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L‟influsso della Qabbalah luriana sulle pratiche rituali degli ebrei lughes

2.3.1 « L‟Eterno fa morire e fa rivivere Fa scendere alla fossa e risalire» Nuovi documenti per la storia del cimitero

2.3.3 L‟influsso della Qabbalah luriana sulle pratiche rituali degli ebrei lughes

Un aspetto molto interessante riguarda l‟influenza che la Qabbalah luriana esercitò sulle pratiche rituali degli ebrei lughesi.Questo tema merita una breve digressione per comprendere meglio la particolare atmosfera culturale del tempo.

Nel corso del Seicento, anche grazie all‟influsso cristiano che fece del barocco il secolo dei sepolcri, si era manifestato un crescente interesse da parte degli intellettuali ebrei nei confronti della morte e dell‟aldilà. Queste tematiche, che in precedenza non erano state oggetto di particolare riflessione, iniziarono ad essere affrontate in diverse opere, quali l‟Historia de‟ riti Hebraici del rabbino veneziano Yehuda Ariè (Leone) Modena – stampato per la prima volta a Parigi nel 1637 – e il Ma„avar Yabboq, ossia «Il passaggio del (fiume) Yabboq» del cabbalista Aharon Berekyah ben Moses ben Ne emiah da Modena – nipote di Leone Modena – pubblicato a Mantova nel 1626.180 Si trattava di un‟opera piuttosto voluminosa suddivisa in 112 capitoli; da notare che il numero 112 corrisponde all‟equivalenza numerica delle lettere ebraiche della parola

Yabboq.181 In essa, l‟autore descriveva come il popolo ebraico dovesse affrontare

180 Per approfondimenti sulla biografia di Leon Modena rimando a: C. FACCHINI, Una insinuante modernità. Note su Leone Modena e l‟ebraismo nel Seicento. Rassegna bibliografica, in «Annali di Storia dell‟Esegesi» 19/2 (2002), pp. 467-497; su l‟Historia de‟ riti Hebraici si veda: M.R. COHEN, Leone da Modena‟s Riti: A Seventeenth-Century Plea for Social Toleration of Jews, in «Jewish Social Studies» 34/4 (1972), pp. 287-321; M.CAFFIERO, Storia degli ebrei nell‟Italia moderna. Dal Rinascimento alla Restaurazione, Carocci editore, Roma 2014, pp. 137-143.

181 Secondo il racconto biblico gli ebrei, dopo la peregrinazione nel deserto, attraversarono il fiume Yabboq per entrare nella terra promessa; nel Seicento il passaggio di questo fiume divenne allegoria della morte, il guado che l‟uomo doveva superare per raggiungere la vita ultraterrena. Sul Ma„avar Yabboq consultare GOLDBERG, Les deux rives, op. cit., pp. 131-135; BAR-LEVAV, Jewish rituals for the sick and dying, in «Sh‟ma» 34/603, September 2003, p. 11; ID., Leon Modena and the Invention of the Jewish Death Tradition in R. BONFIL, D. MALKIEL (eds.), The Lion Shall Roar Leon Modena and His World,. Jerusalem Magnes, Jerusalem 2003, pp. 85- 102; BAR-LEVAV, Ritualisation of Jewish Life and Death in the Early Modern Period in «Leo

Baeck Institute Year Book» 47 (2002), pp. 75-76; ID., Death and the (Blurred) Boundaries of

Magic: Strategies of Coexistence, in «Kabbalah: Journal for the Study of Jewish Mystical Texts» 7 (2002), pp. 51-64; ID., „When I was Alive‟: Jewish Ethical Wills as Egodocoments, in R. DEKKER

(ed.), «Egodocuments and History: Autobiographical Writing in its Social Context since the Middle Ages»,Erasmus University Rotterdam and Hilversum Verloren, Rotterdam 2002, pp. 45- 59.

