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Premessa

Nel 2006, dopo cinque anni dio governo di centrodestra i cittadini italiani furono richiamati alle urne, da cui uscì vincitrice per poche migliaia di voti la coalizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi. Tuttavia a causa dei conflitti all'interno della coalizione di maggioranza il governo è costretto a dare le dimissioni e dopo soli due anni, nel 2008, si tornerà al voto. Le elezioni di aprile segneranno il ritorno al governo di Silvio Berlusconi e della sua coalizione. In seguito alla crisi del debito italiano dell'estate 2011, anche alla luce della situazione finanziaria mondiale, nel novembre dello stesso anno il governo dell'ex imprenditore deve dimettersi. Al suo posto arriva Mario Monti, un tecnico, professore dell'Università Bocconi di Milano che guiderà un nuovo governo da fine 2011 fino a dicembre 2012.

A febbraio 2013 si torna nuovamente alle urne con un panorama politico notevolmente frastagliato: insieme alle tradizionali divisioni tra centrosinistra e centrodestra, alle consultazioni politiche partecipa per la prima volta una formazione del tutto nuova, il Movimento 5 Stelle, che non si richiama a una parte politica specifica, il cui leader è l'ex comico Beppe Grillo.

Le consultazioni del 25 e 26 febbraio sebbene registrino la vittoria della coalizione di centro- sinistra guidata da Pierluigi Bersani, segnano anche il successo del movimento creato da Grillo, che ha ottenuto, alla sua prima candidatura, oltre il 20% dei voti. Nonostante la vittoria Bersani non riesce a formare un governo e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano deciderà di conferire l'incarico a Enrico Letta, anch'egli esponente come Bersani del Partito Democratico, che creerà un governo di 'larghe intese' con partiti di centro e di centrodestra come Forza Italia di Silvio Berlusconi. A distanza di dieci mesi, a febbraio del 2014, l'esecutivo di Letta viene

sfiduciato dalla segreteria del Partito Democratico; il 14 febbraio Letta si reca dal presidente della Repubblica per rassegnare le sue dimissioni. Pochi giorni dopo Matteo Renzi, neo- segretario del Pd e sindaco di Firenze, riceverà l'incarico di formare un nuovo governo.

Il primo esponente politico che ho scelto di inserire per primo in questo capitolo dedicato agli ultimi dieci anni di storia politica è Pierluigi Bersani, di cui riporto alcuni passi del discorso che tenne il 12 dicembre 2010 durante la manifestazione di Piazza San Giovanni a Roma, quando era segretario del Partito Democratico, formazione politica nata nel 2007 dalla fusione di Ds e Margherita:

