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Sondaggi sul linguaggio della politica dal dopoguerra a oggi

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Academic year: 2021

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Indice

INTRODUZIONE...2 ...5 1 Capitolo- Anni 1948-1954...5 2 Capitolo Anni 1954-1964...23 3 Capitolo Anni 1964-1974...37 4 Capitolo - Anni 1974-1984...71 5 Capitolo-Anni 1984-1994...106 6 Capitolo- Anni 1994-2004...138 7 Capitolo- Anni 2004-2014...166 8 Capitolo riassuntivo...181 BIBLIOGRAFIA...193

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INTRODUZIONE

Secondo Harold Lasswell, politologo e teorico della comunicazione statunitense, il linguaggio “della politica è il linguaggio del potere; è il linguaggio della decisione. Esso registra e modifica le decisioni: è il grido di battaglia, verdetto e sentenza, statuto, ordinanza e norma, giuramento solenne, notizia controversa, commento e dibattito”.1 Allo stesso modo, Murray

Edelman, studioso di sociologia e psicologia politica, nel suo saggio pubblicato nel 1964 Gli usi simbolici della politica, affermò che il linguaggio non si definisce politico perché utilizzato dai politici, ma poiché è il codice attraverso il quale si esprime una relazione di potere: “La politica imprime al linguaggio delle caratteristiche specifiche che lo qualificano per l’appunto come politico”.

Mettendo da parte le definizioni dei due esperti, non è possibile dare una definizione univoca di linguaggio politico. Se questo è possibile farlo per il termine per la politica, descritta dal Sabatini Coletti, come arte, scienza del governo e dell'amministrazione dello Stato, non è altrettanto fattibile per il linguaggio politico. Come ha affermato Paola Desideri, docente di didattica dell'italiano all'Università di Chieti e autrice di numerosi saggi di linguistica, il linguaggio della politica occupa tra i linguaggi settoriali, ossia tra i codici linguistici con un lessico proprio, una posizione di primo piano; tuttavia la realizzazione e la diffusione di tale linguaggio dipendono anche da fattori non solo linguistici, ma anche esterni come le situazioni nazionali e internazionali del momento, le condizioni economiche e sociali, i rapporti tra le forze politiche. Inoltre, ha spiegato ancora Desideri nella pagina dell'Enciclopedia dell'Italiano della Treccani dedicata al linguaggio della politica, il codice politico non è sottoposto solamente a regole intrinseche al testo scritto o al discorso stesso, è anche condizionato dalle modalità con la quale il messaggio viene recepito. Oltre a ciò è necessario dire che il linguaggio politico non possiede solo finalità educative o didattiche, uno dei suoi maggiori obiettivi infatti, è quella di convincere e ove possibile coinvolgere emotivamente gli elettori. Difatti il linguaggio politico non si serve solo, per rivolgersi ai cittadini, di messaggi scritti od orali, ma utilizza, oltre a elementi extra-linguistici come la mimica e la gestualità e finanche la mimica facciale, parole 1 Lasswell, 1979, p. 36.

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chiave, neologismi, formule a effetto, utili a creare o rafforzare il rapporto con i cittadini/elettori.

L'obiettivo di questa tesi è quindi di compiere un'indagine all'interno del linguaggio politico, secondo il punto di vista della linguistica. Tema dell'analisi saranno le forme linguistiche di testi riguardanti la politica italiana a partire dalla nascita della Repubblica Italiana e i primi governi democristiani fino ai giorni nostri, ponendo particolare attenzione alla prima metà degli anni Novanta, periodo che segna il passaggio dalla cosiddetta Prima alla Seconda Repubblica che ha costituito e modificato in maniera sostanziale il linguaggio della politica contemporaneo.

Prima di passare all'indagine vera e propria è utile tratteggiare, secondo lo schema tracciato negli anni Ottanta da Paola Desideri, i diversi fattori che incidono sul rapporto emittente-destinatario nell'ambito della comunicazione politica:

• la consistenza quantitativa dei destinatari. Essa varia al modificarsi del mezzo di comunicazione: diversa è la quantità, per esempio, delle persone che seguono un telegiornale e che leggono un quotidiano.

• La caratterizzazione ideologica dei destinatari. La comunicazione politica degli ultimi decenni ha visto un passaggio dai luoghi tradizionali della comunicazione politica, come le piazze o le sedi di partito, ai media dove il pubblico è più numeroso e potenzialmente più diversificato dal punto di vista ideologico e culturale. Ciò comporta che l'emittente adotti una lingua e una tecnica di argomentazione differente a seconda del ricevente. Se tra emittente e destinatario vi è una comune visione politica la comunicazione sarà rituale o interna: con l'obiettivo di conservare o rafforzare l'appartenenza. Mentre se emittente e destinatario si trovano su posizioni opposte (o se il destinatario non è politicamente collocato), la comunicazione sarà argomentativa o esterna, quindi rivolta potenzialmente a tutti gli elettori.

• La comunicazione politica talvolta si rivolge – in modo dichiarato o meno - anche o soltanto agli stessi uomini politici: i questo caso i messaggi si trasformano in “messaggi trasversali”, ossia la comunicazione è indirizzata solo in apparenza all'elettore, mentre in realtà punta all'alleato o all'avversario, o a entrambi.

• Fattori legati al canale della comunicazione: - presenza o assenza dl destinatario;

- carattere , unidirezionale o bidirezionale, del messaggio e della comunicazione

- grado di partecipazione al discorso da parte del destinatario: per esempio un dibattito televisivo consente un maggiore scambio tra i vari esponenti politici rispetto al discorso parlamentare, solitamente di carattere monologico.

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• -presenza o assenza di mediazione esterna tra emittente e destinatario (il conduttore televisivo o il giornalista).

Per concludere questa breve introduzione relativa alla definizione di linguaggio della politica e di alcuni dei fattori che compongono la comunicazione politica, è utile, a mio avviso, spiegare brevemente altre due strategie fondanti del linguaggio politico.

La prima tecnica è l' argumentum ad hominem, utilizzata frequentemente nella sofistica greca, tecnica della retorica che consiste nello screditare un'affermazione o un'argomentazione attaccando la persona che ha sostenuto tale idea, invece di confutare il ragionamento.

La seconda strategia è quella dell'endoxa, termine greco che significa insieme di credenze e opinioni.

Il filosofo greco Platone aveva condannato la doxa come punto di partenza per raggiungere la verità, Aristotele invece riconosce una valore agli endoxa, intesi come principi fondati sull'opinione che appaiono accettabili a tutti, oppure alla grande maggioranza, oppure ai sapienti, e tra questi o a tutti o alla grande maggioranza, o a quelli oltremodo noti o illustri Essi rappresentano, nonostante la loro "opinabilità", il tessuto di credenze condiviso da una comunità, o da un parte di essa. Per questa loro natura i luoghi comuni spesso rappresentano dei punti di partenza del nostro ragionamento.

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1 Capitolo- Anni 1948-1954

Premessa

Dopo la Liberazione del 25 aprile 1945 l'Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale, deposto il regime fascista, si avviava verso la ricostruzione. Dal punto di vista politico, successivamente al termine del conflitto, si insediò il primo governo, di unità nazionale, l'ultimo nella storia del regno d'Italia, presieduto da Alcide De Gasperi, formato dalla Democrazia Cristiana, dal Partito Comunista Italiano, dal Partito Socialista di azione proletaria (Psiup), dai liberali, dal Partito d'Azione e dal Partito Democratico del lavoro che rimase in carica fino al luglio 1946. Nel frattempo, un mese prima delle dimissioni del primo governo De Gasperi, il 2 e 3 giugno, si era svolto il referendum istituzionale che sancì il passaggio dalla monarchia alla Repubblica. Al primo esecutivo guidato da De Gasperi, durante il periodo di transizione dell'Assemblea Costituente, dal 1946 al 1948, seguirono altri tre governi di unità nazionale, sempre presieduti dal leader della Democrazia Cristiana. Il 1948, tuttavia, è un anno foriero di cambiamenti nella storia italiana: il primo gennaio, è entrata ufficialmente in vigore la costituzione, finita quindi la fase costituente si può procedere alla creazione di un vero governo politico, lasciandosi alle spalle l'esperienza gli esecutivi di unità nazionale. La Democrazia Cristiana fu il partito che uscì vincitore, ottenendo il 48,51% dei voti, e riuscendo ad aggiudicarsi, caso unico nella storia politica italiana, la maggioranza relativa dei voti e quella assoluta dei seggi di entrambi i rami del Parlamento.