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il trapasso da questo mondo all‟altro in termini di Yi ud, Berakah e Qedušah. In ebraico, le iniziali dei tre lemmi – i quali descrivono i concetti cabbalistici di “unità”, “benedizione” e “santità” – formano anche l‟acronimo della parola

Yabboq.182

Questi componimenti, caratterizzati prevalentemente da un‟impostazione didascalico-precettistica, trattano diversi aspetti della celebrazione della morte, da quelli liturgici allo svolgimento dei riti funerari e all‟assistenza dei malati, e possono essere considerati una sorta di corrispettivo ebraico delle contemporanee

Artes moriendi cristiane.183 Tali testi, veri manuali sul buon morire, insieme al dramma composto dal cabbalista Mošeh Zacuto intitolato Tofte„Aruk, ossia «L‟inferno allestito» (1715), opera moralizzatrice ispirata alla commedia dantesca e intrisa di Qabbalah e di fonti midrašiche, nel corso del XVII e XVIII secolo ebbero ampia diffusione presso le comunità ebraiche italiane: riti, prassi e azione mistica divennero tutt‟uno in quella sfera religioso-sacrale dall‟afflato moralistico che conciliava concezioni culturali e tradizionali ebraiche con altre di derivazione cristiana.184

182 Si veda a questo riguardo JEWISH THEOLOGICAL SEMINARY OF AMERICA, From This World to the Next: Jewish Approaches to Illness, Death & the Afterlife, The Jewish Theological Seminary of America, New York 1999, p. 12.

183 Un altro testo diffuso nell‟Ottocento era l‟Imrei Lev: Preghiere d‟un Cuore Israelita del rabbino e poeta Marco Tedeschi (1817-1869). Pubblicato in prima istanza in francese, poi tradotto in italiano, il libro di preghiere – così come viene specificato nell‟introduzione – era rivolto primariamente a un pubblico femminile, sia per uso personale, sia per istruire i figli. Il volume, suddiviso in quattro sezioni, include orazioni da recitare quotidianamente o in particolari ricorrenze, nonché suppliche per familiari, malati ed indigenti. Un‟intera sezione dell‟opera è invece dedicata alle preci per i defunti e per chi ha subito un lutto. L‟opera si conclude con meditazioni di carattere religioso sulla natura dell‟anima e dell‟immortalità. Cfr. M. TEDESCHI,

ImreiLev: Preghiere d‟un Cuore Israelita, F.lli Paglieri, Asti 1852.

184 Per un approfondimento di questi temi rimando a: LATTES, La concezione della morte e dell‟oltretomba nel dramma Tofte „Aruk di Rabbi Mošeh Zacuto, in «Materia Giudaica» XVII- XVIII (2012-2013), pp. 149-154; C. BENINI, La nuova concezione della morte nell‟ebraismo italiano di età barocca: Aaron Berekyah e Leone Modena, Moshe Zacuto, in «Materia Giudaica», XXII (2017), pp. 73-80. Del Tofte „Aruk è da poco uscita anche la versione italiana, con testo ebraico a fronte, curata da Michela Andreatta: M. ZACUTO, L‟inferno allestito. Poema di un

rabbino del Seicento sull‟Oltretomba dei Malvagi, a cura di M. Andreatta, Bompiani, Milano 2016.

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Tale tendenza è ben documentata anche negli atti di morte contenuti nel registro, in cui la descrizione dei riti, delle preghiere recitate, come pure dei comportamenti da tenersi durante i giorni di lutto, si uniscono alle concezioni della Qabbalah di Yi aq Luria, che ebbe un‟importante diffusione nella Penisola a partire dal XVII secolo. Il carattere simbolico e le articolazioni teosofico- esoteriche della sua dottrina, infatti, costituivano una chiave di lettura dell‟intera storia di Israele, fornendo una risposta convincente alle questioni che affliggevano le comunità ebraiche dell‟epoca: la morte fisica non si doveva temere perché era solo un passaggio verso la vita del mondo futuro; l‟esistenza sulla terra aveva un preciso obiettivo, ogni individuo assumeva un ruolo cosmico, e solo operando nel bene si sarebbe raggiunta la redenzione; le mancanze degli uomini oltraggiavano il Messia e ne ritardavano la venuta, per questo occorrevano riti di purificazione nell‟ottica di un processo di restaurazione cosmica (tiqqun):185