Come due anni fa al Circo Massimo oggi a San Giovanni presentiamo il volto di un grande Partito popolare. Siamo qui per dare un messaggio all’Italia. Un messaggio di fiducia e di cambiamento. Ecco quello che pensiamo: pensiamo che l’Italia sia ben migliore di ciò che le capita ormai da troppo tempo. Pensiamo che non si possa più andare avanti così. Berlusconi deve andare a casa. Ci vuole un passo avanti in una direzione nuova. L’Italia deve cominciare a togliersi il berlusconismo dalle vene, deve scrollarsi di dosso un populismo personalistico, propagandistico e impotente. L’Italia ha bisogno di una democrazia costituzionale rinnovata, di una democrazia solida e normale. L’Italia ha bisogno di una democrazia costituzionale rinnovata, di una democrazia solida e normale, capace di funzionare e di dare qualche risposta ai problemi della gente, non a chiacchiere ma a fatti. C’è una crisi seria, che ci accompagnerà per un tempo non breve; c’è il rischio di un peggioramento delle già difficili condizioni di vita di milioni di italiani, c’è un orizzonte incerto per la nuova generazione. […] Serve un grande sforzo collettivo, dove chi più ha deve dare di più. C’è da organizzare un grande sforzo collettivo, uno sforzo di cambiamento, dove chi ha di più deve dare di più. Ci vuole un cambio di passo. L’uomo solo al comando, il “ghe pensi mì” non può risolvere questo problema. Le ricette della destra non sono adeguate. Le ricette della destra non possono caricarsi di questo compito. Bisogna creare una nuova situazione politica. Lo sappiamo, non si può certo cambiare in un giorno, con la lunga vicenda che abbiamo alle spalle e che stiamo ancora vivendo. Non lo si fa in un giorno, non c’è l’ora X! Non è ora X, ma passaggio cruciale. E tuttavia siamo a pochi giorni da un passaggio cruciale in Parlamento; può affacciarsi la possibilità di sancire formalmente la crisi politica del centrodestra. Sarà finalmente ora di dire che se siamo arrivati a questo, c’è molto del nostro lavoro. E’ ora che ce lo riconosciamo noi stessi, se vogliamo che altri ce lo riconoscano. Solo due anni fa la scena era questa: una vittoria del centrodestra con una maggioranza senza precedenti nella storia recente del Paese; tutti ad omaggiare i vincitori, presupponendone l’eternità. Una sorta di pensiero unico che si diffondeva. Ma noi non siamo caduti nella frustrazione. Abbiamo visto per primi la crisi e il varco che si sarebbe creato tra la propaganda e la realtà. Abbiamo visto per primi la crisi e il varco che necessariamente si sarebbe dovuto creare fra la predicazione propagandistica del Governo e la realtà della vita comune. Abbiamo battuto tutti i giorni quel chiodo. E quando la distanza fra parole e fatti è diventata più evidente, quando è diventato più chiaro che i problemi marcivano mentre la politica era costretta a girare attorno ai problemi diurni e notturni del Premier, allora si è aperta la crisi del centrodestra. Non c’entrano le ville. E’ per la perdita di presa del Governo sulla situazione reale che si è aperta questa crisi e che una parte della destra ha cominciato a pensare al dopo e a mettersi in movimento. Non abbiamo offerto l’occasione perché si ricompattassero. E noi che cosa abbiamo fatto, allora? Abbiamo messo tutti nel mucchio come ci suggeriva qualche tifoseria o qualche focoso amico? No. Abbiamo lavorato nella nostra autonomia, nella nostra distinzione, perché non andasse sprecato nessuno degli spazi critici che si aprivano verso il modello populista e berlusconiano. La mozione di sfiducia al momento giusto, non tutti i giorni come le solite tifoserie e i soliti focosi amici ci suggerivano. E abbiamo messo noi, al tempo giusto, la mozione di sfiducia,

al tempo giusto, non tutti i giorni come le solite tifoserie e i soliti focosi amici ci suggerivano. Fatemelo dire, adesso. Ce l’abbiamo la patente per fare l’opposizione, perbacco! Non abbiamo bisogno di maestri che ci tirino la giacca tutti i giorni. Credo che lo si sia visto. Non abbiamo bisogno di maestri che ci tirino la giacca. E adesso siamo qui, a pochi giorni da un appuntamento parlamentare importante. Una giornata incerta, sì, ma non tanto incerta da non far vedere una cosa. La crisi politica del centrodestra c’è, ed è senza rimedio, e in ogni caso martedì prossimo, comunque vadano le votazioni, questa crisi sarà certificata. O pensano di risolverla con la compravendita di qualche voto, con pratiche vergognose che fanno arrossire l’Italia davanti a tutte le democrazie del mondo! [...] Vieni via con me. Care democratiche e cari democratici, amici e compagni, questa piazza emozionante dice al Paese che siamo forti, che siamo pronti a combattere per le cose in cui crediamo. Siamo pronti ad affrontare politicamente le scelte immediate, già dalla prossima settimana e siamo pronti a darci il passo per un cammino di cambiamento del Paese. Il cambiamento. E’ questo il messaggio forte che viene oggi da San Giovanni. Anch’io ho il mio sogno. Il sogno di un Partito, il Partito Democratico, che possa finalmente dire all’Italia, parafrasando una bella canzone e una grande trasmissione televisiva: Vieni via, vieni via di qui, vieni via con me. Vieni via da questi anni, da queste umiliazioni, da questa indignazione, da questa tristezza. C’è del nuovo davanti, c’è un futuro da afferrare assieme, l’Italia e noi.46

La lingua del segretario del Partito Democratico segue anch'essa la tendenza alla semplificazione tipica della seconda Repubblica. In essa si ritrovano infatti caratteri tipici del linguaggio orale e anche della lingua neo-standard. Bersani sceglie per il suo discorso l'avvicinamento attanziale, il diretto coinvolgimento dell'interlocutore, ciò si può notare dal costante uso dei pronomi deittici spaziali e personali qui e noi usato tuttavia non direttamente ma attraverso verbi alla prima persona plurale. Il discorso inizia con un parallelismo come due anni fa... siamo qui oggi mediante il quale descrive il cambiamento della situazione politica italiana da cui poi svilupperà il suo ragionamento.

