• Non ci sono risultati.

La sinestesia

Nel documento PERCEZIONI, CONOSCENZA E COMPRENSIONE (pagine 66-70)

SEZIONE I MODALITÀ SENSORIAL

5. Interazione tra sistemi sensoriali

5.3. La sinestesia

La sinestesia è un fenomeno interessante che fu descritto in modo chiaro già da Francis Galton nel XIX secolo. Si tratta di un’esperienza sensoriale involontaria e sistematica attuata da un altro stimolo, ad essa non correlato nella popolazione esente da tale fenomeno. In altre parole, si tratta di un tipo di percezione che se ne porta dietro un’altra di un differente tipo. Per molti sinesteti, i suoni uditi inducono sensazioni cromatiche; per altri l’ascolto di determinate parole induce certi sapori in bocca; in una versione assai rara, i gusti producono sensazioni tattili di determinate forme. Tra le forme più comuni troviamo la sinestesia colore-lettera e colore-numero. Ma cosa vuol dire precisamente che una lettera induce la visione di un colore? Le sorelle Devitto hanno tale forma di sinestesia e una di loro afferma che i colori così visti non sono come quelli degli inchiostri con cui stampiamo: «I colori sono meno netti, come se circondassero le lettere, o venissero proiettati su di esse. Ad ogni modo, i colori sono inseparabili dalle loro lettere specifiche» . Ma si tratta realmente di un 67

fenomeno oggettivo o tale incrocio di sensazioni è qualcosa partorito dalla semplice immaginazione? Proprio per rispondere ad una tale domanda, Ramachandran ed i suoi colleghi hanno messo a punto alcuni esperimenti che dimostrano la realtà del 68

fenomeno. Vediamone uno. Ad una serie di soggetti viene mostrato in uno schermo un certo numero di «5», e qualche «2» sparso in modo tale da delineare gli spigoli di una semplice forma geometrica (vedi fig. 5.2). La maggior parte delle persone vede solo un’ammasso casuale di «5», mentre un sinesteta percepisce i «5» e i «2» di colore

Rosenblum (2011), pag. 411.

67

Ramachandran (2004).

diverso, ad esempio rispettivamente verdi e rossi, e così riesce ad individuare con facilità il triangolo formato dai «2», che spiccano con il loro rosso sugli altri numeri, tutti verdi. Il fatto accertato che i sinesteti siano in grado di riconoscere più facilmente le figure nascoste indica che si tratta di un

fenomeno reale. Se le cose stanno così, cos’è che rende una persona un sinesteta? Nel 1999, Ramachandran e il suo allievo Hubbard hanno analizzato il giro fusiforme che contiene l’area V4, deputata all’elaborazione dei colori. Ebbene, caso troppo strano per essere tale, questa si trova molto vicina, quasi a contatto, con l’area che gli studi con le neuroimmagini hanno individuato come implicata

nella rappresentazione visiva dei numeri. È certamente significativo che queste due aree siano concomitanti e contemporaneamente che il tipo di sinestesia più comune sia proprio quella fra colori e numeri. È logico pensare che il fenomeno sia dovuto a un’attivazione incrociata delle due aree, simile a quella riscontrata nei pazienti con arto fantasma, ma dovuta non ad un’amputazione, bensì ad una differenza genetica cerebrale. Secondo una possibile spiegazione, i soggetti manifestanti sinestesia avrebbero mantenuto dei collegamenti a basso livello tra i sensi che normalmente vengono sfrondati dopo l’infanzia. Un’altra possibilità è che i collegamenti cerebrali siano del tutto normali, ma che siano assenti alcuni meccanismi inibitori normalmente presenti tra aree percettive.

Ad ogni modo, le stranezze non finiscono qui. Ramachandran racconta di un fatto a dir poco paradossale . Un giorno, ricevette un messaggio di posta elettronica da un 69

suo studente che lo informava di essere un sinesteta numero-colore, ma anche di essere affetto da daltonismo. Spike soffre del daltonismo rosso-verde e quindi nel suo mondo ci sono molti meno colori. La stranezza consiste nel fatto che egli, guardando i numeri, vede associati ad alcuni di essi dei colori che non ha mai visto nel mondo. Lui li definisce «colori marziani» proprio per questo. In effetti, la sua disfunzione visiva

Ramachandran (2012).

