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2.3.1 « L‟Eterno fa morire e fa rivivere Fa scendere alla fossa e risalire» Nuovi documenti per la storia del cimitero

2.3.4 Cariche sociali, funzionari di culto e altri ruol

La comunità – chiamata anche Università – intesa come istituzione tradizionale dell‟ebraismo, era una formazione sociale organizzata in un corpo collettivo ufficialmente riconosciuto dalle autorità locali. Esso era formato dagli ebrei residenti a Lugo e si fondava su un complesso organico di amministratori e funzionari strutturato secondo uno schema gerarchico definito, il quale provvedeva al soddisfacimento delle esigenze religiose e associative degli ebrei. In particolare le varie cariche dovevano assicurare l‟espletamento di una pluralità di funzioni, dalla cura dell‟esercizio e dei servizi di culto, al provvedimento dell‟istruzione e dell‟educazione secondo la legge ebraica; dall‟esercizio di attività assistenziali e previdenziali a favore dei bisognosi, alla gestione di attività di beneficenza.

Tralasciando i ruoli prettamente amministrativi, di cui mi sono occupata nel corso dei miei studi,220 in questa sede concentrerò la mia attenzione sulle diverse cariche sociali, quali funzionari di culto, collaboratori e altri ruoli di cui si trova menzione nel manoscritto esaminato, ovvero l‟insieme delle figure che andavano a determinare quello che Heilman chiamava “the cast of characters”, vale a dire i protagonisti della vita sinagogale e, direi, comunitaria.221

Rabbino e sottorabbino

La comunità doveva innanzitutto garantire il culto sinagogale: occorreva cioè assicurare il regolare funzionamento della sinagoga pubblica e provvedere

220 Le principali cariche pubbliche erano quelle di Massaro e di Elemosiniere; erano poi presenti le figure del Parnas, termine di origine sefardita che designava il capo dell‟assemblea generale, e dei Ma„arikim, ossia gli assessori alle tasse. Cfr. LOLLI, La vita della comunità ebraica di Lugo, tesi cit., pp. 42-56; EAD., Vita della comunità ebraica di Lugo, op. cit., pp. 455-468.

221 Cfr. S.C. HEILMAN, Synagogue Life: A Study in Simbolic Interaction, University of Chicago Press, Chicago 1976, pp. 69-127; BONFIL, La sinagoga in Italia come luogo di riunione e

di preghiera, in Il centenario del Tempio israelitico di Firenze, Atti del Convegno del 7 Heshvan 5743-24 ottobre 1982, Giuntina, Firenze 1982, pp. 36-44.

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alle spese necessarie per gli impiegati del culto, prima fra tutti il rabbino e il

sottorabbino.

Depositario della tradizione, il rabbino non ricopriva una figura sacerdotale o sacrale, e non era nemmeno il capo della comunità, nel senso che non svolgeva alcuna funzione politica secolare, che generalmente era affidata a corpi elettivi. Egli era considerato l‟autorità religiosa della comunità, un Rav o “maestro” che adempiva alle funzioni di trasmissione dell‟educazione. Era la guida spirituale e la fonte di sapere, impartiva gli insegnamenti morali, etici e religiosi della Torah, costituiva cioè una figura di riferimento dalla molteplicità di competenze che metteva a disposizione della collettività ebraica.

I rabbini erano le autorità delle comunità esperte nella scrittura, intellettuali che svolgevano il loro compito di consiglieri e giurisperiti rituali; essi si occupavano di culto, educazione, tradizione e diritto, assolvendo alle funzioni di

הארוה

, o ha-Or‟ah, ossia la facoltà di esprimere istruzioni comportamentali in

base a un‟interpretazione autentica della Legge, e

תוניד

, o Dayanut, la capacità di esercitare la funzione giudiziaria in un tribunale rabbinico.

