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Capacità diverse da diverse architetture

Nel documento PERCEZIONI, CONOSCENZA E COMPRENSIONE (pagine 102-105)

SEZIONE I MODALITÀ SENSORIAL

9. Capacità diverse da diverse architetture

Perché mai dovremmo preferire un modello connessionista? Il motivo più vistoso è che le reti neurali sono sistemi ispirati alla struttura reticolare dei neuroni nel cervello. Ma anche le capacità che sanno esibire con estrema naturalezza, viste nel capitolo §7, sono ottimi motivi e ce ne sono anche altri che vedremo in seguito. Molti di questi hanno a che fare con la distanza tra il nostro modo di ragionare e il modo di funzionare dei computer. Per rendersene conto, basta compiere alcuni semplicissimi esperimenti su se stessi.

Recitare l’alfabeto è normalmente molto semplice, ma cosa accade se proviamo a recitarlo in ordine inverso, iniziando dalla zeta? La maggior parte di noi non è in grado di portare a termine la sequenza, o magari ci riesce solo con estrema lentezza. Ma perché mai dovrebbe presentarsi una tale difficoltà se in entrambi i casi le informazioni da reperire sono le stesse e il nostro compito è solo quello di manipolarle in ordine inverso? E lo stesso accade anche con una stringa molto più breve, come ad esempio quella del proprio codice fiscale. Sembra che i nostri ricordi e le nostre conoscenze siano immagazzinati in modo sequenziale secondo l’esperienza fatta e che possano essere recuperati facilmente esclusivamente in quell’ordine. Un esempio più complesso ma altrettanto significativo può essere dato dall’apprendimento della musica. Nel Jazz, una delle tecniche per l’improvvisazione permette di suonare su un brano anche sconosciuto avendo a disposizione solo la progressione degli accordi. Per farlo, il musicista deve conoscere tutti gli accordi ed essere capace di suonarli sul proprio strumento. Ma questo non basta. Sapere che un RE minore settima (REm7) è formato dalle note RE FA LA DO, e saperle suonare in questo ordine, non aiuta quando queste stesse note devono essere utilizzate liberamente, in un qualunque ordine, all’interno di una melodia improvvisata. In tale contesto, imparare un accordo non significa semplicemente conoscerne le note che lo compongono e saperle produrre sullo strumento, ma poterle riprodurre velocemente in tutte le combinazioni possibili, secondo il proprio estro. Per riuscirci, il miglior modo è quello di suonarle sullo strumento in molte combinazioni diverse. Solo in questo modo si riuscirà a

padroneggiare l’accordo per poi poterlo eseguire nel modo desiderato. Solitamente ci si esercita nel produrre le note dell’accordo in ordine ascendente, discendente, in ordine ma iniziando da ogni nota, ecc.

Un’altra difficoltà della metafora computer-cervello sta nel fatto che i neuroni sono estremamente più lenti se comparati ai transistor che vengono usati nei computer. Già von Neumann calcolava, negli anni Cinquanta del secolo scorso, che il tempo della stimolazione trans-sinaptica, compreso il periodo di latenza in cui il neurone non può nuovamente scaricare, è dell’ordine di circa ! secondi, mentre già allora «le […] valvole termoioniche e i transistor possono essere utilizzati in macchine logiche […] con tempi di reazione tra 10-6 e 10-7 secondi» . Ma oggi le due cifre sono anche 18

più distanti. Sappiamo che un neurone tipico impiega circa cinque millisecondi per ricevere un messaggio, decidere se inviarlo, scaricare e tornare pronto per un altro impulso dopo il periodo di latenza; mentre un computer moderno in silicio può computare un miliardo di operazioni al secondo. Alla luce di questi dati, il paradosso di Moravec si fa ancora più vistoso. Prendiamo in esame il compito di schiacciare un pulsante non appena si sia riconosciuta una figura semplice, come ad esempio quella di un cane, proiettata su di uno schermo. Un uomo normalmente ci riesce in meno di mezzo secondo. Tenendo presente la velocità di processamento dei neuroni, in mezzo secondo l’informazione proveniente dagli occhi può al massimo percorrere 100 passi computazionali . Per un calcolatore le cose sono molto diverse. I computer ancora 19

oggi non sono molto bravi a riconoscere le forme e per farlo hanno bisogno di milioni di passi computazionali. La cosa importante da notare è che la differenza di prestazioni non è dovuta ad un generico parallelismo nel funzionamento. Se ad esempio facessimo svolgere il medesimo compito ad un super computer composto da tanti computer posti in parallelo, certamente il risultato sarebbe raggiunto in minor tempo, ma anche questo super computer parallelo dovrebbe compiere gli stessi milioni di passi computazionali. La differenza con il nostro cervello è che noi ci riusciamo in

1,5⋅10−2

von Neumann (2014), pag. 103.

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Il cosiddetto «vincolo dei cento passi» è trattato (in forma leggermente diversa da qui) in Feldman e

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Ballard (1982), come indicazione utile per le scienze cognitive a partire dai risultati ottenuti in teoria della complessità computazionale.

meno di cento passi! Queste differenze computazionali fra cervello e computer, emergenti dalla loro differente architettura, sono idee molto interessanti derivate dalle conquiste fatte dalla relativamente giovane teoria della complessità computazionale, che permette di distinguere i vincoli imposti dal compito cognitivo in sé, dai vincoli che al contrario dipendono dall’architettura o da altri fattori contestuali . 20

Riprendiamo ora l’esempio degli scacchi: se un computer è capace di calcolare milioni di mosse al secondo, com’è possibile che i campioni di scacchi fossero in grado di batterli? E, anche dopo che Deep Blue ha battuto il campione mondiale Garri Kimovič Kasparov nel 1997 , come è stato possibile che l’uomo abbia potuto 21

competere a tali livelli e vincere alcune partite? Dopotutto, anche il campione umano di scacchi non può calcolare più di una manciata di mosse al secondo. La risposta di tale differenza non può che essere nel modo di giocare. Una rete neurale affronterebbe il compito non come un problema logico, ma come un problema di riconoscimento di forme. Diversi studi evidenziano che a un esperto di scacchi basta un’occhiata ad una scacchiera per valutarne e ricordare la posizione dei pezzi . Ma come riesce il nostro 22

cervello a riconoscere tanto efficientemente le forme, cioè gli schemi di input sensoriali?

Attualmente sono in fase di studio i cosiddetti «memcomputer»(si veda Di Ventra, Pershin e Chua

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(2009) e Pershin e Di Ventra (2010)): dei computer con una architettura del tutto diversa, molto simile a quella del cervello, dove la memoria che serve ad immagazzinare i dati è essa stessa ad eseguire i calcoli. Questo è possibile grazie a tutta una serie di nuovi componenti elettronici elementari che vanno a sostituire quelli classici (memristori, memcondensatori, meminduttori, ecc.). Tali computer potrebbero mostrare una velocità molto maggiore di quelli classici, oltre ad un enorme risparmio energetico. Un esempio concreto è già stato esposto: processare il metodo per uscire da un labirinto più velocemente possibile (Pershin e Di Ventra (2011)). Con un memcomputer questo compito viene realizzato in modo assai più veloce.

Per la precisione, Kasparov vinse contro Deep Blue nel 1996 e perse l’anno successivo contro una sua

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versione migliorata. Ad ogni modo, la vittoria della versione migliorata di Deep Blue lasciò una scia di polemiche per come è stata realizzata, non convincendo tutti della genuinità della sfida.

Dehaene (2014), pag. 93.

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