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2. Il manoscritto del Pinqas ha-nif ṭarim

2.1 Presentazione generale

Il Registro dei morti e la diaspora delle fonti ebraiche

La storia del manoscritto è strettamente legata alle vicissitudini della comunità ebraica che lo ha prodotto, di conseguenza, la sua ricostruzione implica le maggiori difficoltà, poiché i dati di cui si dispone sono frammentari e incompleti. Spesso, infatti, l‟origine di un manoscritto ha poco a che fare con il luogo in cui è conservato; occorre invece, non solo risalire al centro culturale che lo ha prodotto, dalla preparazione dei fogli all‟opera dell‟amanuense e alla rilegatura dei fascicoli, ma anche, per quanto possibile, effettuare un‟attenta operazione di ricostruzione degli eventi – talvolta impervia e avventurosa – che lo hanno coinvolto. In seguito alla creazione, infatti, si affaccia nella vita del documento il lungo periodo delle sue vicissitudini fino alla situazione attuale; ma fra l‟uno e l‟altro, come in questo caso, vi è di solito un distacco di tempo, un esteso intervallo di peregrinazioni e contatti – che spesso sconfinano nel mercato di collezionisti privati – difficilmente rintracciabili. Le uniche informazioni certe in nostro possesso riguardanti l‟ultimo trasferimento del manoscritto, sono quelle riportate da Umberto Cassuto,48 il quale attesta che il Registro dei morti della

comunità ebraica di Lugo è conservato fin dagli anni Trenta del Novecento a New York, dove si trova ancora oggi, presso la Biblioteca del Jewish Theological Seminary of America (JTS). Questo risulta essere l‟attuale punto di localizzazione del documento, ma qual è la sua derivazione più antica? Quali i suoi spostamenti?

Come si è visto, nonostante il problema della diaspora del patrimonio librario di manoscritti, molti registri, documenti comunitari nonché opere letterarie composte dagli ebrei lughesi, pur non trovandosi più nella città

48 Si veda la voce “Lugo” nel X volume di Encyclopaedia Judaica, Eshkol Publishing Society, Berlino 1929-1934. La direzione editoriale dell‟enciclopedia, pubblicata a Berlino dal 1928 al 1934 dalla Eshkol Publishing Society di Nahum Goldmann e mai portata a termine, era di Jakob Klatzkin e Ismar Elbogen. Dopo 10 volumi il progetto fu fermato dai nazisti.

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d‟origine, sono sopravvissuti e sono oggi conservati, oltre ad alcune biblioteche italiane, prevalentemente in quelle di Israele, degli Stati Uniti e dell‟Europa. In parte danneggiati, ma scampati alla censura libraria Sei e Settecentesca e ai roghi durante la Seconda Guerra Mondiale, molti registri comunitari di vario genere – tra cui verosimilmente anche quello della presente indagine –, non esistendo più la comunità ebraica di Lugo, vennero depositati nell‟archivio della comunità di riferimento, ossia a Ferrara. Successivamente, verso gli anni Sessanta del secolo scorso, furono inviati in Israele presso i Central Archives for the History of the

Jewish People (CAHJP) di Gerusalemme, dove oggi è conservata la maggior parte di essi, in particolare quelli contenenti i verbali delle sedute consiliari, redatti nell‟arco cronologico che va dal Sei all‟Ottocento.49 Diversa fu invece la destinazione del Pinqas ha-nif arim, il quale, prima di giungere al JTS, finì per circolare nel mercato di collezionisti privati – molto probabilmente rabbini emigrati negli Stati Uniti – al quale spesso attingono le biblioteche pubbliche che dispongono dei fondi necessari. Occorre precisare, infatti, che nel momento di decadenza delle comunità italiane verificatosi nel corso dell‟Ottocento, molti ebrei iniziarono a spostarsi negli Stati Uniti prima in cerca di benessere, poi, dagli anni Trenta del Novecento, per sfuggire alla persecuzione nazi-fascista. Qui si formarono grandi comunità di milioni di ebrei emigrati, le quali, non disponendo di alcuna fonte relativa alla loro storia e alle loro origini, iniziarono ad acquisire da rabbini europei e italiani il materiale archivistico e librario, manoscritto e a stampa – quindi verosimilmente anche il Registro dei morti degli ebrei di Lugo – ormai abbandonato dalle comunità in declino che nella maggior parte dei casi non parlavano più l‟ebraico. Con tutta probabilità furono questi, a grandi linee, gli spostamenti del manoscritto, dal ritrovamento all‟approdo definitivo nella Biblioteca del Jewish Theological Seminary di New York, massimo centro

