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Capitolo riassuntivo

Come scriveva Gian Luigi Beccaria nel suo testo I linguaggi settoriali in Italia non esiste in realtà una lingua della politica propriamente detta: tutte le parole possono diventare termini politici se sono usati in una situazione politica. Vi è da dire inoltre che il linguaggio politico non costituisce né un linguaggio tecnico né un linguaggio speciale formato da una terminologia univoca, risulta piuttosto essere una confluenza di elementi eterogenei provenienti da ambiti diversi.

Il lavoro da me compiuto prende in esame discorsi di politici italiani dal dopoguerra fino a oggi ha cercato di mettere in luce i caratteri essenziali del linguaggio della politica, attraverso un approccio diacronico, degli ultimi decenni, che possono essere divisi idealmente in due parti. Come prima parte possiamo considerare gli anni che vanno dal 1948 al 1994 quando si può fissare l'inizio della cosiddetta seconda Repubblica, nata a seguito del periodo di Tangentopoli e la conseguente cancellazione dei partiti tradizionali e al passaggio, dal punto di vista strettamente politico, al nuovo sistema elettorale misto maggioritario-proporzionale.

Da tali cambiamenti scaturì anche una sensibile modifica della lingua della politica. La politica dei primi anni del dopoguerra è segnata da personaggi quali Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e dal fondatore del Movimento dell'Uomo Qualunque, Guglielmo Giannini, personaggi dal punto di vista della lingua diversi tra loro. Lo stile del presidente del Consiglio e uno degli esponenti di maggior rilevo della Democrazia Cristiana Alcide De Gasperi si caratterizza soprattutto per l'organizzazione di un discorso didattico e con intento pedagogico, in cui vengono inseriti all'interno sequenze e passaggi oggettivamente veri che diano quindi al suo ragionamento caratteri di concretezza e precisione. Dal punto di vista delle figure retoriche egli le costruzioni maggiormente usate sono quelle della dittologia sinonimica e della metafora: particolarità dello stile degasperiano è il ricorso a metafore e a un

linguaggio proveniente dall'ambito della religione.

Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista, sostituisce invece allo stile sobrio di Alcide De Gasperi un'impostazione lucida e netta: nei suoi discorsi si ritrova, peculiarità che caratterizzerà altri esponenti del Pci tra cui Nilde Iotti ed Enrico Berlinguer che dopo quarant'anni porterà avanti lo stile caratteristico comunista, un'architettura retorica saldamente organizzata, nella quale viene posto l'accento sulla dispositio in modo da far giungere con maggiore efficacia il messaggio rispetto all'exornatio, nel discorso di Togliatti difficilmente si rintracciano abbellimenti o artifici retorici o metafore. La distribuzione interna del discorso, come hanno osservato Riccardo Gualdo e Maria Vittoria Dell'Anna, può essere definita geometrica, negli interventi dell'esponente comunista è infatti possibile distinguere in modo distinto la premessa, lo sviluppo e infine la conclusione. Si può osservare inoltre come nei ragionamenti togliattiani si possa ravvisare un'intenzione, a differenza di Alcide De Gasperi, polemica e al contempo pedagogico sviluppato anche attraverso ripetizioni e domande retoriche attraverso le quali viene reso più incisivo il messaggio da comunicare.

Insieme a De Gasperi e Togliatti vi è un altro esponente della politica del secondo dopoguerra, Pietro Nenni, con uno stile tuttavia diverso. Una delle sue caratteristiche preminenti è costituito dall'avvicinamento attanziale: i suoi discorsi infatti mirano al diretto coinvolgimento dei suoi ascoltatori e diversamente dagli altri politici citati ha uno stile più polemico e colorito. I suoi discorsi sono caratterizzati dalla contrapposizione noi/voi e dalla presenza di figure retoriche quali la climax, cionondimeno il tratto più caratteristico della lingua di Nenni è costituito dall'inserimento di forestierismi. Nel linguaggio del politico socialista vengono accolti e in alcuni casi adattati termini provenienti dalle maggiori lingue europee come il francese, l'inglese e inoltre del. russo A partire dagli anni Cinquanta, come ha spiegato Giuseppe Antonelli, iniziano a entrare nella lingua italiana anglicismi, o meglio angloamericanismi, integrati come leadership e summit e di calchi come nel caso di superpotenza ricalcato da superpower o caccia alle streghe ripreso da witch hunt. Tuttavia la lingua ancora maggiormente usata era quella francese: come ha osservato Roberta Cella nel suo articolo sui francesismi inserito nell'Enciclopedia dell'Italiano della Treccani, l'afflusso di termini provenienti dal francese continuò ininterrottamente fino agli anni Trenta del Novecento, quando il purismo imposto dal regime fascista comportò la censura dei prestiti non adattati. Tuttavia la lingua francese ha sempre ricoperto una funzione di prestigio e ha inciso in modo profondo sul lessico intellettuale, rinnovando o introducendo nuovi significati nei settori della politica, dell'amministrazione, dell'economia, della filosofia. In Nenni si può riscontrare inoltre l'uso della suffissazione, per esempio attraverso l'uso di termini che finiscono in -ismo. Nel