[…] certamente dopo / il suo trapasso è andato a godere della vera felicità nonché a vedere, grazie alla correzione delle sue opere,186 il giardino dell‟Eden con i

giusti.187

Le concezioni sovrarazionali della Qabbalah luriana penetrarono anche usi, preghiere e riti degli ebrei lughesi, alimentando pratiche mistiche e gesti apotropaici – riservati generalmente ai riti funebri maschili – per allontanare gli spiriti maligni e proteggere il morto e la collettività. Nei testi, infatti, sono presenti descrizioni accurate della morte e della veglia al morto, nonché della pratica di

185 Per la Qabbalah luriana si vedano: Encyclopaedia Judaica, Keter Publishing House,

Jerusalem 1971, vol. XIII, pp. 262-267; SCHOLEM, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi, Torino 2008, pp. 263-269; ID., La figura mistica della divinità: studi sui concetti fondamentali della Qabbalah, a cura di S. Campanini, Adelphi, Milano 2010, passim; ID., La cabala, op. cit., pp. 422-430.

186 TB, Yoma 86a.

187 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 45r.

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compiere ostracismi con valore apotropaico, facendo dei giri rituali (circumambulazioni), in ebraico haqqafot, attorno al defunto:188

[…] Egli era l‟anziano e stimato, l‟onorato signor Yehudah chiamato Rafa‟el Fano, dipartito per l‟eterna dimora il santo sabato / […] durante l‟uscita dalla sinagoga, mentre si dicevano le preghiere delle sentinelle del mattino, 4 Siwan 5490 (= 20 maggio 1730), ed è stato portato / al suo riposo domenica […]. Gli fecero i giri apotropaici (haqqafot) come richiesto e come si conviene, nonostante fosse la sera del sabato, / perché il comandamento positivo così richiedeva ed è stato onorato secondo la sua eminenza.189

Questa pratica, che non viene menzionata nella Halakah, ma è chiaramente di ascendenza cabbalistica, sembra sia stata diffusa dagli di ebrei sefarditi emigrati in seguito all‟espulsione e introdotta tra le comunità italiane a partire dal XVI secolo. Se ne trova traccia in diverse raccolte di preghiere spagnole, in particolare in un piyyut o poema per il suffragio dei defunti intitolato

וילע

אנמחר

diviso in sette strofe in rima, che potevano corrispondere ai giri apotropaici. L‟accento mistico fu suggerito da Aharon Berekyah da Modena, il quale apparteneva a quella generazione di cabbalisti che interpretavano i rapporti illeciti dell‟uomo con Lilith come il momento in cui si concepivano gli spiriti maligni.190 In quest‟ottica l‟uso consisteva nel compiere i sette haqqafot in una sorta di danza funebre compiuta da dieci ebrei attorno al feretro al fine di allontanare i demoni

188 Il giro apotropaico come pratica rituale è menzionata numerose volte nel Registro dei morti. Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, ff.13r; 16r; 19r; 24v; 31r; 31v; 35r; 37r; 42v; 43v; 45r; 45v; 46r; 50r; 52v; 53v; 56v; 62r; 63r.

189

Cfr. Ivi, f. 37r. Corsivo mio.

190 Secondo alcune fonti antiche Lilith sarebbe la prima Eva la quale si ribellò alle tradizioni patriarcali congiungendosi con לאמס o Samael, il serpente della creazione, dando origine a tutte le stirpi demoniache. Si veda S. HURWITZ, Lilith the First Eve: Historical and Psychological Aspects of the Dark Feminine, Daimon Verlag, Einsedeln 2009.