Chi invece uscì sconfitto dalle consultazione fu il Fronte popolare democratico, di cui facevano parte il Partito Comunista e il Partito Socialista, che ottenne il 30,98% delle preferenze. Ma le elezioni dell'aprile 1948 si svolsero in un clima di crescente tensione internazionale: il clima di

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collaborazione che aveva caratterizzato i primi anni della Repubblica, lasciò ben presto il passo a una durissima contrapposizione ideologica: sul fronte internazionale tra gli Stati Uniti e la Russia stava emergendo uno stato di guerra fredda. Inoltre nel 1947 il presidente del De Gasperi si recò negli Stati Uniti e ottenne dal presidente Harry Truman rassicurazioni riguardanti aiuti economici da parte degli Usa, vista la grave situazione in cui versava l'Italia nell'immediato dopoguerra. In questo modo, il Piano Marshall, uno dei programmi statunitensi per la ricostruzione dell'Europa che venne esteso anche all'Italia, divenne uno degli argomenti centrali di propaganda delle consultazioni politiche dell'aprile 1948, che furono percepite dagli italiani come un referendum pro o contro il comunismo.

Nacque così il quinto governo guidato da De Gasperi, di cui questa volta però non faceva parte alcuna forza politica comunista o socialista. Ne entrarono a far parte formazioni minori che avevano già fatto parte dei precedenti esecutivi, il Partito repubblicano, il Partito liberale e il Partito socialdemocratico.

Si inaugurò una nuova fase politica, quella del Centrismo, che aveva come forza politica dominante la Democrazia Cristiana.

È in questo clima che, nel maggio del 1948, si aprì la prima legislatura della Repubblica Italiana. Dopo aver compiuto questa breve premessa, necessaria per inquadrare il contesto storico-politico, è venuto il momento di introdurre, anche dal punto di vista linguistico, i discorsi dei personaggi politici che hanno caratterizzato il periodo.

Il primo che ho scelto è quello di Alcide De Gasperi, figura centrale della Democrazia Cristiana e Presidente del Consiglio, pronunciato il 1° giugno 1948 alla Camera dei deputati.

Non ho potuto, tuttavia, riportare, vista la lunghezza, il discorso nella sua interezza, ne ho scelto i passaggi, a mio avviso, più significativi.

Onorevoli colleghi, nel manifesto pubblicato dal Governo, all'atto della convocazione dei comizi, si metteva in rilievo che i gruppi in esso rappresentati avevano fornito la prova che una politica positiva ed efficace può essere fatta anche con la collaborazione di partiti d'origine diversa, quando una sia la direttiva, quella di rivolgere ogni cura alla salvezza e al progresso delle classi popolari; comune, e senza riserve di natura totalitaria, la fedeltà alla democrazia nella sua forma repubblicana; non contrastante la visione dei problemi internazionali e infine la collaborazione sia sincera e leale, tanto nel Governo, quanto nel paese. Chiudevamo l'appello, esprimendo la fiducia che il paese, chiamato alle urne, avrebbe visto nelle linee fondamentali comuni al nostro schieramento, le possibilità ricostruttive dell'avvenire. Richiamare questo manifesto, ricordare come esso, pur non impedendo la libera gara dei vari gruppi, rispecchiatasi poi nei risultati elettorali, sopravvisse quale espressione sempre valida di uno schieramento esperimentato, equivale a spiegare perché il Governo da me presieduto, sorretto da oltre 16 milioni di voti, si presenti alle Camere, sia pure con alcune modificazioni nella sua compagine, a chiedere la vostra fiducia. La democrazia cristiana ha inteso promuovere un Governo solido e stabile, perché la stabilità è una condizione necessaria per poter fare una politica ricostruttiva e riformatrice. Se questa stabilità, oltre che appoggiarsi su un centro robusto, si raggiunge con la lealtà e la concordia di gruppi che aspirano sinceramente alla giustizia sociale e,

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preoccupandosi della libertà e della forma repubblicana, la vogliono sostanziata di riforme popolari, essa sarà fondata, oltre che sul numero, anche sulla confluenza di più vaste correnti politiche e sociali. La democrazia cristiana si presenta così non come un blocco informe, ugualmente aperto a tutte le influenze più contraddittorie, ma - per la consapevolezza dei suoi quadri direttivi e organizzativi, per l'adesione cosciente dei suoi militanti - come un partito innovatore e progressista che attinge le sue ispirazioni alla scuola cristiano-sociale; un movimento che rappresenta una parte cospicua di lavoratori della terra e dell'industria e ne interpreta e accompagna il cammino ascensionale; una corrente solidarista che ha però cura soprattutto dei ceti medi e delle classi popolari. La mia dichiarazione fatta alla vigilia delle elezioni: «...la democrazia cristiana è il partito del popolo minuto, il partito che ripudia ogni spirito di reazione e marcia verso le riforme per la giustizia sociale...» non era uno slogan elettorale, ma esprimeva un programma che scaturisce dalla sorgente originaria della nostra vitalità politico-sociale, cioè dallo spirito della fraternità cristiana; sorgente più viva che mai ora che, come si è rivelato nelle opere di solidarietà del dopoguerra, quasi ad antidoto delle efferatezze passate e delle ansie della ricostruzione, rinascono nel popolo italiano le energie spirituali di fede, di libertà, di civiltà che fecero grande la nazione nel suo primo risorgimento. Nessuno è autorizzato ad interpretare la vittoria del 18 aprile con senso di conservazione egoistica. Certamente noi siamo dei realizzatori, che non devono ignorare le necessità della produzione. Ma se affrontiamo il problema dei costi, non è semplicemente col fare appello alle organizzazioni operaie e chieder loro, nel proprio interesse e per solidarietà con i disoccupati, di facilitare il rendimento delle imprese e non frustrarlo con eccessive agitazioni o con scioperi che si possono evitare, ma nel contempo e prima ancora chiediamo che i datori di lavoro facciano dei sacrifici, riducendo i margini del guadagno o reinvestendo le riserve fatte nel tempo della prosperità. Capitale e lavoro devono contribuire a rendere possibile un periodo di assestamento e di rinnovamento, al fine di poter poi riassorbire in maggior numero la mano d'opera.

Eccone un passaggio centrale:

Lo Stato non intende agire con spirito di persecuzione o rappresaglia, ma vuole creare quell'ambiente di sicurezza per tutti sotto l'egida di forze pubbliche imparziali, il quale è la premessa indispensabile per la composizione di tutti gli odi del dopoguerra. La pacificazione significa, come ha scritto un vecchio giornalista in un libro che fa riflettere, spezzare la spirale della vendetta.

La conclusione:

Signori deputati, il Governo è pronto a fare tutto il dovere suo, e chiede e cerca nella collaborazione più intensa e più schietta col Parlamento di attingervi forza, autorità e consiglio per l'opera di salvezza che dobbiamo compiere nella comune responsabilità innanzi a Dio e al popolo italiano. 2

Il linguaggio di De Gasperi, come ha osservato Maria Vittoria Dell'Anna nel breve saggio Lingua italiana e politica, era impostato secondo le procedure del discorso didattico, infatti molti dei suoi interventi contenevano passaggi e sequenze presentati come oggettivamente veri. Inoltre il modo di parlare caratteristico De Gasperi, come ha recentemente affermato anche la figlia Maria Romana, derivava anche dalla sua formazione austriaca. Prima di essere un importante uomo politico italiano, Alcide De Gasperi, vista la sua origine trentina, nel 1911 fu 2 Alcide De Gasperi, Discorsi Parlamentari (1921-49), Camera dei deputati, Segreteria generale Ufficio stampa

e pubblicazioni, Roma, 1985, pp. 371- 391.

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deputato nel Parlamento austriaco.

Dal punto di vista linguistico, il discorso pronunciato da De Gasperi, per chiedere la fiducia al primo governo della Repubblica, ha innanzitutto un intento pedagogico: sebbene il leader della Democrazia cristiana usi uno stile piano, senza sussulti, riesce lo stesso a trasmettere con efficacia il senso delle sue parole. La prima parte del discorso è dedicata alla descrizione dei precedenti governi in cui si era potuta portare avanti lo stesso una politica positiva ed efficace: qui è ben visibile una delle cifre del discorso degasperiano, l'utilizzo della dittologia sinonimica, difatti il politico trentino aveva la tendenza di accoppiare due parole affini che gli permettessero di rafforzare la spiegazione di un concetto. Altri casi di questo tipo si trovano poco più avanti in sincera e leale, in governo solido e stabile e politica ricostruttiva e riformatrice, negli ultime due è ravvisabile anche la forma allitterante. Vi sono, inoltre, sempre nella prima parte del discorso, termini che caratterizzano l'intenzione unificatrice e di distensione che De Gasperi ha, rivendicando il passaggio, anche grazie ai precedenti esecutivi, dalla dittatura alla forma democratica, su questa contrapposizione De Gasperi torna più volte. Tuttavia, come ho già accennato la volontà di De Gasperi è di porre fine, almeno temporaneamente, ai contrasti che hanno contraddistinto la campagna elettorale. La Democrazia Cristiana e le altre forze dell'esecutivo, concorsero alla cura alla salvezza e al progresso: proprio questi due termini afferiscono all'area semantica della ricostruzione e del rinnovamento rispetto ai vent'anni precedenti. Sempre secondo quest'ottica si può leggere anche l'uso dell'espressione collaborazione sincera e leale, mentre la volontà di porsi come elemento di novità concreta per il futuro si rintraccia nell'espressione le possibilità ricostruttive dell'avvenire.

