SEZIONE IV PERCEZIONI E CONOSCENZA
21. I limiti dell’intuizione sensibile
Una volta che si è disposti a sostenere una visione degli enti percepiti del tipo qui proposta, non solo cade il pregiudizio a favore degli enti osservabili, o quello di una realtà esterna, vera e univoca; inizia a vacillare anche la fiducia in ciò che siamo in grado di comprendere, intendendo questo concetto come ho proposto di fare in §13.1. Se, a differenza della semplice conoscenza, la comprensione è legata alla nostra capacità di integrare quest’ultima alle altre conoscenze, soprattutto alle altre conoscenze di tipo diverso, non potrebbe darsi il caso di conoscenze scientifiche non integrabili? Gli esempi analizzabili sarebbero molteplici, ma qui mi limiterò ad un paio di casi.
Un primo che potremmo fare è quello degli atomi. Nonostante si tratti di enti inosservabili, sono stati proposti per la prima volta nell’antica Grecia da Democrito e Leucippo. È certamente un’idea strepitosa, ma una volta presentata non è difficile da figurare. A qualunque cultura si appartenga, non credo risulti particolarmente difficile immaginare dei piccoli enti, delle minuscole biglie, che si combinino tra loro a seconda di una certa proprietà intrinseca (come ad esempio piccole differenze nella forma), per dar vita a tutto ciò che ci circonda e perfino a noi stessi. Si può essere più o meno inclini a credere ad una tale affermazione, ma non è difficile da visualizzare. Anche la dimostrazione della loro esistenza, a cui non tutti credevano fino alla fine dell’Ottocento, è intuitiva. Qualcosa di molto vicino al vero riguardo la dimostrazione della loro esistenza la si può leggere nel «De rerum natura» di Lucrezio.
E per questo è ancora più giusto che tu osservi bene i corpi che si vedono agitarsi tra i raggi del sole poiché questo agitarsi è rilevatore anche che esistono moti nascosti e invisibili della materia.
Molti corpi vedrai infatti, colpiti da urti invisibili, cha cambiano strada, e indietro respinti rimbalzano di qui di là intorno in tutte le direzioni:
e certo questo moto vagante deriva dai principi della materia. 28
Lucrezio (1992), libro II, vv.125-132.
Questo ragionamento è molto vicino a spiegare in modo del tutto corretto il quesito che si era posto nel 1827 il botanico Robert Brown sulle osservazioni fatte al microscopio a proposito del moto di certe particelle nel polline delle piante. Nel 1905, fu Einstein a dimostrare la sostanziale correttezza delle idee espresse da Lucrezio, proprio osservando le fluttuazioni di piccoli corpuscoli e riuscendo a calcolare le dimensioni dei corpi che li urtavano.
Un altro esempio è quello della forza elettromagnetica. La comprensione di tale fondamentale fenomeno si deve all’ingegno di Michael Faraday e James Clerk Maxwell. L’idea intuitiva che guidò Faraday fu quella di postulare l’esistenza di qualcosa fra i corpi che potesse essere modificato dai corpi magnetici ed elettrici. È ciò che oggi chiamiamo «campo». Faraday pensava al campo come una fitta rete di linee di forza: un oggetto magnetico distorce quindi queste linee, provocando lo spostamento o l’avvicinamento di un altro corpo. Questa intuizione verrà trasformata in equazioni matematiche da Maxwell. Così, oltre alle particelle, si è aggiunto qualcosa di nuovo nell’ontologia della fisica: i campi elettromagnetici. Maxwell si rese poi conto che le linee di forza possono anche vibrare e ondulare come le onde che vediamo propagarsi nel mare. La luce stessa è un’onda elettromagnetica che vediamo di colore diverso a seconda della frequenza con cui vibra. Anche in questo caso, è possibile comprendere il fenomeno assimilandolo a qualcosa di cui facciamo esperienza sensibile: le onde su uno specchio d’acqua.
Questi esempi mostrano che le similitudini tra le teorie scientifiche vere e proprie e i fenomeni integrati nella nostra conoscenza quotidiana, per quanto siano quasi sempre superficiali e comunque non letterali, ci permettono di trarne una profonda comprensione. Gli atomi sono come piccoli corpuscoli che si combinano e urtano fra loro, le onde elettromagnetiche (come anche le onde sonore), come onde di increspamento dell’acqua. Si tratta di interpretare concetti astratti e complessi attraverso qualcosa con cui siamo abituati a interagire concretamente (quindi in modo crossmodale, qualcosa con cui abbiamo fatto numerosissimi «esperimenti», cioè con cui abbiamo interagito massicciamente). Si tratta di qualcosa di simile al metodo che usava Feynman per capire al volo i problemi, anche matematici.