Oltre a insegnare, essi sorvegliavano le istituzioni della comunità stessa; esprimevano le loro competenze sulle pratiche religiose dei fedeli; giudicavano ed esprimevano il proprio parere sulle questioni che si presentavano; presenziavano ai riti religiosi più importanti, officiavano ai matrimoni e ai funerali; assumevano il ruolo di scriba e di segretario con il compito di redigere i verbali delle riunioni comunitarie; assumevano il ruolo di supervisore dell‟alimentazione rituale.

Non era affatto insolito che la comunità eleggesse un secondo officiante di culto o sottorabbino, il cui incarico era approvato dalla consulta rabbinica con delega di specifiche mansioni. In tal caso alcune delle competenze spettanti al rabbino capo erano esercitate da un rabbino designato dal consiglio della Comunità, previo parere favorevole della consulta rabbinica. Un esempio si può trovare nel verbale n. 78 del 1688 contenuto nel Registro dei verbali delle sedute

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comunità affinché affiancasse il rabbino in carica Mika‟el Avraham Dawid Ya yah:

«[…] si congregarono li Signori םינוממ [massari] con l‟altri Signori dell‟ דעוו

ו״צי [consiglio, che Dio lo preservi] nella scola dell‟homini per causa della venuta dell‟eccellente Signor אבר [Rava], et anco per concertar del בר [rabbino] per il

י״קק [Assemblea santa di Israele], e di comuna concordia dichiararono l‟eccellente Signor Michiel Jachia per בר [rabbino] del י״קק [Assemblea santa di Israele], con l‟obligo di […] asistere alli תובישי [sessioni di studio] e םיניד [discussioni sulle

sentenze] come nel bisogno di רתהו רוס יא [stabilire ciò che è] [proibito e

permesso] et altri cosi necessarij, e l‟eccellente Signor אבר [Rava] per יבר [maestro] di הרות דמלת [insegnamento della Torah] […] affine atendi a quelli

םידימלת [scolari] et essere alli תובישי [sessioni di studio] e תושרד [sermoni] come in altri casi necessarij e a tutto quello gli ordinarano li Signori םינוממ [massari] che seranno però temporanei e questo fu il martedi sera quarto giorno di

דעומה לח [intrafestivo] di תוכוס [Sukkot] dell‟anno ט״מתה [1689]».222

In quest‟ottica si può desumere che, rafforzando ancor più l‟autorità del rabbino o dei rabbini nominati, la comunità accrescesse ulteriormente il vigore della propria struttura istituzionale.

Due erano i gradi principali che formavano la gerarchia rabbinica e due erano i titoli formali corrispondenti: il titolo più prestigioso era Morenu ha-Rav, cioè “Rabbino, nostro maestro”; poi vi era quello di aver, ossia “Rabbino associato”. Verso la fine del XVI secolo a questi appellativi se ne aggiunse un

222 Ms. Gerusalemme, CAHJP, Registro dei verbali delle sedute consiliari degli anni 1670- 1759, f. 11v.

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terzo intermedio: akam, o “Sapiente”;223 a Lugo era presente anche il titolo di

Maskil, o “Dotto” che attestava l‟idoneità al rabbinato a conclusione degli studi

rabbinici.224

I rabbini e i grandi maestri della comunità erano chiamati Rišonim in

riferimento ai “primi” studiosi rabbinici medievali in auge dall‟XI al XVI secolo, distinti dai posteriori o A aronim della prima età moderna.225 Essi presiedevano l‟Accademia rabbinica o Yešivah, termine che letteralmente significa “consesso” o “sessione”: prendendo come modello le accademie ecumeniche di origine orientale in ispecie babilonesi, esse custodivano l‟antico sapere tradizionale, tramandato nel corso dei secoli di generazione in generazione. Il sapere che trasmettevano era in primis quello contenuto nel corpus talmudico costituito dal testo del Talmud babilonese e dalla sua esegesi. La Yešivah di epoca moderna

conservava il carattere di centro di irradiazione normativa; i suoi membri erano strutturati secondo un modello gerarchico, al cui vertice era il Gaon, termine che la tarda lessicografia ha designato come “Eccellente”.226 Nel Registro dei Morti