Inoltre, una delle parole chiave utilizzate varie volte dallo statista trentino è stabilità, declinata sia come aggettivo sia come sostantivo, intesa come condizione necessaria per l'attuazione di una politica di riforma. Tali riforme politiche dovranno essere basate su due valori come sono la lealtà e la concordia, che segnano la fine della stagione precedente. L'uso di questi due termini, a mio avviso, non è casuale, spiegano la volontà di rafforzare l'alleanza di governo e tracciare un solco ancor più netto con il Pci. Nel Presidente del Consiglio è poi presente la volontà di mostrare il suo partito, la Democrazia cristiana, come una forza innovatrice e progressista. Finora scevro di una caratterizzazione lessicale che riconducesse a un'ideologia politica, o quantomeno a un'identificazione precisa: essa invece emerge dall'utilizzo espressione cammino ascensionale che richiama il lessico religioso e nella fattispecie l'ascesa di Cristo al cielo dopo la resurrezione. Quindi, secondo me, l'uso di una locuzione del genere può avere una doppia valenza. Sia di affermazione della propria fede cristiana, sia metaforica, il cammino ascensionale rappresenta il percorso che dovrà fare l'Italia verso l'innovazione e le riforme. Come ha rilevato Paola Desideri, De Gasperi ricorreva a traslati di provenienza biblica ed

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evangelica, attribuendo in questo modo ai suoi discorsi una dimensione sacrale ed ecclesiale. Anche più avanti, all'interno del ragionamento del Presidente del Consiglio pronunciato alla Camera ritornano più volte espressioni che ricordano l'ambito religioso come spirito di fraternità cristiana oppure rinascono nel popolo energie di fede o ancora nell'utilizzo, più volte, del termine solidarietà.

Vi è poi, nel discorso di De Gasperi una contrapposizione tra le fonti di vita e le efferatezze del passato, inoltre oppone i valori portati dalla solidarietà della Democrazia Cristiana al pensiero egoistico di chi invece ritiene che il governo non sarà in grado di fare il bene dell'Italia.

Tuttavia, come ho già affermato anche in precedenza, questo primo discorso che De Gasperi pronuncia alla Camera dei deputati è tutto improntato alla moderazione, come si può evincere dal secondo estratto del discorso: la costruzione dello stato può essere costruito sulla base della sicurezza, estirpando gli odi del dopoguerra. In questo caso De Gasperi attinge al campo semantico della protezione e dei sentimenti umani: la sicurezza contrapposta alla rappresaglia, la pacificazione come unico strumento per riuscire a spezzare la spirale della vendetta, quest'ultima è un'immagine molto evocativa. Invece, nell'ultimo passo che ho scelto di analizzare, sono citati alcuni termini quali forza, autorità che richiamano l'area semantica della vitalità e del vigore, mentre responsabilità e collaborazione richiamano quella dell'impegno. In conclusione, due ultime notazioni da fare: nell'ultima parte del discorso di De Gasperi si ritrova la scelta di affiancare due aggettivi per dare maggior forza al concetto da esprimere, rintracciata già all'inizio, in questo si ha intensa e schietta, non abbiamo tuttavia la dittologia sinonimica. Infine, nella conclusione del ragionamento troviamo, questa volta in maniera evidente, l'utilizzo di vocaboli in chiave religiosa: qui, però De Gasperi compie un vero e proprio richiamo a Dio, affinché lo sostenga nello svolgimento di un compito così importante. Concludendo questa prima analisi, è necessario sottolineare come il linguaggio di Alcide De Gasperi sia colto: utilizza infatti un lessico forbito, le frasi sono elaborate e costruite utilizzando varie subordinate, ma al contempo, come ho già affermato, il leader della Dc ha in questa fase uno stile disadorno, che non mostra alcuna ampollosità. Non sono poi presenti inflessioni dialettali e anche dal punto di vista retorico poche sono le figure rintracciate, la dittologia sinonimica e la metafora, sebbene solamente in un caso.

Di tutt'altra tipologia sono i discorsi di Palmiro Togliatti, segretario e una delle figure principali del Pci, come emerge dai discorsi tenuti alla Camera dei deputati nel giugno del 1948 sulla fiducia al governo De Gasperi: come ha spiegato Maria Vittoria Dell'Anna, l'eloquio de Il Migliore, epiteto col quale solitamente era indicato Togliatti, si basava su enunciati costruiti su un ragionamento rigidamente dimostrativo e didascalico, come bene si può osservare in questo primo estratto:

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Onorevoli colleghi, premetto che io non sono un giurista. Credo che questa sia una mia fortuna; ritengo però che in questo momento sia una fortuna anche per voi, poiché in conseguenza di questo fatto le mie parole saranno brevi e io non entrerò nelle sottigliezze di interpretazioni giuridiche in cui si sono addentrati altri colleghi. La questione per me è politica ed è, quindi vano, che il Presidente del Consiglio ci dica di aver consultato, dopo l'obiezione di incostituzionalità del suo Governo era stata fatta pubblicamente, degli esperti. Il Presidente del Consiglio in questa materia – cioè in tutto ciò che si riferisce all'applicazione della Costituzione della Repubblica – è e deve essere l'esperto di se stesso. Ciascuno di noi, anzi, è l'esperto di se stesso in questo campo, poiché la Camera ha in questa materia pieni poteri, che nessuno le può togliere con argomentazioni basate su troppo sottili distinzioni giuridiche. […] Voi non avete dunque giurato al Presidente della Repubblica. È una dimenticanza? È una negligenza? Non avete consultato gli esperti? Non lo so; non mi interessa; non faccio il processo alle intenzioni; però metto in rilievo il fatto, e il fatto resta. Voi non avete giurato. Quindi non siete costituzionalmente Presidente del Consiglio e Governo costituito secondo la Costituzione. Così io credo che ragioneranno in Italia tutti gli uomini semplici. […] Permetteteci, onorevoli colleghi, di non tenere nessun conto dei consigli e dei giudizi di questa marmaglia. Permetteteci di regolarci a seconda di quella che è la nostra convinzione, e a seconda del modo come consideriamo la situazione politica del nostro Paese. Ed è qui che si inserisce l'eccezione che oggi solleviamo, sia essa di piccolo o grande peso. Noi vediamo costituirsi, noi sentiamo che si costituisce, sulla base dei risultati del 18 aprile, quello che ormai si può qualificare un “regime” particolare; un regime di cui la norma prima è la violazione, da parte dell'autorità dello Stato – a cominciare dal Presidente del Consiglio e dai suoi ministri – delle leggi dello Stato repubblicano.3

Occorre innanzitutto contestualizzare il discorso di Togliatti: il ragionamento appena trascritto di uno dei fondatori del Partito Comunista è stato infatti pronunciato alla Camera dei deputati il 3 giugno 1948 dopo che due giorni prima, uno dei suoi colleghi di partito, Fausto Gullo, presentò contro l'esecutivo presieduto da Alcide De Gasperi che si stava per insediare una pregiudiziale di incostituzionalità.

Tuttavia, dopo aver compiuto questa doverosa precisazione, passiamo adesso all'analisi linguistica del discorso pronunciato da Togliatti: come avevano rilevato Dell'Anna e Riccardo Gualdo, all'interno del suo breve saggio intitolato Il linguaggio politico, allo stile sobrio e misurato di De Gasperi, i cui concetti chiave erano il servizio e la lealtà, si sostituisce lo stile lucido e tagliente, con un'architettura saldamente organizzata, attenta alla dispositio, ossia l'ordinare i pensieri nel discorso in modo da poter raggiungere lo scopo prefissato, più che alla exornatio, ovvero l'azione che tende più a privilegiare l'abbellimento, attraverso artifici retorici, del discorso. Tuttavia, come è già possibile osservare all'inizio del discorso, Togliatti utilizzava tecniche di matrice forense: non a caso, a mio avviso, esordisce affermando di non essere un giurista, egli infatti sceglie in primo luogo di porsi non come un politico chiamato a votare o meno la fiducia verso il governo che si è appena formato, ma opta per mostrarsi come un 3 Palmiro Togliatti, Discorsi parlamentari ( 1946- 1951), Camera dei deputati, Segreteria generale- Ufficio

stampa e pubblicazioni, Roma,1984, pp. 290- 291- 292- 293.