49 Il problema della dispersione dei manoscritti ebraici è stato in parte risolto dalla costituzione, negli anni Cinquanta del secolo scorso ad opera dei fondatori dello Stato di Israele, dell‟Istituto dei Microfilm dei Manoscritti Ebraici di Gerusalemme, il quale si pose come obiettivo la microfilmatura di tutti i manoscritti ebraici esistenti al mondo, poi raccolti e consultabili presso la Jewish National and University Library di Gerusalemme – oggi National Library of Israel. Questo istituto ha di gran lunga facilitato il lavoro di quegli studiosi che, non avendo bisogno di visionare direttamente gli originali, hanno potuto consultare i testi a Gerusalemme, senza doversi recare in numerose città sparse per il mondo.

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culturale dell‟ebraismo Conservative, dopo intricate vicende che lo spinsero oltre oceano. Del resto, nella stessa città materiali lughesi sono conservati presso la

Lehmann Foundation, mentre un registro settecentesco con gli incarichi religiosi e liturgici è finito presso la Union College Library di Cincinnati, tempio dell‟ebraismo riformato.

La registrazione scritta come esigenza nuova dell‟Urbanesimo

La scelta di tenere un registro ordinato contenente da un lato gli statuti della Confraternita incaricata di occuparsi della sepoltura dei membri della comunità, e dall‟altro gli atti di morte veri e propri, rispecchia la volontà di una riorganizzazione giuridica delle istituzioni comunitarie ebraiche che costituì uno degli esiti di quel rinnovato senso civico portato dal processo di urbanizzazione che aveva investito la Penisola nel corso del XVI secolo.50 La strutturazione in organismi definiti della comunità ebraica di Lugo riflette la necessità di fissare, registrare e documentare, tipica del clima di rinnovamento che aveva investito le istituzioni israelitiche dell‟Italia centro-settentrionale durante il primo periodo moderno in maniera del tutto parallela a quanto avvenne nel mondo maggioritario cristiano. La tenuta di registri di matrimoni e battesimi, infatti, fu introdotta nella legislazione canonica con il Decretum de Reformatione Matrimonii del Concilio di Trento, mentre con il Rituale Romanum emanato da Paolo V nel 1614 si proposero le modalità da osservare per la compilazione dei registri, nonché degli

status animarum, dei cresimati e dei defunti.51 Tali normative trovarono

50 A questo proposito si veda LATTES, Le fasi di un fenomeno urbanistico ed organizzativo ebraico nell‟Italia del Cinque-Seicento, in M.ROMANI-E. TRANIELLO (curr.), Gli ebrei nell‟Italia

centro settentrionale fra tardo Medioevo ed età moderna (secoli XV-XVIII), Cheiron, n. 57-58, anno XXIX annata 2012, pp. 131-141; Per una visione più generale si vedano: D.J. ELAZAR-S.A.

COHEN, The Jewish Polity: Jewish Political Organization from Biblical Times to the Present,

Indiana University Press, Bloomington 1985; LATTES, The Organizational Framework of the Jewish Communities in Italy, in «Jewish Political Studies Review» 5 (3/4), The Sephardic Political Experience (Fall 1993), pp. 141-158.

51 Cfr. N. SCHÖCH, La solennizzazione giuridica della „forma canonica‟ nel Decreto Tametsi del Concilio di Trento in «Antonianum», 1997, p. 637 e ss; G.BADINI, Archivi e Chiesa.

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applicazione in tempi relativamente brevi e dovettero essere recepite velocemente anche all‟interno del mondo ebraico. In effetti il nuovo clima portato dall‟urbanizzazione nel corso del XVI secolo, fece sì che anche all‟interno delle comunità ebraiche italiane si manifestasse l‟esigenza di dotarsi di un sistema di autogoverno più moderno e definito e di documentare per iscritto i momenti salienti della vita organizzata, dalle elezioni dei responsabili, alle decisioni del consiglio, dalla tassazione in base al reddito alla programmazione economica, e a tutti gli altri aspetti della vita sociale e religiosa della comunità. In tal modo si iniziarono a fissare con carta e penna anche gli statuti delle confraternite che sovrintendevano ai vari bisogni comunitari, la struttura e il tipo di organizzazione, e tutte le regolamentazioni atte a disciplinare i rapporti tra le varie istituzioni subordinate a quella comunitaria principale. Il primo statuto di una comunità ebraica italiana nacque a Roma nel 1524, quando il noto banchiere Daniel da Pisa fu incaricato della redazione di una vera e propria costituzione comunitaria – i cosiddetti «Capitoli» – che ponesse fine alle controversie che erano insorte all‟interno del gruppo. I Capitoli definirono la struttura istituzionale della