Vi è poi da sottolineare come il linguaggio sia concreto, non si registra infatti l'uso di termini astratti ma di esempi o di immagini che abbiano un rapporto diretto con la realtà e nei quali gli interlocutori possano riconoscersi. Anche sotto il profilo della sintassi si osserva un maggiore uso della paratassi rispetto all'ipotassi, le frasi sono generalmente brevi, formate da circa 15 parole, in alcuni casi di brevissima lunghezza, facendo derivare tale scelta dall'esigenza di rendere maggiormente incalzante il ritmo del discorso. Da notare poi, sebbene esso sia il testo scritto di un discorso riservato all'esposizione orale, la poca presenza di punteggiatura: i periodi infatti sono collegati tra loro soprattutto attraverso il punto fermo mentre è raro l'uso degli altri segnali interpuntivi, sono meno presente infatti la virgola, i due punti o il punto e virgola. Insieme alla brevità delle frasi è da rilevare in via preliminare anche la ripetizione di alcune frasi, strategia che serve anch'essa a mio avviso a rendere più chiari alcuni concetti, oppure servono come punto di inizio per sviluppare un ragionamento più articolato come si può vedere 46 Tratto da http://www.piazzarossetti.it/it-it/notizie/5156b8c2d1997090050082a1/il-discorso-integrale-di-

pierluigi-bersani-in-piazza-san-giovanni

in L’Italia ha bisogno di una democrazia costituzionale rinnovata, di una democrazia solida e normale. L’Italia ha bisogno di una democrazia costituzionale rinnovata, di una democrazia solida e normale, capace di funzionare e di dare qualche risposta ai problemi della gente, non a chiacchiere ma a fatti. Oltre a ciò il tratto più significativo è costituito dall'impiego di un linguaggio colloquiale, nel quale si rilevano termini o locuzioni tipiche di una lingua bassa e quotidiana. Prima di analizzarli nel particolare vorrei però soffermarmi sull'uso del termine berlusconismo: i processi di leaderismo e di personalizzazione della politica e della conseguente attenzione dei mezzi di comunicazione sulla figura del leader più che sulla persona in carne e ossa, hanno fatto sì che all'interno del linguaggio politico italiano si iniziassero a formare neologismi costruiti sulla base del nome del politico, attraverso l'aggiunta di un suffisso: per quanto riguarda Berlusconi abbiamo il già citato berlusconismo, berlusconiano (identificato con l'elettore del politico milanese), berlusconista, berlusconesco (usato in senso dispregiativo), berlusconizzare, berlusconizzato (usati entrambi per indicare una trasformazione), lo stesso è stato fatto, anche se in misura sensibilmente minore anche per D'Alema, Di Pietro e Bossi e a seguire fino ai maggiori esponenti della politica contemporanea.

Tornando alla lingua di Pierluigi Bersani si possono mettere ora in evidenza tutti gli usi colloquiali: in primo l'uso della parola mucchio, termine che in senso esteso e soprattutto familiare è usato in sostituzione di grande quantità, oppure il verbo marcire che nel linguaggio colloquiale viene usato col significato di rimanere in una situazione negativa. Da notare poi la parola tifoseria prelevato dall'ambito sportivo, per identificare le varie fazioni politiche, è da considerarsi un ulteriore elemento di colloquialità. Vi sono poi i modi di dire come scrollarsi di dosso, nel senso di liberarsi di qualcosa in modo deciso e poi i due più popolari battere il chiodo e tirare per la giacca. Il primo viene usato con l'accezione di tornare sempre su un dato argomento, ribadire qualcosa mentre il secondo è entrato di recente in maniera evidente nel linguaggio della politica: l'origine del detto è regionale, più precisamente laziale e in passato veniva impiegato come sinonimo della locuzione avere i creditori alle calcagna, ed è poi passato nel vocabolario della politica con significato di sollecitare una persona affinché ti ascolti oppure nell'accezione di invitare qualcuno a compiere una determinata azione. Per quanto riguarda l'aspetto retorico non sono molte le figure riscontrate, si riconosce la litote in tempo non breve, l'anadiplosi, tipica del linguaggio orale, ravvisabile in più di un caso nella ripetizione del sintagma momento cruciale e dell'aggettivo incerta, del verbo pensiamo, del sostantivo sogno o ancora le antitesi nelle opposizioni di propaganda a realtà oppure chiacchiere a fatti infine la terna come in personalistico, propagandistico e impotente. Ma la figura retorica che senza dubbio caratterizza lo stile del politico romagnolo è quella della metafora,