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avvocato difensore della pregiudiziale di costituzionalità presentata. Nell'incipit del suo discorso inoltre Togliatti ha un atteggiamento si potrebbe dire quasi di ironia e anche di sfida nei confronti dell'uditorio: credo che questa sia una mia fortuna, ritengo però che in questo momento sia una fortuna anche per voi. Di seguito ha inizio l'attacco nei confronti del Presidente del Consiglio, che attua utilizzando in particolar modo un lessico di tipo giuridico, anche perché la materia trattata lo consente; si può vedere per esempio obiezione di incostituzionalità e nella parte che non ho trascritto usava proposito pregiudiziale. È evidente nell'uso che Togliatti fa della ripetizione, utilizzando più volte il termine esperto, il suo intento polemico, di messa sotto pressione del suo interlocutore. Oltre alla ripetizione della parola esperto, si può osservare l'iterazione dell'espressione esperto di se stesso, in cui è sempre evidente la volontà polemica del segretario del Pci, tuttavia dal punto di vista retorico non è ravvisabile l'uso della figura del poliptoto, in quanto la locuzione sebbene sia ripetuta a breve distanza non modifica la funzione morfosintattica. La prima parte del discorso di Togliatti, ha anche a mio avviso, come già affermato in precedenza da Gualdo e Dell'Anna una struttura potremmo dire geometrica: infatti, è visibile la distribuzione interna del discorso, divisa strettamente in premessa, sviluppo e conclusione. Tuttavia, come ha sottolineato anche Michele Cortelazzo nell'articolo Palmiro Togliatti, l'architetto del sistema logico, non mancano interrogative retoriche, come è possibile osservare in questo passaggio Voi non avete dunque giurato al Presidente della Repubblica. È una dimenticanza? È una negligenza? Non avete consultato gli esperti? in cui si può comprendere l'intenzione di Togliatti di sminuire il potere del governo. A mio avviso però, in questo passo oltre alla domanda retorica, è da notare l'utilizzo dell' argumentum ad hominem: Togliatti infatti non confuta più direttamente la presenta incostituzionalità del governo di De Gasperi, ma attacca direttamente il Presidente del Consiglio e i ministri del suo governo. A conferma di ciò Togliatti vuole mettere in evidenza ciò che è stato compiuto da chi è alla guida dell'esecutivo, e lo fa a livello linguistico ripetendo più volte, per dare ancora più forza alla sua tesi, il termine fatto. Inoltre un'ulteriore caratteristica del linguaggio togliattiano è l'impiego di frasi brevi e lapidarie, come nel caso di Voi non avete giurato, in cui si può vedere anche la funzione deittica del Voi in riferimento al De Gasperi e al suo governo.

Se in precedenza, nel caso del l'iterazione dell'espressione esperto di se stesso non vi era un poliptoto perché non si assisteva a un cambiamento morfologico, nel caso di costituzionalmente – governo costituito – Costituzione, si può ravvisare l'utilizzo di questa figura retorica: per avvalorare la sua argomentazione Togliatti attua questo gioco di parole utilizzando il termine costituzione nel suo ragionamento prima come avverbio, poi come verbo e infine come sostantivo, con l'intenzione anche, secondo il mio punto di vista di costruire un percorso ascendente, un climax nella struttura argomentativa del discorso. Qui però il tono e il punto di

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vista di Togliatti cambiano, non è più il politico che ragiona in in ambito istituzionale ma l'uomo semplice che non ha dimestichezza con le sottigliezze della politica. Nella parte successiva del ragionamento pronunciato da Togliatti per la fiducia al Governo De Gasperi, il punto di vista cambia nuovamente, il segretario del Partito Comunista non parla più in prima persona singolare ma utilizzando la prima persona plurale, il noi. Dal punto di vista retorico è possibile vedere l'uso della figura dell'anafora, nella ripetizione all'inizio della frase della parola permetteteci, Togliatti inoltre mette da parte il linguaggio sobrio e neutro finora utilizzato, impiegando termini come marmaglia, insieme di persone disprezzabile e disonesta: da qui parte il secondo climax che arriverà a definire il governo guidato da De Gasperi come un regime, facendo uso anche qui della figura retorica della ripetizione; tuttavia come si era già visto all'inizio Togliatti continua a usare termini derivanti dal linguaggio giuridico, ravvisabile nel caso del termine eccezione. Volevo poi mettere l'accento sull'espressione del modo come consideriamo la situazione prima del verbo di opinione Togliatti ripete, anche a livello grammaticale, lo stesso concetto, infatti accanto al sostantivo modo troviamo anche come con la funzione di congiunzione.

A parte queste brevi notazioni grammaticali, il linguaggio di Togliatti risulta pacato e soprattutto rigoroso, e a differenza di quello di De Gasperi, almeno per ciò che è stato analizzato, non contiene metafore.

Ma nel panorama della politica dell'inizio della storia della Repubblica Italiana, oltre ai già citati Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi, vi è un altro personaggio che ha ha avuto un approccio diverso al linguaggio politico, anche per la sua formazione giornalistica, rispetto ai suoi colleghi che utilizzano un lessico più tradizionale. Si tratta di Pietro Nenni, uno dei fondatori e leader storico del Partito Socialista Italiano, di cui è stato più volte segretario e in cui ha militato fino al 1980, anno della sua morte.

Una delle principali caratteristiche del linguaggio politico di Nenni è l'attuazione dell'avvicinamento attanziale, embrayage secondo la terminologia francese, ovvero la tecnica, come è spiegato nel saggio di Riccardo Gualdo e Maria Vittoria Dell'Anna La faconda repubblica, che punta a coinvolgere, sedurre, imbrigliare l'ascoltatore, in modo che si crei una stretta identificazione.

E ciò si può già vedere nel discorso che Nenni pronunciò l'11 giugno 1948 alla Camera dei deputati sulla fiducia al quinto governo De Gasperi, all'indomani delle elezioni politiche del 18 aprile.

Troppo lungo per esser analizzato tutto, come ho già fatto anche in precedenza ho scelto alcuni estratti che ho ritenuto essere i più significativi a livello linguistico. Nella prima parte del discorso Nenni contesta la Democrazia Cristiana, affermando che la loro campagna elettorale è

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stata costruita su paure, quella del peccato e quella del comunismo.

Codeste grandi paure si insinuano, si accentuano, esplodono e poi passa il tempo e ci si accorge che sono la mascheratura degli interessi di classe. In questi giorni Panfilo Gentile, storico un poco «salotier», di 50 anni di socialismo in Italia, ha fatto la constatazione che la grande paura della fine dell'Ottocento, quando, come oggi, in questo sciopero si vedeva una innovazione e ogni moto di piazza era gabellato per rivoluzione, altro non era che una reazione borghese al movimento operaio e socialista « guidata solo dall'istinto generico di conservazione». […] Voi avete cominciato nel 1947 a fare senza di noi per poi passare alla seconda fase, quella delle elezioni contro di noi. Già oggi dimostrate che l'opposizione vi riesce intollerabile, onde non è arbitrario pensare che subite già la spinta a sbarazzarvene. […] Io aggiungerei due osservazioni: che esso è paragonabile ad un polmone d'acciaio il quale permette, è vero, di respirare, ma che se si arresta condanna alla morte. […] Noi diciamo «no» in modo assoluto. Se il Presidente del Consiglio mi consente di valermi di una sua espressione, dirò che « costi quel che costi », l'Italia non deve aderire al blocco occidentale, né nella forma che esso ha assunto con il patto dei Cinque a Bruxelles, né in quella, che sembra ci sia suggerita, di un patto mediterraneo, qualcosa come il club dei pezzenti a lato del club dei signori, che sarebbero i cinque di Bruxelles. Su questo punto noi siamo intransigenti, perché consideriamo l'adesione dell'Italia al blocco occidentale come la condanna del popolo italiano a fare la guerra per conto di terzi, come una inserzione nel processo di guerra di difesa capitalista che è in corso in Europa, e che passa sotto il nome di «occidentalismo» o di «europeismo».4

Il linguaggio Di Nenni, come è già possibile osservare in questo breve estratto del discorso tenuto alla Camera, è sensibilmente diverso rispetto a quello di Togliatti o De Gasperi, non solamente per l'avvicinamento attanziale, tecnica comunicativa che mira a coinvolgere l'ascoltatore costruendo una stretta identificazione tra emittente e destinatario; il suo diverso approccio è ben comprensibile, ma si differenzia anche per il lessico utilizzato. Lo stile di Nenni, a differenza di quelli del Presidente del Consiglio e del segretario del Partito Comunista che hanno un eloquio sobrio e rigoroso, si distingue per essere colorito e soprattutto polemico. All'inizio del breve passo che ho riportato si può già rilevare come Nenni utilizzi argomentazioni e un atteggiamento più aggressivi, tuttavia ben sviluppato anche dal punto di vista retorico: già in apertura è visibile una figura retorica in Codeste grandi paure si insinuano, si accentuano, esplodono. L'accostamento di tre elementi può far pensare che si tratti della figura tricolon, tuttavia i termini abbinati non sono sinonimi, quindi ritengo che i tre vocaboli costituiscano un climax ascendente, che serve a Nenni per descrivere la situazione di politica interna ed estera italiana.

