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Le caratteristiche delle norme di prevenzione: tassatività, natura prevenzionistica e rilevanza penale.

La normativa prevenzionistica, fin dagli interventi legislativi degli anni cinquanta, si caratterizza per alcuni elementi tipici che possono essere sinteticamente individuati nella tassatività, nella natura prevenzionistica e

nella rilevanza penale delle previsioni (94).

In quanto norme di prevenzione, si tratta di disposizioni con la finalità di evitare il manifestarsi di incidenti sul lavoro o di malattie professionali, ovvero più in generale, di garantire la sicurezza del lavoro in relazione all’ambiente in cui esso si svolge.

Come emerge con evidenza dalla normativa degli anni cinquanta ad essere punito è il mancato rispetto delle precauzioni imposte dalla legge, a prescindere dagli effetti che ne fossero derivati, rilevanti solo al fine dell’inasprimento delle sanzioni civili e penali conseguenti alle violazioni. Quelli di prevenzione e sicurezza sono due concetti collegati in modo strumentale tra loro. L’espressione sicurezza del lavoro, infatti, si riferisce a tutti i problemi connessi alla probabilità o possibilità che l’integrità psico- fisica del prestatore sia lesa o esposta a pericolo nell’esercizio dell’attività lavorativa.

È questa un’ottica teleologica che evidenzia il perseguimento di un fine specifico, rappresentato dall’esigenza di salvaguardare il luogo di lavoro, così da garantirne la sicurezza e la salubrità.

Secondo invece un’accezione sociale, per sicurezza si indica la generale condizione in cui viene a trovarsi il lavoratore subordinato, con particolare riferimento al diritto al lavoro, inteso come diritto ad una stabile occupazione e ad una giusta remunerazione, nonché ad una diffusa rete di cautele attuata dalla legislazione sociale in favore del prestatore.

La prevenzione è strumentale rispetto alla sicurezza, nella misura in cui indica una serie di mezzi che mirano ad assicurare la stessa, tanto da poter essere considerata una species rispetto al genus della sicurezza. Se cioè la 








(94) L. FANTINI, A. GIULIANI, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Roma, 1999, pp. 3- 4.


sicurezza è un obiettivo, la prevenzione è costituita da un complesso di disposizioni e accorgimenti a difesa della salute del lavoratore e dell’integrità ambientale.

L’azione in via preventiva per poter essere efficace deve agire a monte, rimuovendo i fattori di rischio e tentando di far fronte agli elementi di causalità, fatalità ed imprevedibilità.

Ciò perché la pericolosità dell’ambiente di lavoro è conseguenza del verificarsi, non del solo fattore umano, ma di accadimenti dannosi vari, frutto di una concatenazione eziologica collegata alle condizioni ed ai sistemi di svolgimento dell’attività lavorativa, come materiali impiegati, modalità e ritmi operativi, stato di manutenzione delle macchine, livello di adeguamento tecnologico, metodiche di vigilanza ed interferenze occasionali (95).

Il concetto di prevenzione è dunque strettamente correlato a quello di rischio e di pericolo, che sul piano giuridico e nel gergo comune, si riferiscono all’elevata possibilità – probabilità del verificarsi di un evento temuto, rapportata all’id quod plerumque accidit, da accertarsi con indagine prognostica ex ante.

Invece, nel campo prevenzionale i due termini assumono significato differente (96).

Secondo la definizione contenuta nella circolare ministeriale n. 102/95 per rischio si intende “la probabilità che sia raggiunto, nelle condizioni di

impiego o di esposizione di un determinato fattore, il limite potenziale di danno”.

A questa figura appartengono vari tipi di rischio (fisico, chimico, biologico, psicologico, ambientale, et.), a loro volta raggruppabili in tre ordini omogenei, in base alla direzione dei fattori potenziali di danno.

Si tratta dei rischi per la sicurezza, derivabili da strutture, macchine, uso di energia elettrica, impiego di sostanze pericolose, incendio, esplosione; rischi per la salute, provocabili da agenti chimici, fisici e biologici; rischi per la sicurezza e la salute, connessi all’organizzazione del lavoro, a fattori psicologici o ergonomici, oppure a difficili condizioni di lavoro.










(95) SMURAGLIA, La sicurezza del lavoro e la sua tutela penale, Milano, 1974.
 (96) A. PADULA, Tutela civile e penale della sicurezza del lavoro, Padova, 2003, p. 9.


Il rischio così inteso è generalmente relazionato a comportamenti soggettivi potenzialmente pregiudizievoli.