usata come egli stesso ha spiegato in un'intervista al Corriere della Sera per risultare il più comprensibile possibile all'elettorato e allo scopo di usare un linguaggio popolare e che si allontanasse dal politichese. Nel testo analizzato si ritrovano costruzioni metaforiche che si rifanno al settore della cucina come appunto è il termine ricette o dello sport oppure si può osservare nell'uso del vocabolo patente, sostantivo col quale si fa riferimento al documento di guida usato da Bersani col significato di permesso, licenza nell'espressione ce l'abbiamo la patente per fare l'opposizione.

Infine è da notare l'espressione Ora x, usata col significato di ora cruciale, che testimonia ancora una volta la scelta di Bersani di usare un linguaggio colloquiale. Insieme al carattere quotidiano nella lingua del politico democratico si ritrovano anche tratti neostandard. Si riscontra innanzitutto l'uso della frase scissa individuabile nella costruzione è x che come si può osservare in È ora che ce lo riconosciamo noi stessi. Oppure l'uso di le nel senso di a lei in riferimento a Italia, invece di usare il pronome essa. È da notare poi l'uso del che polivalente e l'impiego di questo e quello in luogo del neutro ciò, in più nel linguaggio parlato di Bersani si trovano talvolta anche forme aferetiche popolareggianti quali 'sto e 'sta.

Infine vorrei porre l'attenzione sulla conclusione del discorso di Pierluigi Bersani in cui si riscontra un inserto di linguaggio più basso e familiare, declinato stavolta nell'uso di alcuni versi di una canzone. Parafrasando le parole di Via con me di Paolo Conte Bersani esprime il proprio messaggio, coinvolgendo emotivamente i presenti alla manifestazione.

Insieme a quello di Bersani, secondo il mio punto di vista, è interessante analizzare il linguaggio di un altro esponente della sinistra italiana, Nicola Vendola, meglio conosciuto come Nichi, coordinatore di Sinistra ecologia e libertà, di cui riporto alcuni passi del discorso che tenne alla Fiera del Levante il 10 settembre 2011:

Signor Ministro, autorità, Signore e Signori,

l’assenza del Presidente del Consiglio a questa cerimonia ci rattrista. Per la seconda volta in due anni ci mancherà l’interlocutore più importante per condividere analisi e visioni sul presente e sul futuro del nostro Mezzogiorno d’Italia. In qualsivoglia occasione istituzionale abbiamo sempre accolto l’on. Berlusconi con il rispetto dovuto al capo del governo e anche con quella cordialità che consente ad irriducibili avversari politici di non proporsi come nemici mortali. La faziosità, la venalità, la rissosità, la volgarità, sono tutti ingredienti che hanno fin troppo avvelenato la vita pubblica. Il lessico della contumelia ha soppiantato il ruolo delle grandi narrazioni, la cultura è stata esiliata nelle isole degli specialismi, la politica s’è fatta assai rumorosa ma povera di “pensieri lunghi”. E in questa deriva è accaduto che si smarrisse la nozione del Sud, della sua storia, della sua complessità, del suo respiro italiano, della sua culla mediterranea, della sua antica dimensione europea, della sua permanente vocazione cosmopolita. Una sorta di maledizione lombrosiana ha colpito la nostra terra, risucchiandola nel cono d’ombra dei pregiudizi, degli stereotipi, delle cattive generalizzazioni. E il Sud è stato troppo a lungo silente, ostaggio della demagogia nordista, raccontato come fenomenologia del parassitismo e delle mafie, percepito come un vuoto a