Inoltre nell'incipit del ragionamento si può osservare un elemento in precedenza non ancora evidenziato, l'inserimento di forestierismi. Alla fine degli anni Quaranta nei discorsi dei politici italiani non si trovano termini stranieri integrati o calchi di parole straniere, fenomeno che prenderà piede solo negli anni Cinquanta, periodo in cui la Guerra Fredda toccò la sua fase più dura e che segnò l'ingresso all'interno del linguaggio politico, come ha spiegato Giuseppe 4 Pietro Nenni, Discorsi Parlamentari (1946 – 1979), Camera dei deputati, segreteria generale – Ufficio stampa e

pubblicazioni, Roma, 1983, pp.73, 79.

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Antonelli, di anglicismi, o meglio di angloamericanismi, integrati come leadership e summit e di calchi come nel caso di superpotenza ricalcato da superpower o caccia alle streghe ripreso da witch hunt. Tuttavia nel nostro caso, Nenni non si serve di anglicismi bensì di un francesismo salotier per descrivere l'atteggiamento dello storico Panfilo Gentile: dal Settecento fino agli inizi del XX secolo, come ha osservato Roberta Cella nel suo articolo sui francesismi inserito nell'Enciclopedia dell'Italiano della Treccani, l'afflusso di termini provenienti dal francese continuò ininterrottamente fino agli anni Trenta del Novecento, quando il purismo imposto dal regime fascista comportò la censura dei prestiti non adattati. Tuttavia la lingua francese ha sempre ricoperto una funzione di prestigio e ha inciso in modo profondo sul lessico intellettuale, rinnovando o introducendo nuovi significati nei settori della politica, dell'amministrazione, dell'economia, della filosofia5. Tornando all'analisi del discorso del segretario del Partito

Socialista è utile osservare come Nenni abbia lasciato alla forma originaria il termine francese, per dare forse forse al suo discorso uno stile ancor più vivace, è comunque da rilevare come una delle caratteristiche del linguaggio di Nenni, come ha affermato Maria Vittoria Dell'Anna, è l'accoglimento di vocaboli derivanti dalle maggiori lingue europee (inglese, francese, tedesco). Particolare è inoltre il modo in cui viene utilizzato il verbo gabellare, il cui significato originario è quello di tassare, sottoporre a gabella, utilizzato viceversa da Nenni in senso figurato col significato di far passare qualcosa o qualcuno per qualcos'altro.

Nel passo successivo del ragionamento pronunciato da Nenni ha inizio la vera e propria invettiva contro il governo presieduto da De Gasperi: al voi Democrazia Cristiana e gli altri partiti che formano la coalizione Nenni contrappone il noi del Partito Socialista e del Fronte popolare, di cui faceva parte anche il Partito Comunista, uscito sconfitto dalle elezioni politiche dell'aprile 1948. A mio avviso però rispetto al discorso tenuto da Togliatti, quello di Nenni ha uno stile ancora più polemico e aggressivo, si nota anche dal lessico scelto, come nel caso di sbarazzarvene, termine che conferisce al ragionamento una patina colloquiale. Un altro dei caratteri del linguaggio di Nenni è il ricorso all'uso delle metafore come nel caso in cui il segretario del Psi paragona il Piano Marshall a un cuore d'acciaio, attingendo al campo semantico delle apparecchiature mediche: se da una parte il progetto americano di aiuti all'Europa poteva essere fonte di salvezza per l'Italia appena uscita dalla guerra, al contempo se questi aiuti non venissero stanziati, si potrebbero avere effetti negativi per l'economia italiana. Come si è già visto in Togliatti, anche in Nenni si rintracciano frasi brevi e a effetto come si può osservare in Noi diciamo «no» in modo assoluto.

Oltre a sbarazzarvene Nenni ricorre in un altro caso a locuzioni che riconducono a un registro stilistico più basso, come è possibile osservare in costi quel che costi: si può però affermare che 5 Roberta Cella, L'enciclopedia dell'italiano, Lego, Vicenza, 2010, pp. 520- 524.

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l'uso di forme colloquiali o che si rifacciano a uno stile basso sia una peculiarità di Nenni, il quale grazie alla sua professione giornalistica era solito coniare anche formule originali che descrivano i vari sviluppi storico politici, come si può rilevare ne il patto dei Cinque, che stava a indicare, probabilmente con intento denigratorio, il patto di autodifesa stipulato a Bruxelles tra Regno Unito, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo nel marzo del 1948. Il tono aggressivo di Nenni più volte ricorre all'utilizzo di forme antitetiche come è possibile osservare nella distinzione che il deputato del Partito socialista fa quando parla di club dei pezzenti e club dei signori: in prima battuta possiamo notare l' uso da parte di Nenni di un altro forestierismo, club, per la precisione un anglicismo, non nuovo però al lessico italiano, dal momento che questo termine era entrato nella lingua italiana fin dal XVIII secolo. In secondo luogo però nell'espressione club dei pezzenti possiamo notare un'antitesi nell'antitesi, dal momento che la parola club identifica un circolo persone ristretto, nella maggior parte dei casi facoltose: Nenni secondo il mio punto di vista ha scelto di accostare il termine club e pezzenti (individui che vivono in condizioni di estrema povertà), per accentuare la distanza tra i due vocaboli messi in contrapposizione e far risultare la sua esposizione ancor più efficace, optando per l'uso di una formula che sia comprensibile anche al di fuori delle aule parlamentari. Nella conclusione dell'estratto del discorso di Nenni che ho riportato, secondo il mio parere vi sono due elementi da fare rilevare: il primo è l'uso ripetuto del termine guerra, in prima battuta utilizzato secondo il suo reale significato, e in seconda istanza viceversa utilizzato con un'accezione metaforica che richiama il settore militare, guerra di difesa capitalistica. In ultima analisi, è utile rilevare un fenomeno non ancora individuato in precedenza, l'uso dei suffissati in -ismo, che nel tempo è stato utilizzato soprattutto per la creazione di vocaboli che identificassero movimenti sociali, quali per socialismo o comunismo. In Nenni invece rintracciamo due termini che ben descrivono le tendenze politiche che si stavano diffondendo all'indomani della conclusione della Seconda Guerra Mondiale.

Oltre ai partiti di primo piano, nel 1946 subito dopo la fine del conflitto mondiale sulla scena politica si presentò un movimento totalmente nuovo, sorto attorno al giornale da cui ha preso il nome, conosciuto come il Fronte dell'Uomo Qualunque. Il suo fondatore era Guglielmo Giannini, giornalista, scrittore e regista campano che osteggiando sia il fascismo sia i partiti tradizionali volle creare un movimento che concepisse uno Stato senza nessuna natura ideologica ma semplicemente amministrativa e che avesse come punti cardine del suo programma la lotta al comunismo e la negazione della presenza della Stato nella vita sociale del Paese. Nonostante si fosse costituito solo da pochi mesi il partito fondato da Giannini si presentò alle lezioni del 2 e 3 giugno 1946 ottenendo il 5,3% dei voti, facendo eleggere 30 deputati, e diventando la quinta forza politica nazionale, dopo Dc, Psiup, Pci e Unione

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Democratica Nazionale. Alle consultazioni politiche del 1948 il Fronte dell'Uomo Qualunque confluì nella coalizione di destra del Blocco Nazionale, ottenendo rispetto a due anni prima un risultato molto inferiore, riuscendo a fare eleggere solamente 19 deputati e 10 senatori. Di lì a pochi mesi il partito si scioglierà, confluendo nel Partito liberale, nel partito Nazionale Monarchico e nel Movimento Sociale Italiano.