La nozione di pericolo invece ha una valenza oggettiva, perché inerisce a determinati elementi o sostanze, di cui costituisce una proprietà o una qualità intrinseca. Si pensi in via esemplificativa alla nocività naturale degli agenti chimici, biologici o ionizzanti, alla cui esposizione il lavoratore deve essere sottratto.

La differenza fra i concetti di pericolo e rischio emerge con evidenza all’art. 72 bis del D.lgs n. 624/1994, secondo il quale il primo è “la proprietà

intrinseca di un agente chimico di poter produrre effetti nocivi”; il secondo

è “la probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle condizioni di

utilizzazione o esposizione”.

In ambito penale, il pericolo si distingue in concreto, astratto e presunto a seconda che rappresenti un elemento costitutivo della fattispecie la cui esistenza deve essere provata, come nel caso di crollo di costruzioni ex art. 434 c.p.; o sia piuttosto implicito nella condotta dell’agente, senza la necessità di essere accertato; o, infine, presupponga l’esistenza della situazione pericolosa, trattandosi di presunzione juris et de jure, particolarmente ricorrente nei reati prevenzionali. È questo il caso di

omissione dolosa e rimozione di cautele ex art. 437 c.p. (97).

Nel nostro ordinamento la prevenzione segue il criterio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile, a differenza di quelli anglosassoni che subordinano la tutela della salute ai costi economici gravanti sulla produzione.

Si tratta della tradizionale categoria della prevenzione tecnica, intesa come esigenza di adeguamento dell’impianto antinfortunistico ai ritrovati tecnologici del momento storico, di cui all’art. 28, dlgs 626/94.

In questo modo non si pongono limiti all’adeguamento del sistema prevenzionale, che viene improntato alla filosofia dell’operare in radice, cioè prevenendo l’esistenza stessa del pericolo o quantomeno neutralizzando le cause primarie della sua insorgenza.










Sul piano specifico la figura della prevenzione, che nasce dal sentire sociale come razionale processo di responsabilizzazione collettiva in materia di sicurezza sul lavoro, presenta due elementi caratteristici. Si tratta dell’evitabilità, intesa come possibilità di impedire il verificarsi del fenomeno o quanto meno di differirlo nel tempo e di attenuarne la gravità; nonché della prevedibilità, cioè la possibilità di conoscenza anticipata del fatto verificabile.

Non sono, quindi, prevenibili i fatti imprevedibili, come il caso fortuito e quelli inevitabili, cioè al di fuori della comune scienza ed esperienza.

In ogni caso, si tratta di un concetto polivalente, tanto che il Miraldi distingue, nell’ambito della prevenzione sociale, tra prevenzione tecnica e prevenzione biologica – terapeutica: l’una è diretta contro il verificarsi degli infortuni e delle malattie professionali; l’altra a proteggere gli individui già infortunati (98).

C’è poi chi distingue tra prevenzione tecnologica riferita alla istruzione e qualificazione professionale del lavoratore e prevenzione di massa o educativa che riguarda le persone dell’età scolare, diretta a diffondere una conoscenza prevenzionistica contro i comuni pericoli della vita, allo scopo di

creare una sorta di cultura della sicurezza (99).

Il Panchieri, invece, parla di prevenzione tecnica che si interessa degli ambienti di lavoro, dei macchinari, degli utensili, dei materiali, delle tecniche lavorative e di prevenzione umana, che agisce direttamente sul lavoratore (100).

Con le innovazioni normative intervenute in attuazione delle ultime direttive comunitarie europee, le attività ricomprese nel concetto di prevenzione si sono ampliate.

Alla tradizionale categoria della prevenzione tecnica si sono affiancate altre figure prevenzionali, come quella informativa, formativa, concertata, vigilata, figurata o simbolica, soggettiva e circolare.










(98) MIRALDI, Assicurazione e prevenzione nella lotta contro gli infortuni, in Rivista di

diritto del lavoro, Milano, 1964, p. 360.


(99) LEGA, Introduzione al diritto prevenzionistico, Milano, 1965, p. 3.


(100) PANCHERI, Gli infortuni sul lavoro in Rassegna di medicina industriale, Milano, p. 180.