linguaggio di nenni sono poi da annoverare frasi o formule a effetto e anche la creazione di slogan e di locuzioni di nuova formazione rimaste nel linguaggio italiano come vento del Nord, l'ossimoro convergenze divergenti e stanza dei bottoni, prelievi dai linguaggi settoriali.

In aggiunta di ciò per quanto riguarda il linguaggio di Nenni è da considerare un ulteriore aspetto: all'impiego di termini stranieri egli alterna anche l'impiego di un linguaggio basso, caratterizzato da locuzioni provenienti dalla quotidianità, allo scopo di rendere ancora più efficace il suo ragionamento. Nel panorama linguistico del primissimi anni del dopoguerra vi fu anche un personaggio che costruì un movimento totalmente nuovo che scelse una comunicazione con l'elettorato diversa. Si tratta del Movimento Dell'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini che scelse di usare, per porsi in contrapposizione al linguaggio dei partiti tradizionali uno stile linguistico basso, colloquiale caratterizzato dal ricorso a termini scurrili, in alcuni casi del turpiloquio. La lingua di Guglielmo Giannini è diretta, non presenta infatti giochi di parole, metafore o altre figure retoriche: tutto ciò viene attuato ancora una volta per contrastare lo stile dei cosiddetti 'politici di professione', talvolta caratterizzato da un atteggiamento di reticenza. Altra caratteristica del linguaggio di Giannini è quella che riguarda l'uso delle sigle, fenomeno che invaderà il linguaggio della politica e più in generale la lingua nella sua interezza. Nel caso del fondatore del movimento dell'Uomo Qualunque inoltre le sigle sono usate per stravolgere il significato originario delle varie parole che compongono la sigla. Inoltre un ulteriore peculiarità è costituita dal cambiamento anche dei nomi propri delle personaggi politici a lui avversi, particolarità che come vedremo sarà ripresa da un altro personaggio politico più vicino a noi. Come già notato in nenni, anche in Giannini è da rilevare la coniazione di neologismi: Nel fondatore del movimento 'qualunquista' si rintracciano parole quali Stato-padre e cittadino-figlio: dal punto di vista morfologico i due elementi sono dei composti, formati, in entrambi i casi, da due sostantivi posti sullo stesso piano, infatti non è possibile stabilire la preminenza semantica dei due termini.

L'uomo che segnò, anche dal punto di vista linguistico, la storia dei governi di centrosinistra fu Aldo Moro: il linguaggio dell'esponente democristiano si contraddistingueva per l'uso del cosiddetto politichese, neologismo coniato negli anni Cinquanta per descrivere lo stile criptico, ampolloso, complicato, utilizzato dai politici nella comunicazione pubblica. Dal punto di vista sintattico, come ha spiegato Giuseppe Antonelli, l'oscurità del politichese non deriva da una sintassi complessa che privilegia la subordinazione, anzi, solitamente si preferiscono usare costrutti nominali e forme imperative, mentre la scansione del periodo è affidata soprattutto a figure di ripetizione, come per esempio l'anafora. Questo andamento per frasi brevi favorisce l'inserimento di slogan, giochi di parole o frasi a effetto. Inoltre tipica del politichese è la figura