Nonostante la sua breve esistenza il movimento di Guglielmo Giannini ha comunque lasciato un segno, sia nel panorama della politica italiana sia nel lessico. L'eredità sicuramente più evidente si può rintracciare in un vocabolo, oggigiorno ormai entrato nel linguaggio corrente, ma che deve la sua creazione al Fronte dell'Uomo Qualunque, ovvero il qualunquismo. Col termine qualunquismo si intende l'atteggiamento di sfiducia nei confronti delle istituzioni e in generale di tutti i soggetti politici percepiti come distanti e ostacolo alla propria realizzazione personale. Fra i motivi di tale disprezzo, nei primi anni del secondo dopoguerra vi erano sia aspetti materiali, come i lutti derivanti dal conflitto o le città da ricostruire dopo i bombardamenti, l'impoverimento e aspetti ideali come la guerra persa, e si imputava quindi alle istituzioni di non essere in grado di far fronte ai gravi problemi dell'Italia. Il Fronte dell'Uomo Qualunque incarnava, o almeno era sua la sua volontà, il sentimento di smarrimento, delusione e di rabbia che molti italiano provavano appena usciti dalla guerra. Gli elementi del Qualunquismo sono, come recita la definizione del termine del Dizionario di Politica dell'Utet, l'esaltazione dell'individuo e del suo lavoro, la difesa della famiglia e della proprietà e la promozione dell'ordine e della legge. Di contro, l'attività politica, il ruolo dei partiti e ogni atteggiamento di dissenso nei confronti del sistema vengono considerati come fenomeni che turbano l'ordinata convivenza sociale, voluta dalla maggioranza, ad opera di minoranze aggressive e non rappresentative.6 Il picco più alto del suo successo tuttavia, anche come in

parte è stato già anticipato, il Fronte dell'Uomo Qualunque l'ha toccato non nel 1946. Già nel 1945, un anno prima dell'ingresso all'Assemblea Costituente, nel suo saggio politico intitolato La Folla. Seimila anni di lotta contro la tirannia, tratteggiava quale fosse la sua visione della politica

Anche un anno prima, nel primo numero del settimanale L'Uomo Qualunque, pubblicato il 27 dicembre 1944, nell'articolo di fondo aveva già spiegato, con un linguaggio inusuale quale fosse la sua visione dello Stato:

Abbasso tutti, siamo stufi, non ci rompete più le scatole! Noi vogliamo vivere tranquilli: vogliamo andare a teatro, uscire la sera, andare in vacanza, fumare, ordinarci un vestito nuovo, salire in autobus, non fare la guerra, salutare chi ci pare, non salutare chi non ci pare... Per questo, che ci importa dei vari uomini politici di professione, più o meno personalmente onesti e tutti ugualmente parassitari?...

6 AA. VV, Il Dizionario di Politica, Utet. Torino, 2004, p. 789.

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Quello che chiediamo, noi maggioranza della società civile e dello Stato, è che nessuno ci rompa più i coglioni. Nient'altro. È tragico che, tra i tanti politici di professione che si proclamano interpreti della volontà popolare, nessuno dica, con parole chiare e precise questa verità: basta con la rottura di coglioni... Un paese che non è costretto a occuparsi del suo governo è un Paese felice, lasciando che i cittadini godano della massima libertà civile. Lo Stato etico, il governo più morale di altri, che pretende di insegnare a pensare al cittadino quello che deve ritenere morale, giusto, bene, viola la libertà del cittadino... Fra Stato-padre e cittadino-figlio lo Stato non pensa che al suo interesse.

Come si può osservare fin dall'inizio l'eloquio del fondatore de L'Uomo Qualunque e quello dei segretari dei partiti tradizionali italiani è sensibilmente diverso: se da una parte si aveva un linguaggio paludato, colto, pedagogico, in Guglielmo Giannini rintracciamo invece, per una precisa volontà, l'esatto contrario. Nell'incipit del passo che ho riportato si può cogliere tuttavia l'essenza del suo messaggio, la politica e politici sono solamente un ostacolo alla libertà della popolazione: la prima proposizione è costruita secondo lo schema del climax ascendente costituito da tre elementi, separati da una virgola che tendono a rappresentare, anche utilizzando il loro stesso linguaggio, spicca l'espressione colloquiale e scurrile non ci rompete più le scatole!

che poco più avanti si trasformerà in un ancor più forte nessuno ci rompa più i coglioni,

espressione pronunciata per due volte, i sentimenti provati dagli italiani negli ultimi mesi del 1944, quando ancora la guerra non si era ufficialmente conclusa, Sono frasi brevi quelle di Giannini, costruite attraverso una sintassi paratattica e asindetica, senza metafore o giochi di parole, in cui è evidente il riferimento deittico del noi, da intendere come popolazione italiana oppressa dalla politica, anche nella ripetizione vogliamo è evidente la volontà di Giannini. Dal punto di vista linguistico, vi è un altro elemento di differenziazione rispetto ai discorsi degli esponenti di Psi, Dc e Pci, l'uso, in alcuni casi, non del punto fermo ma dei puntini di sospensione per conferire un senso di allusività al suo ragionamento.

L'intento di Guglielmo Giannini è quello di porsi come il distruttore di tutta la retorica dei politici di professione, come egli stesso li definiva: il suo obiettivo era di presentarsi agli elettori o ai lettori del suo settimanale come l'unico portatore di una reale novità dopo la caduta del fascismo. Un'altra delle caratteristiche del linguaggio di Giannini la si può rintracciare nell'ultima preposizione del passo che ho riportato, ovvero la volontà di creare nuove costruzioni linguistiche, come si può osservare nel caso di Stato-padre e cittadino-figlio. Dal punto di vista morfologico i due elementi sono dei composti, formati, in entrambi i casi, da due sostantivi posti sullo stesso piano, infatti non è possibile stabilire la preminenza semantica dei due termini. Tuttavia, l'apice del successo dl movimento di Guglielmo Giannini nel 1946, pochi mesi dopo il referendum che sancì la nascita della Repubblica e come ha spiegato Gabriele Pedullà il discorso tenuto il 7 novembre del 1946 a Roma in vista delle imminenti elezioni

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comunali, rappresenta il punto più alto della parabola politica del Fronte dell'Uomo Qualunque. Benché la situazione politica sia modificata rispetto agli ultimi mesi del 1944 il linguaggio usato da Giannini è lo stesso.

Amici e amiche di Roma,

quante chiacchiere per queste elezioni! Quanto spreco di fiato! Sono venuto a sprecarne un po' anch'io, per guadagnarci la gioia di ritrovarmi in mezzo a voi, Voi non so che cosa ci guadagnerete, forse un po' d'acqua se verrà a piovere, comunque vi prometto di essere breve. Queste elezioni sono un inganno, come lo sono tutte le elezioni. Appena si apre la campagna elettorale comincia la crisi delle bugie e delle accuse, e i vari partiti e i vari candidati magari compagni di lista cominciano a diffamarsi l'un l'altro. Sicché la popolazione di una onestà città, la quale non vorrebbe altro che essere amministrata bene da un gruppo di suoi cittadini, per avere l'acqua, la luce, le case, i tram si trova automaticamente nella curiosa situazione di dover scegliere tra un mucchio di malviventi perché c'è partito che non abbia modo di accusare dei più strani delitti i candidati delle liste concorrenti.7

Come si può osservare lo stile retorico di Guglielmo Giannini è quello che lo contraddistingueva già due anni prima: discorso polemico, frasi frammentate che privilegiano la paratassi, uso di un lessico colloquiale che possa essere compreso dall'elettorato a cui si riferisce, sceglie infatti parole semplici, con espressioni utilizzate nella quotidianità come nel caso delle espressioni chiacchiere oppure spreco di fiato o ancora cosa ci guadagnerete. Non si trovano inoltre metafore o giochi di parole, l'attacco che compie nei confronti dei suoi avversari è diretto: come ho già rilevato Guglielmo Giannini si erge come unica persona in grado di poter migliorare la situazione dei suoi concittadini, l'unico che non ha nessun tipo di rapporto con i malviventi che si sono presentati alle elezioni amministrative. Nel breve estratto che ho trascritto del discorso che Giannini tenne davanti alla Basilica di Massenzio, è possibile vedere però una forte contrapposizione attuata dal fondatore del Fronte dell'Uomo Qualunque tra i cittadini onesti che hanno il diritto di condurre la propria vita liberamente e i politici che viceversa agiscono solo secondo i loro interessi e non operano per la comunità come invece costantemente affermano.