È informativa quella diretta a fornire ai lavoratori le necessarie istruzioni sui rischi dell’ambiente di lavoro, sulle misure di sicurezza e sui pericoli specifici delle mansioni svolte; formativa quella diretta alla preparazione dei prestatori nel campo della sicurezza, così da realizzare un cambiamento culturale; quella concertata con lo scopo di evitare rapporti di conflittualità tra aziende e prestatori in materia di sicurezza, ad esempio attraverso la consultazione preventiva dei lavoratori per la valutazione dei rischi e per la gestione dell’emergenza. La prevenzione vigilata invece è affidata ad appositi organi che svolgono compiti di controllo specifico, come nel caso del responsabile di prevenzione e protezione o del medico competente; mentre quella figurata o simbolica indica la vasta gamma di segnali in forma scritta, luminosa, acustica e gestuale, da apporre sui luoghi di lavoro raffiguranti pericoli, divieti, avvertimenti e prescrizioni.

Infine, la prevenzione soggettiva si basa su una collaborazione vigilante dei prestatori nel prendersi cura della propria sicurezza e salute e di quella dei lavoratori; quella circolare prevede un obbligo di prevenzione che si diparte dal datore di lavoro – committente (nel caso dei cantieri temporanei o mobili) per ritornare allo stesso, pur coinvolgendo durante il percorso i

soggetti professionalmente competenti, c.d. coordinatori della sicurezza (101).

C’è chi ritiene questo modo di concepire la prevenzione come un reticolo di misure e cautele con sempre nuove ramificazioni, insufficiente ed inidoneo

ad avere una visione completa del fenomeno infortunistico (102).

Piuttosto, si tratta di un’attività dal “carattere complesso con esigenze

unitarie e di globalità”(103), poiché, nonostante la natura interdisciplinare, deve essere orientata verso un unico obiettivo quale è quello della protezione dell’uomo contro ogni pregiudizio alla salute che possa scaturire dal lavoro (104).

Dal concetto di prevenzione si distingue quello di protezione, che è prevenzione secondaria, ossia ogni forma ditutela generica, diretta ad 








(101) A. PADULA, Tutela civile e penale della sicurezza del lavoro, Padova, 2003, pp. 5-6.


(102) DI CERBO – SALERNO, La prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro nella

giurisprudenza, Padova, 1980 in Raccolta sistematica di giurisprudenza commentata diretta dal Prof. Rotondi. 


(103) DI CERBO – SALERNO, La prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro nella

giurisprudenza, Padova, 1980 in Raccolta sistematica di giurisprudenza commentata diretta dal Prof. Rotondi. 


attenuare le conseguenze lesive più che a prevenirle. Esemplificativo al riguardo è l’art. 541 c.p. che prevede e punisce l’omissione colposa di cautele contro disastri o infortuni sul lavoro, allo scopo di evitare l’aggravamento di un evento dannoso già verificatosi. Le protezioni si distinguono in individuali e collettive, le quali ultime ricomprendono la protezione civile, diretta a fronteggiare calamità naturali come terremoti, alluvioni e inquinamenti.

La natura prevenzionistica delle norme di sicurezza è collegata alla loro

rilevanza penale (105)

Infatti, la loro mancata osservanza comporta l’applicazione di contravvenzioni, a prescindere dal fatto che alla violazione segua la concreta realizzazione dell’infortunio.

Esemplificativo al riguardo è l’articolo 389 del D.P.R. n. 547 del 1955 che collega ad una qualunque violazione l’irrogazione di una sanzione penale. Ne deriva un apparato sanzionatorio in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro dalla natura penalistica, reso possibile affiancando alle sanzioni previste dalla normativa antinfortunistica quelle presenti nel codice penale.

Alle ipotesi di violazione di tali disposizioni infatti, si applicano in larga parte sanzioni penali.

Una tale scelta del legislatore ha rappresentato una costante nell’evoluzione normativa italiana in materia, anche dopo l’abrogazione quasi totale delle

previsioni dei D.P.R. degli anni cinquanta (106).

La scelta di apprestare alle norme di sicurezza, nell’assoluta maggioranza dei casi, una tutela penale si giustifica con la natura costituzionale degli interessi ad esse sottese, cosi da imporre di approntare la massima reazione sanzionatoria nel caso della loro inosservanza.

È evidente l’intento deterrente del legislatore nel configurare come illeciti penali le violazioni delle norme di sicurezza, facendo leva sulla maggiore gravità degli effetti che conseguono alla commissione di un reato, piuttosto che di un illecito amministrativo.










(105) L. FANTINI, A. GIULIANI, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 2011, pp.

3-4.


(106) L. FANTINI, A. GIULIANI, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 2011, p. 4.


Le violazioni della quasi totalità delle norme previste dalle diverse leggi speciali in materia di sicurezza del lavoro costituiscono dei reati di natura contravvenzionale, cui si affiancano quelli contemplati dal codice penale. Nel primo caso la responsabilità del soggetto obbligato non necessita di alcuna indagine circa l’elemento soggettivo, poiché le contravvenzioni sono punite sia a titolo di dolo che a titolo di colpa.