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che egli avrebbe involontariamente generato con Lilith, a seguito delle polluzioni notturne.191

Come afferma Scholem, il senso del rito sarebbe connesso con le idee della

Qabbalah intorno alla vita sessuale e alla sacralità del seme umano. Queste antiche immagini sulla procreazione demoniaca nella polluzione o in altre pratiche, specialmente onanistiche, furono riprese dai cabalisti e sistematizzate nello Zohar, nel senso che Lilith, la regina dei demoni, o i demoni che appartengono alla sua corte, cercano di indurre l‟uomo ad atti sessuali dove manca il partner femminile, per potersi così fabbricare un corpo per sé, col seme che cade nel vuoto.

Nel secolo XVI, negli scritti di un cabbalista sefardita, Abraham Sabba, questa concezione venne congiunta con la morte dell‟uomo. Tutti i figli illegittimi che l‟uomo ha generato con i demoni nel corso della sua vita, dopo la sua morte appaiono per partecipare al lamento funebre e all‟inumazione:

Tutti quegli spiriti che hanno fabbricato il loro corpo col suo seme lo considerano loro padre. Così deve espiare questa colpa soprattutto il giorno dell‟inumazione; infatti quando viene portato alla tomba, essi sciamano attorno a lui come api e gridano: “Tu sei nostro padre”, e gemono e si lamentano dietro la sua bara, poiché perdono il corpo dove sono nati, e sono tormentati assieme agli altri demoni che fluttuano nell‟aria [senza possedere un corpo].192

Modena fa riferimento a questo uso rituale nella sua descrizione dei costumi ebraici pur senza nominarne l‟origine cabbalistica:

[…] In alcuni luoghi usano posata la cassa là presso la fossa,a gl‟huomini però, attorniar sette volte dieci persone la cassa, con dir un‟oratione per l‟anima del morto & altri non lo fanno.193

191 M. BENAYAHU, Ma‟amadot u-moshavot, in Studies in Memory of the Rishon le-Zion R. Yitzhak Nissim (in ebr.), VI, Yad Harav Nissim, Jerusalem 1985, pp. 105-113.

192 Hemdath Yamim, II, f. 98b.

193 L. DA MODENA, Historia de‟ riti hebraici, vita et osservanze degli Hebrei di questi tempi…, Venezia, Appresso Giovanni Calleoni, 1638, pp. 119-120.

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Nel complesso, l‟intento della pratica era quello di racchiudere il morto in un cerchio magico-sacro, ossia uno spazio astratto da cui espellere i cattivi influssi che avrebbero potuto penetrarvi dall‟esterno e insieme fugare quelli che si fossero annidati all‟interno. Secondo la concezione cabbalistica, il rito dei sette giri attorno al morto diventa quindi una cerimonia di difesa che ha lo scopo d‟impedire che quei falsi figli demoniaci si avvicinino al morto.194

La morte di un membro della comunità assumeva anche la funzione di

הרפכ

ossia di espiazione e assoluzione dai peccati commessi, sia dal morto che dalla comunità stessa, nell‟ottica di quel processo catartico di redenzione escatologica necessario per l‟avvento del Messia e il raggiungimento della salvezza:

[…] l‟onorato signor Šemu‟el Yehudah Levi, [è] dipartito per l‟eterna dimora a 40 anni, / domenica 6 Ševat 435 (= 2 febbraio 1675) dopo molte sofferenze per l‟espiazione di tutti i peccati […].195

Il Ma„avar Yabboq sopra citato, opera del cabbalista Aharon Berekyah da

Modena, veniva letto a più riprese durante le sessioni di preghiera riservate a defunti rabbini o personalità di rilievo:

[…] Era l‟anziano, caro, eminente, l‟onorato signor Šemu‟el bar Baruq Arezzo, il ricordo del giusto sia in benedizione, morto domenica […] 23 Adar 5507 (= 5 marzo 1747). […] [È dipartito] per l‟eterna dimora […] e fu portato al suo riposo lo stesso giorno, gli fecero i giri apotropaici secondo il suo merito e decisero / di studiare insieme il libro del Ma„avar Yabboq presso la sua abitazione durante la

notte di lutto e nelle due sere successive […].196

E ancora:

194 Si veda G. SCHOLEM, La cabala, Edizioni Mediterranee, Roma 1992, pp. 357-362;ID., La Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi, Torino 1978, passim.