retorica della reticenza, in greco aposiopesi, figura di pensiero che consiste nel dire per non dire o nel non dire per dire tutto e nell'interruzione improvvisa di ciò che si sta dicendo. La figura retorica in assoluto più utilizzata è, come già abbiamo visto in numerosi casi, quella della metafora, spesso tratta dall'ambito militare come nel caso del politico monarchico Alfredo Covelli oppure dalla geometria come in Aldo Moro. Il lessico del politichese è caratterizzato non solamente dall'alto numero di forestierismi, che come abbiamo visto iniziano a entrare nella lingua italiana, ma anche da alcune particolari scelte: l'uso di tecnicismi provenienti, per esempio dall'ambito economico e finanziario a cui viene attribuita un'accezione politica, come nel caso di cartello delle sinistre o flessione elettorale. Si ha inoltre l'utilizzo di un lessico colorito, osservabile nell'uso di termini come carrozzone o bustarella e nell'uso di metafore che rendano più vivace il discorso come nel già citato miracolo economico oppure legge truffa in riferimento alla legge elettorale varata nel 1953 dal governo guidato dalla Democrazia Cristiana che prevedeva un consistente premio di maggioranza per chi avesse vinto le elezioni, o gioco al massacro. Un'altra caratteristica del politichese è l'uso e la formazione di suffissati in -ismo, come è stato già rilevato anche nel linguaggio di Pietro Nenni, spesso con connotazione negativa, ne sono esempi assistenzialismo, disfattismo, astensionismo, populismo, verticismo. Infine peculiarità del linguaggio della politica, soprattutto dei primi decenni della storia repubblicana, era la formazione di neologismi lessicali come dietrologia e fiancheggiatore e semantici, come nel già menzionato cartello, termine questo derivante dal lessico economico, usato col significato di unione. Il primo cambiamento all'interno della lingua della politica inizia a farsi avanti a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, a seguito della nascita dei movimenti di contestazione, quando al linguaggio forbito costruito da figure retoriche si affianca un'altra tipologia di lingua. Quella dei movimenti del Sessantotto e in particolare delle organizzazioni giovanili del '77 e dei vari gruppi politici della sinistra extraparlamentare si distingue per adottare un'organizzazione sintattica in cui viene privilegiata la paratassi, le frasi sono brevi e frammentate e che ha come obiettivo il sovvertimento delle regole grammaticali, un esempio è costituito dalla sostituzione della consonante c con k, che tuttavia non viene mai completamente attuato. Ulteriore caratteristica della lingua dei movimenti è la riduzione di tempi e modi verbali e l'inserimento di parole volgari, dialettali e vicine alla lingua parlata, l'obiettivo che sta alla base è l'eliminazione dell'uso del lessico politico tradizionale. All'impiego di un linguaggio basso si registra anche l'uso di uno stile alto e forbito, attuato attraverso l'inserimento di termini aulici e citazioni letterarie. Tuttavia la novità più importante apportata alla lingua della politica da parte dei movimenti di contestazione e dai gruppi extraparlamentari è data dalla coniazione di neologismi forgiati attraverso suffissi quali -izzare e -izzazione, o

ancora l'invenzione di nuovi sintagmi creati mediante l'aggiunta di aggettivi a vocaboli conosciuti, nuove locuzioni come strategia della tensione oppure la creazione di composti come fanfascismo e zanarchia.

Con Marco Pannella, uno dei maggiori esponenti del Partito Radicale, la lingua della politica cambia ulteriormente il suo carattere: sebbene lo stile del politico abruzzese sia contraddistinto da una lingua complessa e strutturata, caratterizzata da periodi fiume e da abbellimenti e figure retoriche. Ancora da ripetizioni, asindeti, una marcata aggettivazione e l'impiego del superlativo. Tutto il linguaggio di Marco Pannella tuttavia si basa sulla ricerca di immagini e termini che contrastino col linguaggio politico tradizionale: uno dei tratti caratterizzanti usato è l'ironia, attraverso la quale si fa beffa del sistema politico vigente. Come ha spiegato Michele Cortelazzo la lingua di Pannella è diversa dagli altri stili politici: egli non rispetta infatti le 'regole del gioco', nonostante nei suoi discorsi si ritrovino metafore create con termini provenienti dal settore della medicina e dall'ambito giuridico, si rintraccia anche l'impiego dei puntini di sospensione e soprattutto l'impiego di parole chiave che identificassero in maniera univoca il Partito Radicale, forme frequenti alla terza persona plurale senza tuttavia specificare a chi il pronome sia riferito, l'uso estensivo di verbi e infine l'utilizzo di termini che provengono da tradizioni politiche distanti tra loro.