223 Si vedano a questo proposito BONFIL, Rabbis and Jewish Communities in Renaissance Italy, The Littman Library of Jewish Civilization, London-Washington 1993, pp. 35-38; 90-94; A.M. PIATTELLI, Repertorio biografico dei rabbini d‟Italia dal 1861 al 2011, in «La Rassegna Mensile di Israel» 76, 1-2 (2010), p. 187; PESARO, Memorie storiche sulla Comunità ebraica ferrarese, Ferrara 1878, rist. anast. Arnaldo Forni Editore 2011, p. 50; nei documenti in latino del XVI secolo i rabbini venivano chiamati doctores o doctores legis hebraicae. Cfr. A. CASTALDINI,

La segregazione apparente: gli Ebrei a Verona nell‟età del ghetto, secoli XVI-XVIII, Olschki, Firenze 2008, p. 106.

224 Per una panoramica generale sulla figura del rabbino rimando a: G. LUZZATO VOGHERA, Rabbini, Editori Laterza, Bari 2011.

225 Per un approfondimento sul tema rimando a: A. OZ-F. OZ-SALZBERGER, Gli ebrei e le parole. Alle radici dell‟identità ebraica, Traduzione di Elena Loewenthal, Feltrinelli, Milano 2015, passim.

226 Nel Registro dei Morti esaminato il titolo di Gaon compare in riferimento ai rabbini Yi aq Berekyah da Fano, Gedalyah Terracino e Mika‟el Avraham Dawid Ya yah. Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, ff. 9r; 24v. Sulla figura del Gaon e le Yešivot si veda: BONFIL, Accademie rabbiniche e presenza ebraica nelle università, in G.P. BRIZZI-J. VERGER (curr.), Le università dell‟Europa. Dal Rinascimento alle

riforme religiose, Ras, Trieste 1991, pp. 133-151; G. VELTRI-E. CHAYES (curr.), Oltre le mura del

ghetto. Accademie, scetticismo e tolleranza nella Venezia barocca, New Digital Press, Palermo 2016.

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della comunità i vari copisti ci hanno lasciato alcuni esempi interessanti sull‟ordine degli studi che si seguiva nella Yešivah lughese e più in generale sulle abitudini dei sapienti:

[…] egli era giusto, santo ed esperto oratore della Torah scritta e orale. Tutti i suoi giorni li trascorreva nell‟Accademia / rabbinica, nella sinagoga e nei luoghi dove si studia la Torah, dove lodava le opere dell‟Onnipotente con preghiere e salmi; giorno e notte studiava le diverse letterature bibliche e rabbiniche […];227

[…] ancora adolescente, arrivò da Mantova per istruire alcuni allievi e insegnare la Torah. / Esperto di tutte le materie dei sapienti, durante la settimana andava in sinagoga a studiare; era un assistente speciale, / dotto in grammatica e logica, preparava i filatteri ed era sempre fra i Rišonim nell‟Accademia rabbinica. […]

Studiava in maniera approfondita la Halakah e gli articoli, scriveva correttamente / in tutte le forme […]. Per interpretare le leggi sui divieti e permessi si basava sul sapere dei Gaonim. […] Osservava la Torah, i precetti e le opere pie […]. / Conosceva e ricordava le tradizioni, scriveva tutti i giorni i precetti […];228

[…] Egli studiava sempre la Torah, Nevi‟im e Ketuvim. Nel suo cuore era timorato di Dio, era / acuto in ogni occasione e in ogni momento, perché non appena sentiva una domanda del daršan,229 / egli rispondeva menzionando tutti i suoi studi […].230

Nel Registro esaminato viene presa in prestito anche una locuzione dal

Talmud, recante l‟appellativo Sinai, utilizzato per descrivere un rabbino particolarmente erudito: «[…] Egli era Sinai, estremamente colto, e sradicava le

montagne231[…]».232

227 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 11v.

228 Cfr. Ivi, f. 22r.

229 Un predicatore o un maestro di Aggadah o Halakah in sinagoga.

230 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 34v.

