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Il principio del beneficio o della controprestazione

LA TASSAZIONE SUGLI IMMOBILI 1 Il sistema impositivo italiano

3. I criteri di ripartizione del carico tributario

3.1. Il principio del beneficio o della controprestazione

Il principio del beneficio (o della controprestazione)118 , applicato all’imposta, richiede una precisa corrispondenza fra l’onere tributario e il beneficio arrecato al contribuente dalla spesa pubblica119.

In sintesi questa teoria c.d. “delle controprestazioni”, sì da evidenziare che l’imposta deve trovare il suo equivalente nei servizi pubblici, è detta anche “del beneficio” ad indicare che il contribuente deve ricavare dai servizi pubblici un beneficio almeno uguale al sacrificio sopportato, al costo delle imposte. Ciò significa che l’imposta dovrebbe essere comparata al beneficio che il singolo contribuente riceve dai beni e dai servizi pubblici; e tale corrispondenza costo-beneficio determina il prezzo ovvero l’imposta che l’individuo è disposto a sostenere.

In altre parole, l’ipotesi fondamentale per sostenere l’equità di questo principio della ripartizione degli oneri pubblici è che l’imposta non è altro che un prezzo pagato per usufruire di certi beni e servizi, e come tale deve seguire le regole del mercato120.

Inoltre, questo principio trova ampia diffusione col sorgere dell’economia classica, come estensione del principio politico della supremazia dei diritti individuali su quelli della sovranità statale; è proprio questa idea, infatti, che porta logicamente ad affermare, nel campo economico a fianco di quello politico, che il sistema dell’economia di mercato è il solo che assicura la libertà delle scelte individuali: in questo schema l’imposta si configura come un prezzo destinato a massimizzare la soddisfazione del consumatore di beni e servizi pubblici, alla luce di una riconosciuta stretta connessione tra costo e utilità del bene pubblico121.

Posta tale premessa logica appare naturale che le imposte, essendo pagate affinché lo Stato provveda a certi pubblici servizi, debbano essere ripartire

                                                                                                                         

118 Rosen S.H. (2007), Scienza delle finanze, Milano, pp. 37-38.

119 Leccissotti M., Bernasconi M. (1994), La nozione di “capacità contributiva”, in Riv,.

dir. fin.e sc. fin., n.3 p. 339.

120 Cosciani C. (1990), op.cit., p. 391. 121 Cosciani.C. (1990), op.cit., p. 391

in modo che i cittadini siano gravati da imposte nella misura in cui traggono beneficio dai pubblici servizi122.

È intuitivo ritenere che detto principio può essere applicato – senza originare particolari problematicità – a singoli progetti di spesa divisibili di cui siano chiaramente individuati i beneficiari123.

Dunque, è possibile applicare il principio della controprestazione ovvero del beneficio quando la prestazione di un servizio pubblico si manifesta nei confronti di singoli gruppi o di singole persone che fanno domanda del servizio e ne sono i beneficiari, in modo esclusivo o almeno prevalente124. Nel concreto tale principio è oggi applicato, nella pratica amministrativa italiana, alle tasse e ai tributi speciali poiché rappresenta un criterio per commisurare il tributo prelevato al beneficio arrecato al contribuente, e quindi per la ripartizione tra i beneficiari dell’intero costo del servizio, o, se si vuole, soltanto di parte di esso125.

Non bisogna però dimenticare che alcuni autori hanno cercato di estendere il principio del beneficio (ovvero della controprestazione) all’intera attività dello Stato, ed infatti al criterio del beneficio si è fatto ricorso, in epoca meno recente, per spiegare la distribuzione dei tributi nel loro complesso126. Quest’ultima è un’impostazione ormai quasi completamente abbandonata, che trova origine nell’idea per la quale l’attività finanziaria costituisce nella sua sostanza una protezione della ricchezza dei privati e che al valore di questo beneficio devono commisurarsi i tributi.

Nello specifico, De Viti De Marco ha formulato la più completa applicazione del principio del beneficio (o della controprestazione) a giustificazione del sistema tributario127.

L’Autore sostiene innanzitutto che l’imposta, come la tassa, è un processo tecnico il cui compito è sostenere e ripartire tra i cittadini-consumatori il costo di produzione dei servizi pubblici. Tuttavia, diversamente dalla tassa ove il costo dei servizi pubblici è distribuito secondo l’effettivo consumo                                                                                                                          

122 Einaudi L. (1940), op.cit., p. 98.

123 Leccissotti M. (2007), Economia dei tributi, Torino, p. 81. 124Steve S. (1976), Lezioni di scienza delle finanze, Padova, p.248. 125 Steve S. (1976), op.cit.,p.249.

126 Leccissotti M., Bernasconi M. (1994), op.cit., p. 340-341.

che ciascuno fa dei beni pubblici in modo tale che il consumo o la domanda individuale è la base della ripartizione, nel caso dell’imposta tale suddivisione non è possibile perché il consumo individuale è un’incognita e per tale motivo si deve procedere per presunzioni128.

La prima presunzione sostenuta da De Viti De Marco è che tutti i componenti della collettività sono consumatori dei servizi pubblici generali mentre nella seconda riconosce che da quando esiste una finanza pubblica il reddito di ogni cittadino è indice misuratore della sua domanda di servizi pubblici generali e, in base a questa presunzione, è fissata l’imposta come percentuale del reddito129.

L’Autore, nell’analizzare la vicinanza di tale seconda presunzione alla realtà, osserva come sia assiomatico che noi consumiamo in proporzione del reddito; se, infatti, da un lato può avvenire che individui con redditi eguali li ripartiscano o siano disposti a distribuirli diversamente tra la soddisfazione dei bisogni individuali e quella dei bisogni collettivi, riferendo il consumo ad una serie di anni, si verifica, secondo il medesimo Autore, un processo di compensazione e di media non arbitrario né irreale, perciò la presunzione che il consumo di beni pubblici sia proporzionale al reddito fa un primo passo per avvicinarsi alla realtà. La circostanza che rende più che mai fondata questa presunzione, è che quasi tutti i servizi pubblici generali rivestono il carattere di beni strumentali per la produzione e condizionali per il consumo dei beni prodotti dai privati; e da questo carattere dei beni pubblici deriva che la loro utilizzazione, da parte dei cittadini, avviene in funzione del reddito. Infatti, sarà tanto maggiore il consumo dei servizi pubblici generali, quanto più grande è la ricchezza privata di cui essi assistono la produzione e assicurano il godimento.

Ne consegue che se si tiene conto del consumo medio, nel tempo e nello spazio, dei diversi servizi pubblici generali e soprattutto del loro carattere strumentale, De Viti De Marco afferma che “si può accettare con sufficiente

                                                                                                                         

128 De Viti De Marco A. (1928), op.cit., p. 99. 129 De Viti De Marco A. (1928), op.cit., pp. 100-101.

tranquillità la preposizione secondo cui il consumo dei servizi pubblici generali è proporzionale al reddito di ogni cittadino130”.

Alla luce di queste considerazioni, l’imposta è definita dall’Autore come “il

prezzo che ogni cittadino paga allo Stato, per coprire la quota-parte di costo dei servizi pubblici generali che egli consuma131”.

3.2. Dal principio del beneficio o della controprestazione