Finora ho analizzato solamente discorsi di Guglielmo Giannini pronunciati al di fuori delle aule parlamentari, ma come ho già precedentemente scritto, egli partecipò sia al referendum del 1946 sia alle elezioni politiche dell'aprile 1948, riuscendo in entrambi i casi a far eleggere parlamentari. A questo proposito è utile notare, secondo il mio punto di vista, se il linguaggio di Giannini rimane lo stesso oppure se il suo stile polemico invece si attenui. Riporto di seguito alcuni passi del discorso che tenne alla Camera dei deputati il 19 dicembre 1952:

Volevo fare un po’ d’ostruzionismo anch’io, ma mi è stato impedito dai migliori sacerdoti dell’ostruzionismo, dai colleghi dell’estrema sinistra che ieri mattina mi hanno fatto

7 Gabriele Pedullà, Parole al potere. Discordi politici italiani, Bur, Milano, 2011, p. 491.

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ghigliottinare. Anche i democristiani hanno collaborato a questa opera: io me ne vendicherò alla prossima occasione facendo un discorso più lungo del solito. Questo qui debbo necessariamente tenerlo corto e allora prego gli amici e gli avversari di lasciarmi parlare, oppure - se debbono interrompermi - ‘di farlo rumorosamente in modo che io possa far notare all’onorevole Presidente il tempo perduto durante le interruzioni e affermare il mio diritto al recupero. […] Signor Presidente, non è colpa mia se il tempo vola e se i miei venti minuti crescono. Se questa è una politica nazionale, allora debbo dar ragione a quelli fra i miei colleghi i quali sostengono che la monarchia ha sempre pensato a se stessa e poi al paese; ha pensato a. sé il 28 ottobre 1922, ha pensato a sé il 25 luglio 1943, ha pensato a sé 1’8 settembre dello stesso anno. […] La ringrazio, questo è un omaggio che si faceva anche a Shakespeare.

Nonostante l'elezione e il suo ingresso in un luogo più rigoroso, lo stile che caratterizzava Guglielmo Giannini non subisce modifiche, anche dopo essere entrato in Parlamento l'eloquio rimane lo stesso, anzi se vogliamo, è ancora più improntato alla polemica. Tuttavia per rendere più efficace il suo ragionamento ricorre all'utilizzo di metafore, usando, per esempio termini che derivano dal lessico religioso, come nel caso di sacerdoti dell'ostruzionismo, in riferimento ai colleghi del Partito Comunista ai quali muove l'accusa anche di averlo voluto ghigliottinare, termine entrato oggi nel lessico della politica col significato di cancellazione degli interventi in aula relativi al provvedimento in discussione, alla luce di ciò va riconosciuto come la sua diffusione derivi dagli eventi della Rivoluzione Francese.

Al contempo tutti questi termini, usati anche in modo iperbolico come in mi vendicherò diretto alla Democrazia Cristiana, sono utilizzati in chiave sarcastica. La maggior parte dei discorsi tenuti in Parlamento da Giannini erano costruiti su base ironica e sullo sberleffo, ritengo anche con la volontà di desacralizzare le aule parlamentari, come si può osservare quando dichiara che se i colleghi vorranno interromperlo dovranno farlo in modo rumoroso, affermazione che sembra sfiorare il paradosso.

Tuttavia, nei passi del discorso di Giannini che ho riportato vi sono altre notazioni da compiere; la prima riguarda l'aspetto retorico, l'uso della figura dell'anafora, visibile nell'impiego per tre volte di ha pensato a sé stessa, in riferimento alla monarchia sabauda. In conclusione dell'analisi su Guglielmo Giannini è utile ricordare anche la sua propensione, sempre in chiave ironica, allo storpiamento dei nomi: per esempio Ferruccio Parri, Presidente del Consiglio del periodo monarchico, diventò Fessuccio Parri, oppure trasformò Ignazio Silone politico e scrittore, con appellativi offensivi, in cui erano usate anche forme dialettali in Cagazio Frignone o Cagazio Minchione, oppure nei suoi articoli era molto in voga la sigla P. D. Q. C. N. V. P. A. R. L. S. D. N. ovvero “il partito di quelli che non vogliono avere più le scatole rotte da nessuno” o anche contro il CLN che Giannini modificò in Comitati di diffamazione nazionale. In quest'ultimo caso sono visibili le prime tracce di un fenomeno linguistico che si espanderà nel corso del tempo, quello delle sigle, usate già per il Comitato di Liberazione Nazionale, che sarà poi ribattezzato

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da Giannini. Nell'ideatore del movimento dell'Uomo Qualunque si può vedere come anche questo fenomeno linguistico sia usato in maniera dissacrante, per contrapporre di nuovo il suo irriverente modo di vedere a quello dei partiti tradizionali.

In conclusione di questo primo capitolo, dedicato al linguaggio politico ho scelto di riportare un discorso di un politico già incontrato in precedenza, Alcide De Gasperi. Tuttavia il contesto in cui in leader pronunciò il suo discorso sia a livello temporale sia di luogo era sensibilmente diverso rispetto a quello del 1948. Sono passati sei anni, siamo nel giugno del 1954, a Napoli, durante il V congresso della Democrazia Cristiana, due mesi prima che De Gasperi morisse, taluni, tra cui Amintore Fanfani, che gli era succeduto alla Presidenza del Consiglio, affermarono che il discorso tenuto a Napoli era da considerarsi come il testamento politico dello statista alto-atesino.

Di seguito i passaggi più rilevanti:

Considerando sotto questo aspetto, il Parlamento si può definire un palcoscenico aperto come il teatro antico in tutte le stagioni. Vi si svolge il dramma quotidiano della nazione con i suoi aspetti agonistici ed educativi e con i suoi spettacoli ora tragici, ora comici. Durante la prima legislatura si ebbero alla Camera 1.114 sedute, al Senato 987, con una media annua di 225 e rispettivamente di 191 assemblee. In esse si tennero in media 2.400 discorsi all'anno, e, rispettivamente in Senato 1.800. La parte drammatica fu rappresentata da 40, rispettivamente 30, votazioni nominali che chiusero dibattiti interessanti e 6 voti nominali, rispettivamente in Senato 8, aumentarono la tensione fino alla fiducia. Ora a proposito di questa attività parlamentare è caratteristico che il 60% degli interventi fra il 1948 e il 1953 venne effettuato da membri dell'opinione, i quali non rappresentavano che il 35% del numero totale. Se ne può dedurre che l'iniziativa dell'opposizione nei lavori parlamentari è stata più che proporzionale alla sua forza numerica. Non è che la maggioranza abbia mancato di spirito di combattimento o di zelo; la verità è che l'opposizione, svolge o una tattica offensiva, prevalse nell'iniziativa e costrinse il Governo alla difensiva. L'opposizione può cogliere la maggioranza di sorpresa, essa scopre i lati deboli, punta sulle deficienze e sugli errori, pungola e attacca l'amministrazione. Il Governo risponde solo dopo avere esaminato e controllato e intanto il tempo passa e l'incisione nella pubblica opinione è avvenuta. Il Governo responsabile, ponendo il piede in fallo, può mettere in repentaglio la sua esistenza; l'opposizione arrischia solo un insuccesso dialettico che per il grosso pubblico può essere dissimulato dalla teorica o dalla violenza. […] Questa non è una considerazione retrospettiva, ma una realtà che si è confermata vera anche nella tattica seguita dall'opposizione dopo il 7 giugno. Il caso Fanfani è stato il più dimostrativo. Si era invocata tanto la socialità. Egli volle mettere la Camera alla prova. Si presentò con un programma di provvedimenti concreti su progetti già elaborati e con finanziamenti particolari. Tutti sanno che il reperimento di mezzi è la parte più difficile per ogni Governo. Ebbene, egli compì rapidamente questa preparazione e accanto ad essa portò sul banco del Governo l'esperienza provata di organizzatore rapido e di abile esecutore: fu respinto a destra e a sinistra. Tutta quella roba, patrocinata da Nenni, poteva costituire l'inizio di una nuova era, di una grande politica sociale di sinistra, presentata da Fanfani era reazione. […] E qui al vecchio Presidente che altra ambizione non può avere oramai che quella di finire in pace, dopo tanto travaglio, i suoi giorni, sarà lecito forse di fare alcune raccomandazioni confidenziali. La prima riguarda lo stile del nostro linguaggio e delle nostre manifestazioni. Non vi pare che talvolta, volontariamente o in consapevolmente, subiamo il contagio della terminologia comunista? In parte ciò è dovuto all'anima candida della buona gente che vorrebbe dare al vocabolario materialista una interpretazione

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cristiana, come un tempo si interpretavano dai posteri cristianamente le idee di Platone o le norme morali di Marc'Aurelio; in parte si tratta di usare indiscriminatamente frasi e termini suggestivi che sono di voga. Così lentamente penetra nelle menti e nel linguaggio l'assioma che per rendere giustizia ai più deboli bisogna uscire di casa propria e incontrarsi almeno a mezza strada con coloro che si autodefiniscono rappresentanti e interpreti della classe lavoratrice e la «classe lavoratrice» sono solo i lavoratori manuali e più particolarmente la parte più attiva dei centri industriali, anche se sulla scala dei bisogni vengono prima i miseri e i disoccupati; e così si finisce col lasciare credere che l’avvento del lavoro possa compiersi solo per impulso e sotto l'egida della conquista politica bolscevica.8

È l'ultimissima stagione di De Gasperi, e lo stile è diverso rispetto a quello che gli era proprio quando ricopriva il ruolo di Presidente del Consiglio: il contesto politico è profondamente mutato, la Democrazia Cristiana governa ormai da anni e sul piano internazionale la divisione in blocchi a causa della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica è ormai una realtà. Il linguaggio di De Gasperi adesso quindi non è più sobrio e misurato ma evocativo e l'utilizzo della metafora del Parlamento come palcoscenico del dramma quotidiano e delle sedute quali rappresentazioni teatrali talvolta comiche talvolta drammatiche. Non solo dall'ambito semantico relativo allo spettacolo De Gasperi trae spunto per la costruzione delle sue metafore, ma anche da quello militare come è visibile nei termini combattimento o tecnica difensiva o costringere alla difensiva oppure dal lessico sportivo come nell'espressione mettere il piede in fallo.