[U]n metodo che utilizzo ancora oggi quando qualcuno spiega una cosa che voglio capire: continuo a fare esempi. Facciamo il caso di matematici che inventino un teorema fantastico. Mentre mi snocciolano le ipotesi, mi costruisco un modello che vi si adatti. Loro dicono: «Prendiamo un insieme» e io traduco mentalmente «una palla»; se parlano di insiemi «disgiunti» io penso a due palle, e così via. Poi nella mia testa la palla prende colore, si copre di peli o di quant’altro, man mano che si aggiungono altri enunciati. Quando poi arriva il teorema, una qualche stupidata che non corrisponde per niente alla boccia verde e pelosa che ho in mente, rispondo: «Falso».
Se invece è vero, loro si esaltano, io li lascio andare avanti per un po’, poi tiro fuori il mio controesempio.
«Oh, ci siamo scordati di dirti che si tratta di un omomorfismo di Hausdorff di classe 2…»
«Allora, è proprio banale», dico io. A questo punto ho capito come va a finire, anche se non so niente degli omomorfismi di Hausdorff.
Indovinavo quasi sempre. 29
Ma cosa accade quando le teorie scientifiche giungono a conoscenze del tipo della meccanica quantistica, dove le particelle elementari esibiscono comportamenti sia ondulatori che corpuscolari, dove esistono relazioni istantanee a distanza, ed eventi non causati? Ci troviamo di fronte a fenomeni che non possiamo paragonare unitariamente a nessun fenomeno di cui possiamo avere esperienza concreta. Questo vuol dire che quella conoscenza non può essere tradotta (in tutti i suoi modi di essere) in nessun altro dominio a noi più familiare, restando una conoscenza isolata dalle altre non scientifiche, e quindi non pienamente comprensibile? Forse è per questo che non si riesce a trovare consenso unanime sull’interpretazione da dare a tale importantissimo ambito della fisica. Forse, le nostre capacità di creare conoscenza vanno oltre le nostre capacità di comprensione. Questo significherebbe che di quando in quando dovremo accontentarci di teorie scientifiche capaci di descrivere il comportamento di certi fenomeni, senza poterne trarre una comprensione profonda. Ma per evitare di scivolare silenziosamente e inavvertitamente nel solito pregiudizio positivo degli enti osservabili percettivamente, non possiamo accettare tali conclusioni
Feynman (2012), pag. 84.
acriticamente. Ciò che possiamo accettare è solo la maggiore complessità del riuscire a comprendere qualcosa senza poterci avvalere degli schemi che ci siamo costruiti durante tutta la vita, quelli che sappiamo manipolare meglio e riguardanti quelli che chiamiamo oggetti di tutti i giorni. Voglio chiarire che tale difficoltà non impedisce tuttavia che si possa riuscire col tempo a trovare una qualche integrazione e quindi a realizzare una vera comprensione dei fenomeni quantistici tanto controintuitivi. Come riusciamo a farlo per le esperienze, durante lo sviluppo del nostro cervello e della nostra mente, cioè tramite un’esposizione continua a certi input, non possiamo certamente escludere che questo possa accadere per ciò che ad oggi ci sembra irrimediabilmente assurdo. E questa non è neppure l’unica ipotesi in campo. Se anche oggi non possediamo un’interpretazione del tutto convincente della meccanica quantistica, non è detto che un giorno non venga proposta una teoria diversa e migliore, che in più abbia la desiderabile proprietà di risultare del tutto comprensibile. Oppure, potremmo non essere stati ancora in grado di immaginare una soluzione che però può essere immaginata. Eppure, potremmo già essere in possesso di tale interpretazione, pur non essendo disposti (non tutti almeno) ad accettarla . 30
Qualunque sia il caso in cui ci troviamo, la cosa a mio parere più straordinaria è che, grazie anche al pensiero filosofico e a quello scientifico siamo in grado, almeno in linea di principio, di ampliare non soltanto le nostre conoscenze, ma anche il nostro modo di immaginare, di intuire. In altri termini, non solo siamo capaci di aumentare le nostre conoscenze, ma anche di accrescere la nostra stessa capacità di comprensione.
Mi riferisco all’interpretazione a molti modi della meccanica quantistica, proposta per la prima volta
30
da Hugh Everett III, allievo di John Wheeler, nel 1957. Egli propose di considerare che l’equazione di Schrödinger venga presa sul serio fino in fondo e che abbia quindi validità universale; e visto che per ciascuno stato sovrapposto c’è una perfetta coerenza, propose di considerarli come mondi tutti realmente esistenti, anche se del tutto indipendenti. Ogni collasso della funzione d’onda corrisponderebbe in realtà ad un divergere di due universi fino a quel punto coincidenti. Questa interpretazione ha il pregio di far scomparire tutte le stranezze della meccanica quantistica, compresa l’aleatorietà intrinseca degli eventi. Si veda ad esempio Bruce (2006).
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