69

riguarda solo i coni della sua retina, e non il resto del cervello. Per questo motivo, è possibile che la visione dei numeri vada a stimolare quelle parti dell’area V4 che altrimenti non potrebbero essere attivate via nervo ottico. Ma se ci pensiamo bene, credere che i colori marziani di Spike siano dovuti necessariamente o esclusivamente al suo daltonismo è solo una congettura, una possibilità che andrebbe verificata. Dagli esperimenti di Sur sui furetti abbiamo concluso che le aree cerebrali sono tanto plastiche da poter in qualche modo esibire una diversa organizzazione a seconda degli input sensoriali ricevuti e quindi non ha senso pensare che nell’area V4 esistano, indipendentemente dall’esperienza percettiva, neuroni che rispondano a particolari colori, e che questi vengano attivati in Spike dall’esperienza di certi numeri. È più probabile che la sinestesia interessi i neuroni dell’area V4 con schemi di attivazione non sempre corrispondenti a quelli attivati dall’esperienza visiva proveniente dai nervi ottici. Quindi, i colori marziani possono essere causati dal daltonismo di Spike, ma forse solo in parte e non necessariamente. Questa mia ipotesi credo possa essere corroborata dal fatto che anche alcuni sinesteti non daltonici esperiscono colori marziani, come riscontrato anche dallo stesso Ramachandran. Accade anche di più: alcuni affermano di vedere le lettere dell’alfabeto composte simultaneamente da più colori, come stratificati l’uno sull’altro in modo da non corrispondere ad alcuna usuale tassonomia cromatica.

Questi studi sulla sinestesia sono per noi particolarmente importanti perché mostrano che l’accostamento tra le varie sensazioni è determinato fondamentalmente dall’esperienza. Probabilmente esisteranno vie di collegamento privilegiate per certe crossmodalità, ma il contenuto di tali collegamenti è comunque empirico, per quanto ci possa apparire in qualche modo logico o predeterminato. Per rendercene conto basta riflettere sul fatto che, nonostante nel caso della sinestesia il collegamento fra sensazioni ci appaia arbitrario (perché non empirico), le persone che lo esperiscono credono sempre che sia una cosa tanto normale (e per nulla illogica) da credere che sia così per tutti. Molti di loro testimoniano di aver capito di essere «speciali» solo dopo aver sentito parlare esplicitamente di tale fenomeno, all’Università o altrove. A titolo d’esempio, riporto una testimonianza di cui parla Oliver Sacks riguardo ad un compositore contemporaneo, Michael Torke, e del suo stupore nell’apprendere che la

sua esperienza colore-tonalità musicale fosse un’eccezione.

Un giorno [Michael] disse all’insegnante: «Mi piace proprio quel brano azzurro». L’insegnante non era sicura di aver sentito bene: «Azzurro?».

«Sì,» rispose Michael «il brano in re maggiore… il re maggiore è azzurro».

«Non per me» replicò l’insegnante. Era sconcertata, e anche Michael lo era, perché dava per scontato che tutti vedessero dei colori in associazione alle tonalità musicali. Quando cominciò a capire che non tutti condividevano la sua sinestesia, ebbe qualche difficoltà nell’immaginare come fosse esserne privi. Pensava dovesse equivalere a «una specie di cecità». 70

Analizzare tale fenomeno ci permette di vedere più nitidamente che le sensazioni che noi esperiamo potrebbero essere combinate fra loro in modo assai diverso se l’esperienza lo imponesse e che la percezione di oggetti da esse risultante non è altro che una sinestesia non casuale, bensì basata sull’esperienza. Dunque, le percezioni risultanti dai contributi di vari sensi possono essere più o meno facilmente scomponibili nelle loro sensazioni base. Ad esempio, è semplice per noi pensare in modo distinto al colore di un cubo di plastica e alla sensazione tattile che ci provoca toccarlo, ma di fatto ci è difficile, quando gustiamo un cibo raffinato, distinguere il gusto vero e proprio, percepito dalle papille gustative, e quella sua parte determinata dall’olfatto retronasale . Ma, come per gli altri casi di sinestesia, il fatto che una 71

determinata sensazione cromatica possa essere associata in un certo modo ad altre sensazioni, ad esempio tattili o uditive, non ci autorizza a concludere che tale connessione sia speciale sotto qualche punto di vista (logico o analitico). Per i sinesteti, la cosa principale che mette in connessione due sensazioni qualitative è una certa conformazione neurale, nei casi usuali si tratta invece di un accostamento puramente esperienziale.

Sacks (2008), pag. 219.

70

La possibilità di considerare il gusto come una sinestesia fra il gusto vero e proprio e l’olfatto

71

Nel documento PERCEZIONI, CONOSCENZA E COMPRENSIONE (pagine 66-70)