Universitas Hebreorum Urbis per secoli e ad essi si rifecero molti altri statuti stilati in numerose città fra cui Verona e Mantova nel 1539, e Firenze nel 1572.52 Regolamentate da statuti interni a sé stanti erano la Confraternite, costituite con lo scopo di occuparsi di opere di carità e beneficienza, ad esempio la sepoltura dei defunti e le relative operazioni inerenti al lutto, l‟assistenza ai malati, alle vedove, ai poveri o alle ragazze senza una dote che non potevano maritarsi. Questi gruppi, organizzati e finanziati autonomamente dagli stessi membri, si dedicavano inoltre all‟istruzione degli orfani e alla pianificazione della preghiera.

52 Per approfondimenti rimando a:MILANO, I Capitoli di Daniel da Pisa e la comunità di Roma, Unione Arti Grafiche, Città di Castello 1936; Y. BOKSENBOIM (ed.), Pinkas Kahal Verona

[Registro dei verbali della Comunità ebraica di Verona] (in ebr.), Tel Aviv 1989-90; CASSUTO, I

più antichi capitoli del ghetto di Firenze, in «Rivista Israelitica» 9 (1912), pp. 203-211; 10 (1912), pp. 32-40; 71-80; LATTES, Aspetti politici ed istituzionali delle comunità ebraiche in Italia nel Cinque-Seicento, in «Zakhor» 2 (1998), pp. 21-37; ID., The Constitutional Documents of the

Italian Jewish Community, in «Jewish Political Studies Review» 3-4 (5757/1996), pp. 11-65; ID.,

The Type of Community Minute Books-Some Preliminary Conclusions, in SIMONSOHN,

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La concezione della morte e dell‟aldilà nel mondo ebraico

Mentre i verbali delle sedute consiliari con la metà del Seicento passano all‟italiano, gli atti di morte del Pinqas, invece, come anche le epigrafi sepolcrali, rimangono redatti in ebraico fino alla prima metà dell‟Ottocento. Questo fatto evidenzia il trattamento differente che si riserva a diversi generi letterari di testi, preferendo il carattere aulico, sacrale e misterioso della lingua dei Padri, per la registrazione di quel mysterium tremendum et fascinans che è la morte. In tal modo l‟ebreo esprime il timore e tremore umano di fronte al tremendo passaggio da questo mondo all‟altro, decretato da Dio.

La lettura degli atti contenuti nel Registro dei morti affascina inevitabilmente colui che vi si affaccia, poiché in essi è racchiusa l‟essenza della concezione ebraica della morte, della sofferenza e del lutto. La tematica della morte è senza dubbio complessa, le sue interpretazioni – costantemente trattate nella vastità della produzione letteraria ebraica, dalla Bibbia alla letteratura rabbinica e gaonica, dall‟etica all‟omiletica, dalla filosofia alla Qabbalah, dall‟Halakah agli inni liturgici o piyyu im, dalla poesia alla letteratura popolare – sono mutate nel corso dei secoli, anche in funzione degli avvenimenti storici che si sono susseguiti.53

Il concetto di immortalità dell‟anima appare solamente nella tormentata epoca dei Maccabei, durante le persecuzioni del seleucide Antioco IV, nel II secolo a.e.v., epoca a cui risale la redazione di Daniele. In questo testo gli angeli rivelano a Daniele che alla fine di una guerra escatologica, in cui Israele sarà guidato dall‟angelo Michele, vi sarà la liberazione di «tutti coloro che si trovano scritti nel libro» (12,1):

«Molti di quelli che dormono nella terra della polvere si risveglieranno, alcuni per la vita eterna, altri per la vergogna, ad eterna infamia. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia

53 Si veda A.BAR-LEVAV,Jewish Attitudes towards Death: A Society between Time, Space and Texts, in S.C.REIF,A.LEHNARDT,A. BAR-LEVAV (eds.), Death in Jewish Life: Burial and

Mourning Customs in Medieval Ashkenaz and later Communities, De Gruyter, Berlin, 2014, pp. 3- 15.