perdere o come una palla al piede. Noi fortunatamente non abbiamo reagito replicando contro il Nord lo stesso copione, non siamo diventati “sudisti”, anche perché quel Settentrione lo amiamo, lo abbiamo costruito un po’ anche noi con la fatica dei nostri emigranti, ne subiamo il fascino, lo viviamo come l’altra parte di noi stessi. E quando lassù arrestano un direttore di Asl per ‘ndrangheta o scambiano una sacca di sangue uccidendo un paziente, noi non diamo giudizi tuonanti e general generici, non buttiamo tutto e tutti nella discarica dei pregiudizi, non diciamo che il Nord è l’inferno. […] Forse occorre mettersi a cercare il bandolo della matassa in quel “senso del dovere” e in quello “spirito di servizio” di cui parlava, con quella sua austerità così colta e melanconica, il nostro Aldo Moro. L’affarismo l’abbiamo visto stratificato in ogni piega della vita pubblica, dal governo delle case popolari all’amministrazione parcellizzata e spesso insabbiata della spesa sanitaria: anche qui, se la polemica fosse messa in un angolo dal bisogno di analizzare, andare in profondità, cogliere con diagnosi puntuali il male, forse potremmo incidere con la precisione del chirurgo quella cancrena che si riproduce nelle gare, nelle capziose prescrizioni dei capitolati d’appalto, nei bilanci lungamente truccati, nella inappropriatezza dei ricoveri o della diagnostica. […] Il lavoro, la sua dignità, la sua ricchezza sociale, questa per noi oggi è la sfida. Anche il lavoro spasmodicamente inseguito dai migranti che ci portano ricchezza e a cui offriamo povertà e persino la gelida dogana del razzismo.47

Il linguaggio del presidente della regione Puglia si distingue, a mio avviso, dallo stile di tutti gli altri politici della cosiddetta seconda Repubblica incontrati finora. Vendola infatti si caratterizza per avere un linguaggio forbito e colto e ciò si pone in forte contrapposizione per esempio con la lingua della Lega nord e di Umberto Bossi, che invece si distingueva per l'uso di un linguaggio popolare e quotidiano.

Anche nel discorso preso in esame preso in esame si possono rintracciare aulici e talvolta caduti in disuso come nel caso di contumelia che oggigiorno ha lasciato il posto al più semplice offesa. O anche nel caso di assai, sostituito oggi dal più colloquiale molto. Ancora la parola fenomenologia, termine aulico che richiama l'ambito filosofico. Infine la parola parcellizzata che sostituisce il più usuale dividere in piccole parti. Oltre a ciò si può vedere come la lingua di Vendola sia complessa: egli scegli una sintassi in cui venga privilegiata l'ipotassi rispetto alla paratassi, anche i periodi non sono generalmente costituiti da un alto numero di parole, si può lo stesso notare la presenza di un'evidente subordinazione. Quella di Vendola è una lingua ricca di aggettivazione, metafore di figure retoriche: fin dall'inizio del suo intervento si può notare la presenza di figure retoriche come la gradatio ascendente nel caso della costruzione organizzata in modo apparentemente antitetico irriducibili avversari e nemici mortali, in riferimento al rapporto con Silvio Berlusconi. Da notare inoltre l'elencazione, altra figura di parola, per asindeto dei quattro sostantivi astratti faziosità, la venalità, la rissosità, la volgarità, a cui è da ricollegare, come ulteriore elemento, anche il termine cordialità, attraverso i quali Vendola ha organizzato una contrapposizione. In Vendola tuttavia talvolta il linguaggio forbito lascia il passo a metafore che fanno parte della quotidianità come nel caso dell'uso del vocabolo 47 Tratto da http://www.nichivendola.it/sito/mcc/informazione/il-sud-ha-smesso-di-tacere.html

ingredienti che fa riferimento, come è stato già notato anche per quanto riguarda lo stile di Silvio Berlusconi, all'ambito della cucina, quindi potenzialmente più familiare alla maggioranza degli interlocutori. Di seguito si rintraccia un altro uso metaforico, questa volta del termine veleno attraverso il verbo avvelenare, nel senso figurato di turbare. Per il politico pugliese il verbo chiave della politica non è dire ma raccontare, come si evince dalla scelta

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