Ne consegue l’irrilevanza di ogni forma di giustificazione fondata sulla mancata conoscenza del precetto, dal momento che nel nostro ordinamento vige il principio dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale ex art. 5 c.p., la cui portata è stata però limitata dalla sentenza della Corte

costituzionale 24 marzo 1988, n. 364 (107).

La Corte ha infatti dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5, nella parte in cui non esclude l’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale, allorquando tale ignoranza sia inevitabile. Secondo l’interpretazione rigorosa che si è data al principio introdotto dalla sentenza, l’ignoranza della legge penale è inevitabile solo quando l’agente abbia trasgredito, ma si sia attenuto con l’ordinaria diligenza all’obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi, come quelli che impongono il dovere di solidarietà sociale e i doveri professionali propri di un determinato settore di attività. L’obbligo di conoscenza delle norme è maggiormente cogente proprio per quei soggetti che, come gli imprenditori, operano professionalmente in un settore disciplinato da norme specifiche, alla maniera di quelle di prevenzione. In questo caso, in applicazione della sentenza della Corte, la scriminante della buona fede può giustificare la condotta posta in violazione del precetto normativo, solo se il soggetto si è compiutamente attivato sul piano informativo e la violazione del precetto sia dovuta, ad esempio, all’errata interpretazione patrocinata da provvedimenti delle pubbliche autorità (come nel caso della circolare ministeriale), ovvero all’obiettiva ambiguità del precetto penale per la difformità degli orientamenti giurisprudenziali. Allo stesso modo l’errore di diritto potrà essere scusabile in quanto determinato da ignoranza inevitabile della norma.










Le contravvenzioni in materia di sicurezza previste dalle leggi speciali sono molte, tanto da renderne impossibile un’elencazione e sono individuate con una particolare tecnica di formulazione. Le norme che le disciplinano infatti, prevedono la sanzione (arresto o ammenda) per le violazioni dei precetti contenuti in disposizioni diverse, per cui la loro osservanza richiede l’applicazione congiunta di disposizioni distinte. Questo metodo, a cui fa ricorso il d.lgs 626/94 e in precedenza utilizzato da altri decreti prevenzionistici, consiste nella previsione dell’ammenda o dell’arresto per l’inosservanza di precetti posti da norme extrapenali dello stesso testo di legge, richiamati mediante l’indicazione dell’articolo e del relativo comma. Poiché il precetto primario specifico e la sanzione sono contenuti in disposizioni separate della stessa legge, ne deriva che per individuare la norma penale nella sua interezza occorre procedere all’integrazione delle due

disposizioni, ciascuna delle quali è di per sé incompleta (108).

Inoltre dette norme sono articolate con riferimento ai diversi soggetti destinatari e raggruppate per comma, all’interno di ciascuna e con riguardo alla diversa gravità delle violazioni, in base alla specifica sanzione prevista per ciascun gruppo.

In particolare l’art. 89 raggruppa in ordine decrescente di disvalore penale tutte le violazioni in cui possono incorrere i datori di lavoro ed i dirigenti; così è previsto anche per i preposti, i progettisti, i fabbricanti, gli installatori, il medico competente e i lavoratori.

Infine, a completamento del quadro sanzionatorio, vi sono delle ipotesi in cui la violazione del precetto di legge non comporta un illecito penale, quanto piuttosto la previsione di una sanzione di tipo amministrativo (artt. 89, comma 3 e 94, d.lgs 626/94).

Sempre sul piano sanzionatorio, il d.lgs n. 626/94 introduce delle novità che riguardano l’aggravamento qualitativo e quantitativo delle sanzioni previste, operando un’inversione di tendenza rispetto ai precedenti decreti prevenzionistici.

Questi infatti prediligevano la pena pecuniaria dell’ammenda per sanzionare le violazioni delle norme poste a tutela della sicurezza e dell’igiene del 








(108) M. LANOTTE, La tutela penale della sicurezza del lavoro, Milano, 1996, Giuffré Editore, p.p. 304 – 305.


lavoro, salvo i casi di maggiore gravità per i quali è ammessa la possibilità di sostituire all’ammenda la pena detentiva dell’arresto, non superiore

comunque a sei mesi (109).

Il d.lgs n. 626/94 introduce il criterio dell’alternatività delle pene che prevede la possibilità di ricorrere o all’ammenda o all’arresto e trova applicazione, oltre che nei confronti del datore di lavoro e dei dirigenti, anche in riferimento alle violazioni commesse dagli altri soggetti obbligati, quali i preposti, i progettisti, i fabbricanti, gli installatori ed il medico competente.