195 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 16v. Si vedano anche i ff. 13v; 15r; 15v; 16v; 17r; 22r; 23r; 24v; 26r; 28v; 34v; 43r; 45v; 52r; 53r; 53v;

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[…] Per la sua grande modestia egli [il defunto rabbino Yi aq Berekyah da Fano III (1676-1750)] ha ordinato che non venisse pronunciato alcun discorso funebre per lui e che non si eseguissero nemmeno i giri apotropaici, né le lamentazioni, nonostante i suoi meriti avessero fatto aumentare la sua gloria in ogni luogo. Ciò per rispettare le disposizioni lasciate dal defunto […] ma [i membri della confraternita] si radunarono nella sua casa tutti i setti giorni di lutto, studiando il libro Ma„avar / Yabboq alla presenza di tutta la santa comunità di Israele poiché

tutti, come una persona sola, lo amarono per essere la sua persona un riposo per il cielo e le creature della terra […].197

È bene precisare che Aharon Berekyah da Modena era stato allievo del rabbino di Lugo Mena em Azaryah da Fano, il famoso cabbalista, noto con l‟acronimo di Rama. È dunque lecito pensare che l‟opera fosse conosciuta in modo particolare e studiata attentamente dai membri della comunità.

Una delle formule più ricorrenti negli atti di morte recita: tehi nafšo erurah bi eror ha- ayyim ossia la sua anima sia legata nel vincolo della vita. La frase, dal significato oscuro e difficilmente traducibile in italiano, rimanda all‟opera

magna della tradizione cabbalistica, il Sefer ha-Zohar o Libro dello Splendore e in particolare alla teoria secondo la quale esisterebbero tre mondi nella realtà dell‟uomo: il primo è quello terreno che termina con la morte; il secondo è il giardino dell‟Eden e il terzo, quello superiore, è il fascio della vita descritto in 1 Samuele 25: Se qualcuno insorgerà a perseguitarti e a cercare la tua vita, la tua

anima, o mio Signore, sarà legata nel fascio della vita presso il Signore tuo Dio, mentre l‟anima dei tuoi nemici Egli la scaglierà come dal cavo della fionda.198

197 Cfr. Ivi, f. 46r.

198 1 Sam. 25,29. Tra le formule più ricorrenti si ritrova anche un brano profetico di carattere messianico: Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché faccia tornare il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri (Mal. 3,23-24). Non esiste quindi una frattura tra le diverse generazioni, ma una riconciliazione dei cuori che pone fine all‟incomprensione tra padri e figli. Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, ff. 47r; 54v

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La morte e il trapasso a Dio giungevano attraverso la figura di un angelo con una spada, il Malak ha-mavet:199

[…] Essendo nel trigesimo200 dalla morte devastante […] dell‟onorato signor

Šelomoh Levi […]; ancora la spada dell‟angelo della morte fu brandita contro di lui, eppure / la sua ira non si calmava, e la sua mano rimaneva distesa201 contro

quello che gli era restato sui suoi parenti che gli sono vicini202[…].203

Di questo angelo, latore del volere divino agli uomini, i saggi forniscono una descrizione accurata:

[…] they said about the Angel of Death that he is entirely full of eyes. When a sick person is about to die, the Angel of Death stands above his head, with his sword drawn in his hand, and a drop of poison hanging on the edge of the sword. Once the sick person sees him, he trembles, and thereby opens his mouth; and the Angel of Death throws the drop of poison into his mouth. From this drop of poison the sick person dies […].204

In diversi atti egli viene indicato con il nome aramaico

אכאלמד אקנוורפ

אתומד

, ossia messaggero, angelo della morte:

199 Gli angeli devono essere intesi come intermediari di Dio, ossia strumenti della volontà divina per dare esecuzione ai suoi progetti nel mondo. Per un approfondimento sulla figura degli angeli rimando a: D. SYME RUSSELL, Dal primo giudaismo alla Chiesa delle origini, in «Studi

Biblici» 96 (1991), pp. 106-107.