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saranno come le stelle per sempre. [...] Ma tu va‟ pure fino alla tua fine: avrai requie e ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni».54

L‟idea della resurrezione dei corpi, invece, è già presente nel libro del Deuteronomio, in cui si legge: Io faccio morire e faccio vivere, ferisco e risano.55

La tradizione prima, e le Scritture poi, hanno insegnato agli ebrei che l‟uomo al principio era polvere,56 ed è diventato essere vivente perché Dio gli ha conferito la nišmat ayyim, l‟anelito di vita.57 Quando Dio ritira il suo soffio e la sostanza vitale si svuota, giunge il momento della

המשנה תאצי

, o dipartita dell‟anima: il suo percorso sulla terra è giunto al termine, la vita nata nel grembo materno torna all‟origine. La nešamah espira, l‟anima abbandona il corpo fisico e raggiunge gli spiriti che dimorano nell‟

אבה םלועה

o “mondo a venire”.58

A questo riguardo, occorre specificare che a differenza di quanto è avvenuto nel mondo cristiano, la tradizione ebraica volontariamente non si sofferma ad indagare la condizione della vita oltre la morte: nell‟ebraismo, infatti, la morte assume un aspetto secondario in quanto l‟attenzione della vita religiosa si concentra sul mondo presente.59 La morte viene considerata come un naturale

54 Dan. 12,2-3,13. Cfr. CAPELLI, Il discorso sulla morte nell‟ebraismo dalla Bibbia alla tarda antichità, in «Humanitas» 71 (2016), pp. 365-366.

55 Deut. 32,39. A questo proposito consultare: S.A. GOLDBERG, Les deux rives du Yabbok: la maladie et la mort dans le judaisme ashkenaze, Cerf, Paris 1989, pp. 20-24; P. PIERRET, La maison des vivants-Beth Hayim-The House of the living, Catalogue d‟exposition, Musée juif de Belgique, Bruxelles 2013, p. 33.

56 Gen. 3,19.

57 «Allora il Signore Dio plasmò l‟uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l‟uomo divenne un essere vivente». Gen. 2,7. Oltre a nešamah, in ebraico la parola “anima” si può indicare con termini diversi, i quali rimandano sempre all‟idea di movimento vitale: nefeš che nella Bibbia può significare “persona”, ma anche la sua parte spirituale; rua ;

ayah e ye idah.

58 Per queste tematiche si veda: J. WITTENBERG, Épitre de la vie. Guide des coutumes traditionelles juives en situation de maladie, fin de vie et de deuil, adaptation française Rivon Krygier, Éditions In Press, Paris 2002, pp. 17-20.

59 Y. LEVY, Journey Through Grief: A Sephardic Manual for the Bereaved and Their Community, KTAV Publishing House, New York 2003, p. 28.

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processo che, come la vita, assume un significato profondo essendo parte del piano divino. Per questo motivo la Bibbia non fornisce una formulazione ufficiale di una dottrina sull‟immortalità dell‟anima, tanto che la fede in un mondo ultraterreno, dove i giusti sono ricompensati per le loro opere, si diffuse solamente a partire dal giudaismo rabbinico.60

Dagli atti del Registro traspare anche il problema della sofferenza del giusto nel mondo terreno. Secondo la concezione ebraica la volontà divina sulla terra si realizza e si esprime secondo un programma preciso, ossia attraverso la Torah, l‟insegnamento divino. La realtà quotidiana, anche nei suoi aspetti negativi e incomprensibili, rispecchia una volontà superiore, quella celeste; gli animi affranti sono consolati attraverso la coscienza di Israele, ossia la profonda consapevolezza, che anche nelle peggiori circostanze, Dio non potrà mai abbandonare il suo popolo, suo speciale possesso,61 e svincolarlo dal suo patto. La morte, ritenuta dal Talmud parte integrante della vita,62 è l‟unico evento immutabile al quale nessuno può sfuggire. La vita e il dolore sono concepiti come tappe di un percorso di rivelazione della sofferenza che, secondo quanto si apprende dalla lettura del Pinqas, può essere intesa come purificazione, punizione, espiazione, conseguenza delle colpe dei padri, ma anche come espressione della misericordia di Dio in virtù della sua alleanza con l‟uomo.

Struttura degli atti di morte

Il Registro riporta in sequenza cronologica i nominativi dei defunti della comunità. Ciascun atto può contenere informazioni di diversa natura, a seconda dell‟importanza del defunto, nonché l‟attestazione dell‟avvenuta morte: tale dichiarazione in genere contiene nome e cognome dello stesso, età e professione,

60 R. DI SEGNI, La dialettica tra al di qua e al di là. Tracce di una conversazione tenuta a Ravenna, 9 settembre 2012, in «Materia Giudaica» XVII-XVIII (2012-2013), p. 6; A. CHICHEPORTICHE, Even-Yisrael. Hilkhot-semahot. La pierre d‟Israel. Lois et coutumes du deuil,

réflexions sur l‟au-delà, Colbo, Paris 1994, pp.364-368.