Per quanto riguarda la lingua dei presidenti della Repubblica è da sottolineare come solamente quella di quelli più recenti presenti qualche innovazione o almeno qualche elemento di discontinuità. Ciò si ha con Sandro Pertini, capo dello Stato dal 1978 al 1985, la cui lingua era caratterizzata innanzitutto dalla semplicità, costruita attraverso frasi di breve lunghezza, composte al massimo di 20 parole. In prima istanza è da notare come nella lingua di Sandro Pertini prevalga innanzitutto l'uso del pronome personale io con cui si spiega anche la volontà del presidente della Repubblica di porsi nei confronti degli italiani come una persona qualunque. A ciò si accompagna l'impiego di verbi alla prima persona plurale tesi a mettere in evidenza il senso di comunità, è poi da segnalare la ripetizione di alcuni termini e di frasi di frasi a effetto allo scopo di aumentare anche la partecipazione emotiva. Dal punto di vista lessicale è da osservare, in linea con il principio di semplicità linguistica scelto, utilizzi parole brevi e di maggiore frequenza. Tale tendenza è confermata anche dal risultato ottenuto dai discorsi di Pertini utilizzando l'indice Gulpease dove ottiene 60, cifra che identifica il livello di comprensione raggiunto da persone in possesso della licenzia media. Come ha osservato ancora Cortelazzo lo stile di Pertini si distingue per possedere un carattere conversazionale, in cui spiccano il parlato colloquiale e soprattutto una continua deissi spaziale e personale, la tendenza all'iperbole e il modo ottativo, caratteri che contribuiscono a far distinguere lo stile pertiniano

rispetto a quello degli altri capi di Stato.

Col linguaggio dei Sandro Pertini, la lingua usata da Ciriaco de Mita, esponente democristiano, sembra avere qualche tratto in comune: anch'egli utilizza verbi alla prima persona e soprattutto attua continui riferimenti alla propria vita personale, in più nel politico campano si ritrova anche il commento a ciò che sta dicendo e l'inserto del discorso diretto nell'intervento. Come Pertini anch'egli impiega innanzitutto vocaboli basilari e il carattere dei suoi discorsi può essere definito medio: nei suoi interventi si trovano alternati infatti termini alti e bassi, come già notato in altri esponenti politici sono presenti metafore costruite con una terminologia ripresa dallo sport, dall'ambito militare e dalla geometria, quest'ultime si rintracciano già in Aldo Moro. In aggiunta a ciò nel linguaggio di Ciriaco De Mita è da segnalare inoltre un maggiore uso delle parole amici e gente che come vedremo prenderanno piede ancora in modo più evidente nel periodo politico successivo, dal punto di vista più strettamente linguistico la tendenza alla nominalizzazione, la prevalenza del sostantivo sul verbo e la giustapposizione.

A metà degli anni Ottanta la nascita del movimento dei Verdi contribuisce a cambiare il linguaggio della politica italiana. La nuova forza politica che durante i primi anni della sua esistenza si esprime soprattutto attraverso la rivista Nuova ecologia, intervalla nei suoi articoli un tono più elevato, arricchito dall'uso di tecnicismi, a un approccio stilistico dal tono più basso e colloquiale. Una delle caratteristiche della lingua dei Verdi è l'impiego dello stile nominale e della sintassi che come spiega Riccardo Gualdo trae spunto dal linguaggio della pubblicità, quindi improntata alla brevità e alla semplificazione. I caratteri del linguaggio della pubblicità si ritrovano anche per esempio nell'uso di prefissi nella creazione di neologismi e nella formazione di parole macedonia, a questo proposito sono da citare i termini formati col prefissoide eco- oppure con mega- e infine il termine ambiente o con l'aggettivo verde. Ancora nella lingua dei Verdi si trovano nuove formazioni foggiate con i suffissi -izzare per quanto riguarda i verbi e -ista e -ale per i nomi. Altra peculiarità linguistica del nuovo movimento è costituita poi dal fatto di assegnare nuove accezioni a parole già esistenti e a termini non nuovi usati in sostituzione di altri.