231 TB, Berakot 64a.

232 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 23v.

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azan

All‟interno della letteratura halakicha il significato del termine azan ha subito diversi cambiamenti nel corso del tempo. Durante il periodo mishnaico e talmudico indicava il sagrestano, ossia il funzionario che aveva il compito di sorvegliare il corretto andamento dei servizi liturgici, specialmente delle letture pubbliche di brani tratti dalla Torah.233 In epoca medievale invece si riferiva in particolare al

רוביצ חילש

(Šelia ibbur), ossia cantore o lettore pubblico.234

Queste funzioni furono mantenute nella comunità ebraica di Lugo, dove il

azan guidava la congregazione in preghiera. Egli cantava i Salmi e leggeva ad alta voce brani tratti dalla Torah. Nelle piccole congregazioni, spesso il rabbino era anche azan, tuttavia, nel caso della congregazione lughese di solito venivano assunti cantori professionisti, dalle spiccate abilità musicali. Questi potevano essere fissi o pro tempore in base alle necessità:

233 Per la figura del azan nell‟antico Israele rimando a: H.H.ROWLEY, Worship in Ancient Israel: its Forms and Meaning, Edward Cadbury Lectures delivered in the University of Birmingham, SPCK, London 1976, pp. 213-245.

234 Si veda R. NATHAN B. YEHIEL, Arukh ha-Shalem [Aruch Completum] (in ebr.), III, Edited by Alexander Kohut, Vienna 1926, pp. 357-360. L‟opera principale dell‟ebreo italiano Nathan b. Ye iel da Roma (1035- 1110 ca) è il lessico talmudico Arukh, il quale riveste una notevole importanza per la storia della cultura ebraica in quanto tramanda brani e le relative interpretazioni di opere perdute. Esso costituisce inoltre l‟unico prodotto letterario degli ebrei italiani dell‟XI secolo. Nel corso dell‟età moderna la sua diffusione presso i saggi ebrei fu capillare e se ne fecero numerosi compendi e addenda. La prima edizione a stampa risale probabilmente attorno al 1477. Più tardi, Alexander Kohut pubblicò un‟edizione ampliata che includeva le annotazioni di Benjamin Mussafias risalenti al XVII secolo, e una con le sue stesse note aggiuntive intitolata appunto Arukh ha-Shalem [Aruch Completum sive Lexicon vocabula et res, quae in libris Targumicis, Taludicis et Midraschicis continentur, explicans / auctore Nathane filio Jachielis…] pubblicata tra il 1878 e il 1892. Sul termine azan si veda anche תידומלת הידפולקיצנא [Talmudic Encyclopedia] (in ebr.), XIII,Talmudic Encyclopedia Publishing Ltd., Jerusalem 1980, cols. 448-454, s.v.

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[…] gran parte dei suoi giorni / li ha trascorsi come cantore fisso per le orazioni serali, mattutine e a mezzogiorno. Ogni luogo era pieno della gloria di suo padre, cantore santo e splendido; era primo dei poeti […].235

Šammaš, Gabbai e Gizbar

Lo Šammaš, che in italiano si può tradurre con “sagrestano” o “bidello”,

assisteva ai servizi di sinagoga e si occupava della sua gestione. Si assicurava che i servizi liturgici di preghiera fossero officiati regolarmente ed efficientemente, e inoltre aveva mansioni di assistenza al rabbino.

Il Gabbai, il cui termine ha origini aramaiche e significava “collettore di tasse” o “tesoriere”, in italiano si rende con “custode” o factotum della sinagoga.

Nel Registro viene menzionato anche il Gizbar o “tesoriere”: il termine deriva dal nome di Sesbassar, principe di Giuda che compare nel libro di Esdra.236 Originariamente Gizbar nella versione ebraica della Bibbia, esso deriva dall‟antico persiano Gazabara, che ricorre altre volte nell‟Antico Testamento,237 sempre con il significato di “tesoriere”.