61 Sal. 135,4. Questa espressione compare spesso nella formula finale degli atti di morte. 62 Ketubot 8b.

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il nome ed il cognome del padre ed il nome ed il cognome della madre da nubile, oltre naturalmente alla data e all‟ora del decesso.

Gli atti di morte contenuti nel Registro – che in totale sono 1.561, di cui 9 con poesia – sono molto interessanti perché, a seconda del prestigio del defunto, si limitano ad una scarna riga, o gli viene dedicata una pagina intera, dove l‟atto trasale la registrazione burocratica per espandersi in un poema che grida il dolore per la scomparsa di un grande rabbino, e di un generoso benefattore della comunità. In questi casi l‟atto si struttura in due tre parti:

 un motto vergato in caratteri quadrati che riporta passi tratti dalla Bibbia o dal Talmud;

 un poema in rima e ritmo e in grafia semi-corsiva, nel quale si esaltano le qualità e le virtù del defunto, realizzando anche giochi grafici che evidenziano il nome del trapassato o con un acrostico e con altre tecniche scribali;

 nella terza parte, infine, compare un racconto che elenca in prosa e in scrittura semi-corsiva, come la precedente, gli eventi del trapasso e i riti celebrati per il defunto.

I poemi in rima e ritmo presentano in genere varie combinazioni sillabiche, nel quale si esaltano le qualità del defunto. Di seguito propongo come esempio il componimento poetico che si trova al f. 24v, nell‟atto di morte del rabbino Mika‟el Avraham Dawid Ya yah datato 4 Nisan 453, ossia 21 marzo 1693.

אכדנ בל םע

הכבי אלימ

הפ לכ קעצי

אפרמ תלוז

הנש לכ ךא

דבלב םוי אל

הניק אשי

הפשנ רה לע

הלוגה רואמ

םינפ אושנ ןקז

הבשנ שדקה רזנ

םיקלאה ןוראש

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הנפ יכ ונל יוא

ילב ךז רשיו יקנ

םירמש

חור ןמאנ

אלב

המרמ יתפש

ימ םינינפמ קוחר

אצמי

Per rendere fruibile il metro e le rime traslittero l‟ebraico, ed evidenzio le finali: Zulat marpé -e Yi „aq kol péh -e mila yivkéh -e im lev nidkà -a

„al har nišpéh

-e yi a qinàh -a lo yom bilvàd -a ak kol šanàh -a še-aron ha- Elohìm -im

nezer ha-qodeš nišbàh

-a zaqen na o panìm -im me‟or ha- golàh -a hu me-geza„ yešišìm -im u-mišpa ah ramàh -a

„a eret tif‟eret

-e „ammud ha- qehillah -a ra oq mi- peninim mi yim e -e

ne‟eman rua be-lo šifte mirmah

-a

naqi we-yašar zak beli šemarim -im hoi lanu ki fanah -a

La struttura metrica pare costruita come segue:

Riga 1 4 ritmi quaternari, uscenti in: -e -e -e -a Riga 2 4 ritmi quaternari, uscenti in: -e -a -a -a Riga 3 2 ritmi settenari + 2 senari, uscenti

in:

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Riga 4 1 ritmo settenario + 3 senari uscenti in:

-im -a -e -a

Riga 5 3 ritmi novenari + 1 senario uscenti in:

-e -a -im -a

Eccone la versione italiana:

Ogni atto, comunque, anche quello che riguarda persone modeste, è costituito da alcune note che, oltre ad indicare il nome del defunto, la data del decesso e le relazioni parentali, descrivono più o meno dettagliatamente la celebrazione del funerale. Nell‟Appendice documentaria si intendono presentare

63 Is. 13,2.

64 Adattamento da Prov. 31,10. 65 Sal. 17,1.

66 Ger. 6,4.

Senza alcuna cura ogni bocca griderà,

lasciate pur che pianga

con un cuore spezzato,

Sopra un monte brullo63

leverà un lamento, non solo un giorno ma tutto l‟anno, poichè l‟Arca di Dio, un diadema di santità è volato via, un anziano dall‟aspetto eminente, luce dell‟esilio; di una stirpe di anziani e di una famiglia elevata,

(era) una corona gloriosa,

colonna della comunità, (che valeva) assai

più delle perle, chi sa trovarlo?64

Spirito retto, nelle

cui labbra non c‟era inganno,65

innocente e retto, puro senza colpe.

Ohi, poveri noi, poiché se n‟è

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le trascrizioni e traduzioni di oltre 100 atti di morte, selezionati in base al grado di importanza.

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