Nella seconda parte della trascrizione invece ho voluto mettere in risalto come la sintassi di De Gasperi sia cambiata rispetto a quella che lo caratterizzava pochi anni prima: la costruzione delle frasi che prima si basava su un'architettura ricca di subordinate lascia invece il passo alla paratassi, a frasi brevi e frammentate che servono a mio avviso, nel contesto in cui si trova, ad aumentare il ritmo del discorso, in modo da renderlo ancora più incisivo. Nell'ultima parte del suo discorso lascia i panni del politico di professione per assumere quelli di un padre esperto che vuole dare consigli ai figli che prenderanno il loro suo posto, proprio con questo intento che De Gasperi vuol dare ai suoi raccomandazioni confidenziali. La prima riguarda il linguaggio da tenere: egli parla infatti della paura del contagio della terminologia comunista, anche in questo caso crea una metafora con un termine derivante da un settore per adesso non ancora incontrato, quello sanitario, le due formazioni politiche, Democrazia Cristiana e Partito Comunista, sono ancor più agli antipodi rispetto ai primi anni della Repubblica. Da qui si ben comprende la contrapposizione che De Gasperi realizza tra l'anima candida della buona gente e il vocabolario materialista proprio dei comunisti: vi è la volontà quindi del vecchio leader della Dc di porre in antitesi l'aspetto spirituale e quello materiale, è quindi implicito il riferimento al cristianesimo che renderà esplicito poco più avanti. Infine volevo mettere in evidenza due 8 Alcide De Gasperi, Nel Partito popolare italiano e nella Democrazia Cristiana, Roma, Cinque Lune, 1990, Vol. II, pp. 217-241.

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elementi: il primo è il ricorso alla figura dell'anadiplosi, usata di frequente nel parlato e nello scritto, che consiste nella ripetizione dell'ultimo segmento, come recita l'Enciclopedia dell'Italiano Treccani, nella prima parte del segmento successivo, rispondendo a una semantica di tipo aggiuntivo, facendo trasformare la seconda occorrenza uno sviluppo della prima, come si può vedere in della classe lavoratrice e la classe lavoratrice. In ultima analisi, vorrei mettere in luce il particolare uso della parola avvento: De Gasperi nel suo ultimo discorso pubblico ha accostato tale termine alla parola lavoro con un'accezione del tutto nuova, estrapolandolo tuttavia dal contesto originario. Se nel senso utilizzato da De Gasperi è da intendersi come arrivo, venuta, nel suo significato originario l'avvento è legato al significato religioso, al periodo di 40 giorni precedente alla Pasqua.

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2 Capitolo Anni 1954-1964

Premessa

La scomparsa di Alcide De Gasperi lasciò la Democrazia Cristina nell'incertezza, si susseguirono i governi Pella e Scelba, ma il centrismo che aveva segnato i primi anni della Repubblica Italiana era ormai destinato a concludersi, lasciando progressivamente il passo alla nascita di governi di centro-sinistra.

Ma questi furono gli anni anche del cosiddetto miracolo economico, a partire dagli anni Cinquanta l'Italia assistette a uno sviluppo industriale, energetico con un incremento sia delle importazioni sia delle esportazioni. Insieme a tutto ciò iniziò a svilupparsi anche la società dei consumi che trovò ostile la sinistra, in quanto essa rappresentava una parte caratterizzante del modello americano che essi rifiutavano. L'altro elemento di novità portato dallo sviluppo economico fu rappresentato dalla diffusione della televisione che col tempo diventò un importante strumento di aggregazione e di unificazione culturale: per esempio fu significativa dal punto di vista linguistico perché contribuì a diffondere un italiano che potesse essere compreso da tutti, anche se nelle classi popolari il codice linguistico maggiormente usato rimaneva quello del dialetto. Tuttavia la relativa unità linguistica non contribuì al rafforzamento dell'unità nazionale: come ha spiegato lo storico Aurelio Lepre i contrasti regionali restavano, anzi talvolta erano acuiti dalla migrazione dal sud verso il nord. È vero quindi che la televisione funse da strumento di diffusione culturale, sebbene quella che aveva una maggiore presa sul pubblico era quella americana. Sul piano piano politico, facendo un piccolo passo indietro, le elezioni del giugno 1953 avevano visto di nuovo l'affermazione della Democrazia Cristiana, che ottenne però un risultato in netto calo rispetto a quello delle consultazioni di cinque anni prima;

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la coalizione centrista, di cui facevano parte oltre alla Dc anche Psdi, Pri, Pli non riuscì però ad aggiudicarsi il premio di maggioranza introdotto con la muova legge elettorale, che fu definita dai suoi detrattori Legge truffa. I partiti della sinistra guidati da Togliatti e Nenni uscirono rafforzati dalle consultazioni del 1953, in cui ebbe successo, pur rimanendo in una posizione minoritaria, anche l'area di destra formata dal Partito Monarchico, che toccò il suo massimo storico, e dal Movimento sociale italiano.

Nell'aprile del 1955, due anni dopo le elezioni politiche, sembrò verificarsi un profondo cambiamento della vita politica italiana, con elezione alla presidenza della Repubblica di Giovanni Gronchi, esponente della Democrazia Cristiana, che fu eletto anche grazie ai voti del Psi e del Pci, contro la volontà della direzione democristiana che candidò invece Cesare Merzagora. L'elezione di Gronchi fu perciò considerata un successo delle sinistre. Ma furono le elezioni politiche del maggio 1958 che sancirono la crisi del centrismo democristiano e soprattutto del 1963 nelle quali la Democrazia Cristiana che perse quattro punti percentuali a favore del Pli che si opponeva alla nascita del centro-sinistra, anche il Psi non aumentò di molto il suo consenso, guadagnando solo lo 0,4% rispetto alle consultazioni precedenti, più cospicuo fu invece quello del Partito Comunista che ottenne due punti in più rispetto a cinque anni prima. Le elezioni del 1963 segnarono quindi la fine del periodo centrista, durato quindici anni, e l'apertura della nuova stagione politica dei governi di centro-sinistra.

Il primo discorso scelto per inaugurare l'analisi del decennio 1954-1964 è di Alfredo Covelli che nel luglio del 1946, un mese dopo il referendum che sancì la nascita della Repubblica, fondò il Partito Nazionale Monarchico col quale fu eletto per tre legislature consecutive, dal 1948 al 1963, alla Camera dei deputati, toccando il suo massimo alle consultazioni politiche del 1953. Di seguito riporto alcuni passaggi della relazione che Covelli tenne in occasione del secondo congresso, a Napoli, del Partito Nazionale Monarchico il 4 luglio 1954.

Signori Congressisti,

se noi volessimo, oggi, dare un titolo postumo al Primo Congresso Nazionale, quello celebrato in Roma nell’autunno del 1949, potremmo chiamarlo il Congresso della Speranza. Dopo cinque anni, i risultati del lavoro compiuto dal nostro Partito, i risultati della fede, del coraggio, della tenacia dei monarchici che hanno militato in questo Partito, ci danno il diritto di domandarci, senza presunzione, anzi con legittimo orgoglio, se in un prossimo futuro questo Secondo Congresso Nazionale del PNM. non debba essere chiamato il Congresso della Certezza. […] Il jus praecarium era però concreto, nel senso che un concretissimo potere gli Alleati attribuirono al Governo italiano, lasciando che esso epurasse tutti gli enti pubblici e privati: questo significava sostituire i vecchi amministratori con nuovi amministratori, i cui titoli erano, naturalmente, prima di tutto l’appartenenza ad uno dei sei partiti di Governo. Ogni partito ebbe, dunque, una sua parte di influenza: in questa spartizione, il liberale e il cattolico vissero, dovettero vivere, accanto al comunista e al socialista.

Si diceva in quel periodo armistiziale, che gli Italiani dovevano essere educati e addestrati alla democrazia: la prima scuola che fummo chiamati a frequentare, ci mostrò Croce e

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