Anch’essi, infatti, rischiano, in alternativa, sia pene detentive che pecuniarie. L’apparato sanzionatorio così descritto, di cui al titolo IX del d.lgs 626/94, è stato successivamente modificato dal d.lgs n. 242/96 che ha ridotto gli obblighi di esclusiva competenza del datore di lavoro ed ha inasprito le sanzioni previste per le loro violazioni.

L’attuale formulazione dell’art. 89, comma 1 circoscrive la responsabilità penale esclusiva dell’imprenditore ad un numero più limitato di fattispecie di reato. Si tratta delle violazioni relative alla valutazione dei rischi – sia generici che derivanti dall’esposizione ad agenti cancerogeni e biologici –, all’elaborazione dei relativi documenti di identificazione e all’individuazione delle misure di prevenzione e protezione.

La conseguenza di queste modifiche è un aumento delle fattispecie contravvenzionali imputabili anche ai dirigenti, come si ricava dal secondo comma dell’art. 89, che prevede ora la punibilità dei dirigenti per la violazione di numerosi precetti prima riferibili al solo datore di lavoro. Allo stesso modo il nuovo testo dell’art. 90 aumenta le fattispecie di reato che possono essere commesse dai preposti.

Superando l’incongruenza dell’art. 6, d.lgs n. 626/94 tra la rubrica ed il contenuto della norma, il decreto correttivo n. 242/96 ha incluso tra i destinatari della normativa antinfortunistica i fabbricanti di impianti e macchine, precedentemente previsti nella rubrica e non citati nel testo dell’articolo. La nuova formulazione dell’art. 6, comma 2, vieta esplicitamente la fabbricazione “di macchine, di attrezzature di lavoro e di 








impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza”.

Continuano invece, a non essere inclusi tra i soggetti titolari di un’obbligazione di sicurezza i costruttori dei fabbricati e degli ambienti di lavoro, con la conseguente impossibilità di far valere alcuna responsabilità penale, se questi risultano non conformi alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza.

Nei confronti dei lavoratori, il legislatore ha esteso le ipotesi di reato originariamente previste ed ha inasprito il nuovo apparato sanzionatorio. Questa linea trova conferma nel d.lgs n. 758/94 che, da un lato prosegue l’opera di depenalizzazione dei reati in materia di lavoro iniziata con la legge n. 689/81, riconducendo nell’ambito degli illeciti amministrativi le inadempienze in materia di inosservanza degli obblighi contrattuali, di orario di lavoro, di riposo settimanale; dall’altro esclude da detta depenalizzazione tutti gli illeciti penali in materia di igiene e sicurezza del lavoro, in quanto coinvolgono la tutela della incolumità fisica e della salute del lavoratore. Per tali reati il Capo III del d.lgs n. 758/94 estende e generalizza il principio dell’alternatività tra la pena pecuniaria dell’ammenda e la pena detentiva dell’arresto, confermando l’irrinunciabile funzione prevenzionale svolta dalle sanzioni penali.

Ai reati di natura contravvenzionale si affiancano i delitti quali l’omicidio colposo ex art. 589 c.p., le lesioni personali colpose ex art. 590 c.p. e l’omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro

ex art. 451 c.p., nonché l’intenzionale rimozione od omissione di cautele

contro gli infortuni sul lavoro ex art. 437 c.p., che rappresenta un’ipotesi di responsabilità a titolo esclusivamente doloso. Per l’accertamento dei delitti, a differenza che per le contravvenzioni, è necessaria una specifica indagine circa l’elemento soggettivo.

Quanto alle fonti della normativa di sicurezza, la finalità della prevenzione rende irrilevante la scelta di queste, siano esse contenute in leggi speciali – come nella maggior parte dei casi – o in qualsiasi altra norma giuridica e assoggetta le stesse ai medesimi criteri interprativi.

Il principale tra questi si lega alla natura imperativa e cogente delle norme prevenzionistiche, vietando qualunque forma di discrezionalità nella loro

applicazione, fatta eccezione per il solo caso in cui il precetto ricorra a formule ampie.

In tutti gli altri casi il soggetto obbligato deve porre in essere proprio quegli accorgimenti e quelle misure contemplati dalla norma, mentre non c’è spazio per modalità di adempimento diverse da quelle specificamente contemplate. Ciò si spiega in virtù del fatto che le norme prevenzionistiche sono il frutto