Con Bettino Craxi, uno dei più importanti esponenti del Partito Socialista ha ufficialmente inizio il processo di personalizzazione della politica e di conseguenza della lingua. Come ha osservato Paola Desideri il politico milanese mostra la tendenza all'auto-rappresentazione, all'autoritratto e all'autobiografia, vi è inoltre un'attitudine all'autocitazione impiegata soprattutto come mezzo utile a ridicolizzare gli avversari e ad accrescere il proprio consenso. La lingua di Craxi rifugge i toni aulici e il politichese, privilegiando invece la paratassi e una sintassi mediamente elaborata, dove si assiste anche alla riduzione dei tempi verbali, tratto

tipico questo della lingua neostandard. Craxi opta per un registro informale e colloquiale con inserimento di locuzioni popolareggianti e varietà del parlato: unite lingua popolareggiante e lessico politico danno luogo a una produzione colorita ed espressiva. Lo stile di Andreotti sebbene si rintracci l'uso di modi di dire, locuzioni popolareggianti e metafore tratte dall'ambito medico, si colloca tuttavia distante da quello di Craxi. Lontano sia dalla lingua dell'esponente socialista sia da quella del politico democristiano è il linguaggio di Mario Capanna leader di Democrazia proletaria: innanzitutto per quanto riguarda la scelta della lingua del suo intervento; Capanna nel suo intervento al Parlamento europeo del 1979 optò per svolgerlo in latino come segno di contestazione verso i partiti politici tradizionali. Lo stile di Capanna difatti ricorda quello di Marco Pannella, egli nei suoi discorsi usa termini che contrastino in maniera netta col lessico della politica tradizionale: vi si ritrovano per esempio un uso traslato di alcuni vocaboli. Nel suo intervento inoltre Capanna alterna parole auliche con formule popolari, linguaggio basso e prelievi dal lessico comune.

Tornando all'analisi della lingua dei presidenti della Repubblica è da osservare come anche anche nel successore di Sandro Pertini, Francesco Cossiga, si prosegua nel solco della semplificazione:: nei discorsi del capo dello Stato sardo si assiste all'uso di frasi brevi, ripetizioni ed ellissi, è da registrare inoltre una riduzione dell'impiego dei tempi verbali, tipico tratto del linguaggio neo-standard. In Cossiga vi è poi la tendenza all'impiego di immagini evocative e a effetto, figure di suono e antitesi. In aggiunta a ciò da notare come nel linguaggio di Cossiga siano usati, come già notato per altri esponenti democristiani, riferimenti alla religione e inoltre termini-chiave, a titolo esemplificativo cito la parola libertà che diventerà centrale nella lingua politica degli anni Novanta. In ultimo è da segnalare un vasto uso della prima persona plurale, in Pertini era io, un utilizzo sporadico della sintassi burocratico-giuridica e infine la tendenza all'enumerazione e all'amplificazione.

All'opposto lo stile di Claudio Martelli, altro esponente del Partito Socialista, risulta essere organizzato secondo una sintassi ricca e articolata sconfinante quasi nel barocchismo, con periodi lunghi, termini aulici alternati a un linguaggio più basso e colloquiale. Si ha inoltre un vasto uso di aggettivi, di avverbi e di immagini evocative e di metafore. Infine nella lingua di Martelli è da segnalare l'impiego marginale dei verbi sostituiti dal fenomeno della nominalizzazione.

È tuttavia con l'avvento della cosiddetta seconda Repubblica che il linguaggio della politica subisce un vistoso cambiamento: come ha osservato Giuseppe Antonelli col passaggio alla lingua di Silvio Berlusconi e Umberto Bossi si ha la trasformazione dal paradigma della superiorità, dove venivano usate parole difficili, a quello del rispecchiamento in cui invece si ha

l'impiego di forme immediatamente comprensibili. Si assiste quindi all'abbandono dei nessi ossimorici, per esempio quelli caratteristici di Aldo Moro, e all'inizio dell'uso dell'argumentum ad personam (nelle invettive di Bossi) e all'endoxa. Con Berlusconi inoltre, ha osservato ancora Antonelli, si ha per la prima volta chiara l'incidenza che la televisione ha nella comunicazione politica, per esempio attraverso l'uso di neologismi coniati con i prefissoidi tele- e video- come teleconizzatore, teledeputato, telegoverno, teleparlamento, telesindaco e videocrazia, videogiudice. Si può affermare quindi come, in senso più largo, la politica si sia in qualche modo subordinata ai media.

Come ho già accennato l'ingresso in politica di Berlusconi ha segnato un forte cambiamento linguistico: introdotto in prima istanza da una forte personalizzazione e dall'avvicinamento attanziale. Sotto il profilo linguistico si ha la cancellazione del linguaggio aulico, l'uso di un

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