La comunità disponeva di uno o più tesorieri che avevano l‟incarico di custodire i fondi raccolti dai membri della comunità per far fronte alle varie spese. Le elemosine erano raccolte in apposite Bussole chiuse a chiave.

Šo e

Uno Šo e o “macellaio rituale” aveva il compito di rendere la carne košer,

cioè conforme alla legge ebraica. Egli, dopo aver ucciso l‟animale, ne recideva la vena giugulare, in modo che defluisse completamente il sangue, elemento vitale

235 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 19r.

236 Esd. 1,8.

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appartenente a Dio. Più in generale la Še i ah riguarda la macellazione kašer degli

animali permessi dall‟Halakah, al fine di utilizzarne le parti per l‟alimentazione umana, con l‟esclusione del sangue, di alcune parti grasse e di altre parti non consentite.

Nella Torah si dice che il bestiame deve essere macellato «come ti ho prescritto»,238 ma non viene descritta alcuna pratica di Še i ah. Tali pratiche sono

invece tramandate dal Talmud e codificate nella Halakah da varie fonti, tra le quali la più importante è rappresentata dal codice canonico del Šul an Aruk.

Il compito poteva essere svolto da qualsiasi ebreo adeguatamente istruito e autorizzato dal rabbino che lo nominava Šo e Generale della santa comunità di

Israele. Talvolta, come si legge nel verbale n. 370 datato 8 settembre 1752 del

Registro dei verbali delle sedute consiliari, era lo stesso rabbino a prestare la propria opera di collaborazione occupandosi di parte delle pratiche di macellazione rituale, in aggiunta al macellaio Generale:

[…] Proviggione per che Rabbino Leon Forlì non perda lʼOfficio di הטיחש [macellazione]. Per le molte Instanze fatte dal magnifico Leon Forlì, nel nostro דעו

י״קקה [consiglio della santa comunità di Israele] a voce, e in Iscritto che oltremodo gli rincresce di dover perdere la pratica già fatta della הטיחש [macellazione] per non poterla continovare, riguardo ad altra nostra risoluzione pigliata in adietro pro interim il giorno delli 12 Dicembre 1751 come in questo libro registrata, che così richiedono allora le circostanze del fatto, al presente fattovi la dovuta riflessione, permettiamo noi Massari del י״קק [santa comunità di

Israele] ed altri del דעו [consiglio], radunati nello studio de fanciulli, che il detto magnifico Leon Forlì per tutto il tempo restante della lui obbligazione col nostro

י״קק [santa comunità di Israele], di dover egli stare per sotto דמלמ [insegnante] in ת״ת [insegnamento della Torah], come dalla lui scritura alla quale fu, che principiando dal giorno d‟oggi, possa esercitare la הטיחש [macellazione] in

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questo modo, e non altrimente, cio è, che possa ammazzare li תופוע [polli] per sua casa propria, così pure che possa, essendo chiamato, ammazzare li תופוע [polli] a quelle fameglie del nostro דעו [consiglio] ristretto, che sono accordate col טחוש [macellaio] Generale del י״קק [santa comunità di Israele], magnifico David Fano, senza poter pretendere alcuna paga per detta הטיחש [macellazione] delle sudette quattro Casate del nostro דעו [consiglio], già accordate come sopra, e volendo qualcuno de medemi dargli pagamento che sia obbligato il detto Forlì, […] e per sua ricognizione per detta הטיחש [macellazione] riceverà dal nostro י״קק [santa

comunità di Israele] Paoli dieci, sino al compimento della sudetta lui scritura col patto e condizione che facci la lui dovuta attenzione al ת״ת [insegnamento della

Torah], come ha fatto per il passato e non in altra forma. # Rubbino Jacchia Scrivano del י״קק[santa comunità di Israele], scrissi d‟ordine #.239

239 Ms. Gerusalemme, CAHJP, Registro dei verbali delle sedute consiliari degli anni 1670- 1759, f. 102v.

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2.3.5 Illustri rabbini e intellettuali lughesi menzionati nel