L’imposizione fiscale, oltre a garantire i mezzi economici per finanziare la spesa della pubblica amministrazione, è lo strumento di cui si serve lo Stato per reperire i fondi utili a promuovere lo sviluppo e un’equa distribuzione del reddito tra i cittadini.
All’atto dell’Unificazione, il sistema tributario piemontese fu esteso all’intero Stato, in quanto era più moderna e vicina ai paesi europei: le entrate erano principalmente costituite da imposte dirette reali sui beni immobili e mobili (sui redditi dei terreni e dei fabbricati) e da imposte indirete (di bollo, di registro, sui consumi).
All’inizio del Novecento l’economia era arretrata, il sistema tributario era costituito da molte imposte, non coordinate fra loro, in prevalenza reali e proporzionali, con alte aliquote e quindi scarsamente elastiche: le imposte dirette davano un gettito modesto, mentre le indirette erano spesso finalizzate a scopi protezionistici.
Nel 1919 il progetto del parlamentare Filippo Meda, che non fu trasformato in legge a causa del fascismo: prevedeva una riforma generale delle imposte dirette sui redditi (con l’istituzione di un’imposta proporzionale sui redditi e un’imposta complementare progressiva con aliquota dall’1 al 25%).
Nel 1923 con la riforma De Stefani80 fu introdotta l’imposta personale progressiva sul reddito complessivo (“complementare”) e un’imposta
80 Alberto De Stefani (Verona, 6 ottobre 1879 – Roma, 15 gennaio 1969) è stato un
generale sugli scambi commerciali, sostituita nel 1940 dall’IGE, cioè l’imposta generale sull’entrata, assicurando con questo un gettito ingente, che contribuì al finanziamento delle enormi spese di guerra.
Con la riforma Vanoni81 nel 1951 venne introdotto l’obbligo della dichiarazione annuale dei redditi delle persone fisiche che si proponeva di porre su nuove basi il rapporto fra cittadino e fisco riducendo le aliquote su alcune imposte allo scopo di diminuire l’evasione, e introducendo l’imposta sulla società nel 1954 , riformando la finanza locale nel 1952. Era il primo avvivo di un ampio rinnovamento.
Negli anni 1950-60 il sistema tributario italiano presentava molti punti deboli:
• numero eccessivo di tributi scarsamente coordinati tra loro. • prevalenza delle imposte indirette sulle dirette.
• massiccia evasione fiscale a causa di alte aliquote.
• scarsa trasparenza, scarso coordinamento fra finanza centrale e finanza locale.
• scarsa manovrabilità del sistema ai fini della stabilizzazione. • insufficiente armonizzazione con i Paesi comunitari.
Nel 1971, il Governo ottenne una delega legislativa (legge delega n. 825) per attuare un ampio piano di rinnovamento fiscale, che si concretizzò nella Riforma tributaria del 1972-73.
Tale riforma segnò un passo indietro, non solo rispetto alla situazione preesistente ma anche rispetto alle aperture del decentramento finanziario presenti in misura notevole già nella stesura originaria del Titolo V della Costituzione.
Infatti, con la riforma furono attribuiti alle Regioni e alle Provincie tributi di poco conto e al contrario, per esigenze di coerenza interna e di compatibilità comunitaria, furono eliminati tributi comunali di grande rilievo, non solo per l’entità del gettito (ad esempio imposte sui consumi e sui dazi) ma altresì per la funzione che svolgevano nel quadro della politica fiscale del Paese (si pensi all’imposta di famiglia). Ciò era per lo più giustificato dal
81 Ezio Vanoni (Morbegno, 3 agosto 1903 – Roma, 16 febbraio 1956) è stato un economista
e politico italiano. È stato Ministro delle Finanze (1948-1954) e del Bilancio (1954-1956) in parecchi Governi De Gasperi.
sopravvento delle Regioni a statuto ordinario (disposto con legge n. 281 del 1970) che aveva generato il trasferimento di funzioni dallo Stato alla Regioni e da queste agli enti locali provocando nel bilancio di questi ultimi un grande squilibrio tra entrate e uscite che veniva superato con sistematici trasferimenti statali.
A causa di questa drastica riduzione di poteri impositivi, gli uffici tributari istituiti dagli enti locali divennero esuberanti rispetto alle esigenze da soddisfare.
Sebbene la legge statale attribuisse in tutto o in parte agli enti locali il gettito di alcuni tributi ne manteneva saldamente la gestione nelle mani dello Stato intervenendo solo in un secondo momento con provvedimenti di carattere solo nominalmente provvisori per differire sine die il momento della devoluzione del gettito agli enti locali. A questo proposito è di esempio l’esperienza dell’Imposta Locale sui Redditi (ILOR) e dell’Imposta comunale sull’Incremento di Valore degli Immobili (INVIM), nate entrambe come tributi di natura locale ma che, con norme successive alla loro istituzione, sono state devolute allo Stato.
Nel processo che ha introdotto maggiori elementi di decentramento nel sistema delle autonomie locali delineato dalla riforma tributaria del 1971 ha avuto certamente un ruolo di rilievo la legge 8 giugno 1990, n. 142. La portata innovativa della legge è legata a una forte affermazione del principio di autonomia a favore delle Provincie e dei Comuni, che in materia tributaria è stato espresso nell’attribuzione a detti enti di maggiori spazi di autonomia finanziaria (art.2 e 54) e di potestà impositiva (art. 54, comma 3). In altri termini, con detta legge si supera il concetto di subordinazione rispetto allo Stato di Provincie e Comuni, questi ultimi infatti conquistano una loro autonomia fondata sul potere di autodeterminazione finalizzato al raggiungimento di interessi generali relativi al loro territorio.
Infine, appare opportuno ricordare che il decreto legislativo n. 56 del 2000 ha dato attuazione a un sistema di federalismo fiscale parallelo al processo di decentramento amministrativo.
Tuttavia, in concreto tale decreto non ha prodotto risultati in linea con le aspettative: non è stato garantito quell’automatismo nella ripartizione delle
risorse fra il centro e la periferia che avrebbero dovuto esaltare l’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali mediante la certezza di entrate finanziarie adeguate rispetto alle esigenze di spesa.
La revisione del sistema dei tributi comunali costituisce poi uno dei tasselli fondamentali della legge n. 42/2009 poiché le intenzioni del legislatore erano di attribuire ai Comuni un’effettiva autonomia di entrata e di spesa responsabilizzandoli nell’utilizzo delle risorse pubbliche e riducendone la dipendenza dai trasferimenti statali.
Un passo importante in tale direzione, come abbiamo già detto nel precedente capitolo, è stato compiuto con l’approvazione del D.Lgs 14 marzo 2011, n. 23, sul c.d. federalismo fiscale municipale, destinato ad incidere sul sistema impositivo dei Comuni.