200 Pesa im 6a; Bartenura su Mišnah Sukkah 1,1 et al. 201 Is. 5,25; Is. 9,11 et al.

202 Ramban su Genesi 38,8; Raši su Yevamot 29b et al.

203 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 40r.

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la febbre si era impossessata di lei che fino a quel momento non era stata contagiata […] [ed] era così alta e feroce che alla fine / provocò la sua morte e la venuta del messaggero, l‟angelo della morte.205

L‟ultimo grado del percorso di ascesi interiore, con cui il devoto si distaccava dalla realtà fisica e affrontava l‟ultimo viaggio verso la pura immaterialità, è rappresentato dal “bacio di Dio”, che può essere definito come uno stato di rapimento spirituale che il mistico esperiva dopo aver raggiunto la perfezione interiore:

[…] L‟onorato nostro maestro, il rav Reuven ibn Ya yah, il ricordo del giusto e del santo sia in benedizione. [è stato] preso [dal] Dio terribile durante la sua malattia, ed è morto dopo cinque giorni, nel momento in cui lo ha portato via / con un bacio

di purezza,206 e ha fatto entrare la sua anima nel tesoro, nel giorno di martedì, […]

2 Adar 5520 (= 1760), prima di mezzogiorno.207

L‟espressione bi-nešiqah – o mors osculi secondo la definizione di Giovanni Pico della Mirandola208 – indica quindi la morte mistica di colui che ama Dio con

tutta la sua anima209 e a Dio si congiunge nel supremo distacco dalle cose terrene.

205 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 32v. Un altro esempio simile si può trovare al f. 39v.

206 L‟originale ebraico è: הרהטבו הקישנב .

207 Cfr. Ms. New York, JTS, Registro dei morti della comunità ebraica di Lugo per gli anni 1658-1825, f. 52v.

208 Il tema della morte di bacio fu affrontato da Pico della Mirandola e da altri rappresentati della cabala cristiana, quali Leone Ebreo, Celio Calcagnini, Francesco Zorzi, Egidio da Viterbo e Giordano Bruno. Per approfondimenti rimando a: M. FISHBANE, The Kiss of God.Spiritual and

Mystical Death in Judaism, University of Washington Press, Seattle-London 1994; E. WIND, Pagan Mysteries in the Renaissance, Yale University Press, New Haven 1958; S. CAMPANINI, Ancora sulla “morte di bacio” e la sua fortuna tra Rinascimento e Barocco, in «Materia Giudaica» XVII-XVIII (2012-13), pp. 99-108; ID.,Der Todeskuss und andere Krankheiten. Über ein jüdisches Motiv in Johann Baptista van Helmonts Werken, in «Morgen-Glantz. Zeitschrift der Christian Knorr von Rosenroth-Gesellschaft» 27 (2017), pp. 149-166.

121

L‟immagine è tratta dal Cantico dei Cantici – Mi baci con i baci della sua

bocca210 – e viene associata alla morte del giusto attraverso un‟interpretazione

letterale della morte dei Patriarchi avvenuta per bocca della Šekinah, o presenza

divina:

[…] In resignation to the will of God, Jacob awaited his end, and death enveloped him gently. Not the Angel of Death ended his life, but the Shekinah took his soul with a kiss. Beside the three Patriarchs, Abraham, Isaac, and Jacob, only Moses, Aaron, and Miriam breathed their last in this manner, through the kiss of the

Shekinah.211

La figura della Šekinah – di cui l‟universo sarebbe permeato – si può definire come «un‟emanazione ipostatica di Dio, la personificazione dell‟immanenza dell‟essere supremo»,212 fu introdotta in seguito alla distruzione del tempio, quando cioè venne meno la dimora fisica di Dio tra il suo popolo: